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Soccorso in mare: doveri e responsabilità del comandante

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna penale del comandante di una nave di supporto per i reati di abbandono di persone incapaci e sbarco arbitrario. Il caso riguarda un’operazione di soccorso in mare in cui 101 migranti, tra cui minori e donne incinte, sono stati riportati in Libia, considerata un porto non sicuro. La Corte ha stabilito che il comandante ha agito con dolo eventuale, accettando il rischio di esporre i naufraghi a un pericolo concreto, omettendo di contattare le autorità SAR competenti e seguendo invece le indicazioni di un non meglio identificato ufficiale presente su una piattaforma petrolifera. La sentenza ribadisce i precisi doveri legali che gravano su chi effettua un soccorso in mare, inclusa la necessità di coordinarsi con i centri ufficiali e sbarcare le persone in un luogo sicuro che rispetti i diritti fondamentali.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Soccorso in Mare: la Cassazione Definisce Doveri e Responsabilità Penali del Comandante

Un’operazione di soccorso in mare è un atto di fondamentale importanza umanitaria, ma è anche un’attività strettamente regolata da norme nazionali e internazionali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4557/2024) ha fatto luce sulle gravi responsabilità penali che incombono sul comandante di una nave che non rispetti tali regole, confermando la condanna per aver riportato dei naufraghi in un porto non sicuro. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere i doveri inderogabili dei soccorritori e il concetto di “dolo eventuale” in contesti complessi.

I Fatti del Caso: Il Soccorso in Mare Controverso

Il caso riguarda il comandante di una nave di supporto a una piattaforma petrolifera operante in acque internazionali, in zona SAR (Search and Rescue) di competenza libica. L’imputato aveva soccorso 101 migranti, tra cui cinque minori e cinque donne in stato di gravidanza, che si trovavano su un gommone in difficoltà.

Invece di seguire le procedure standard, che impongono di contattare immediatamente i centri di coordinamento del soccorso competenti (in questo caso l’IMRCC di Roma o il corrispettivo centro libico), il comandante si affidava alle indicazioni di un presunto “ufficiale di dogana libico” presente sulla piattaforma. Seguendo queste istruzioni, trasferiva i migranti su una motovedetta libica, che li riportava a Tripoli. Questa azione ha integrato i reati di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) e sbarco e abbandono arbitrario di persone (art. 1155 Codice della Navigazione).

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità penale del comandante. I giudici hanno sottolineato come l’imputato avesse omesso una serie di doveri fondamentali: non aveva accertato le condizioni di salute dei migranti, né la loro eventuale volontà di chiedere asilo, e soprattutto non aveva attivato il coordinamento con le autorità SAR ufficiali. La sua condotta è stata definita arbitraria, poiché basata su indicazioni informali e non su ordini legittimi provenienti dagli organi preposti.

L’Analisi della Cassazione sul Soccorso in Mare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa, confermando la condanna e fornendo un’analisi dettagliata dei principi giuridici applicabili in materia di soccorso in mare.

La Natura dei Reati: L’Abbandono come “Reato di Pericolo”

La Suprema Corte ha ribadito che i reati contestati sono “reati di pericolo”. Ciò significa che la legge non richiede la prova di un danno effettivo all’incolumità delle persone, ma punisce la condotta stessa in quanto idonea a creare una situazione di pericolo. L’atto di ricondurre persone vulnerabili (minori, donne incinte) in un paese come la Libia – ampiamente documentato come non sicuro, con centri di detenzione dove si verificano trattamenti inumani e degradanti – integra di per sé la creazione di un pericolo concreto per la loro vita e integrità fisica.

Il Dolo Eventuale e la Responsabilità del Comandante

Il punto centrale della difesa era l’assenza di dolo, ovvero della volontà di commettere il reato. La Cassazione ha invece ritenuto sussistente il cosiddetto “dolo eventuale”. Il comandante, con la sua esperienza e conoscenza delle norme sulla navigazione, non poteva non rappresentarsi il rischio concreto a cui esponeva i migranti riportandoli in Libia. Omettendo deliberatamente di contattare le autorità ufficiali e scegliendo di seguire una via informale, ha accettato tale rischio. La sua condotta non fu una semplice negligenza, ma una scelta consapevole che ha dato priorità ad altri interessi (come il rapido completamento delle operazioni di servizio della nave) rispetto alla sicurezza dei naufraghi.

Il Principio del “Porto Sicuro” e i Doveri del Soccorritore

La sentenza riafferma con forza che il comandante di una nave, anche privata, che effettua un soccorso in mare, assume una posizione di garanzia e agisce come “incaricato di pubblico servizio”. Egli ha l’obbligo giuridico di condurre le persone salvate in un “porto sicuro” (Place of Safety – POS). Un porto è considerato sicuro solo se garantisce la vita, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone, incluso il diritto di non essere respinti verso luoghi di persecuzione (principio di non-refoulement). La Libia, non avendo aderito alla Convenzione di Ginevra e data la nota situazione dei suoi centri di detenzione, non poteva in alcun modo essere considerata tale.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida base normativa e giurisprudenziale, sia nazionale che internazionale. Viene evidenziato che le procedure SAR non sono mere formalità, ma presidi essenziali per la tutela della vita umana in mare. La scelta del comandante di ignorarle, affidandosi a un soggetto non legittimato a coordinare i soccorsi, ha interrotto la catena di comando istituzionale e ha privato i naufraghi delle garanzie previste dalla legge. La Corte ha sottolineato che l’asserito ordine ricevuto non era legittimo, poiché non proveniva dall’autorità competente, e che l’errore del comandante non era scusabile, data la sua palese deviazione dalle procedure standard che ogni navigante esperto deve conoscere. La condotta complessiva, caratterizzata da omissioni multiple (mancato contatto, mancata identificazione, mancata verifica delle condizioni), ha dimostrato la piena accettazione del rischio che l’evento pericoloso si verificasse.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori del mare. Il dovere di soccorso non si esaurisce nel recupero dei naufraghi dall’acqua, ma prosegue fino al loro sbarco in un luogo sicuro, dove i loro diritti fondamentali siano tutelati. Agire al di fuori delle procedure ufficiali, anche se apparentemente per semplificare le operazioni, espone a gravissime responsabilità penali. La Corte di Cassazione ha chiarito che, nel bilanciamento degli interessi, la tutela della vita e della dignità umana ha un valore preminente che non può essere sacrificato per ragioni di convenienza operativa.

Quando il comandante di una nave è penalmente responsabile per un soccorso in mare?
Il comandante è penalmente responsabile quando viola gli obblighi giuridici imposti dalle normative nazionali e internazionali. La responsabilità sorge non solo per aver causato un danno diretto, ma anche per aver creato una situazione di pericolo, come riportare i naufraghi in un porto non sicuro, omettendo di seguire le procedure ufficiali di coordinamento con le autorità SAR competenti.

Cosa si intende per “porto sicuro” secondo la sentenza?
Un “porto sicuro” non è solo un luogo di sbarco, ma una località in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non sono più minacciate, dove vengono rispettati i loro diritti fondamentali, le loro necessità primarie (cibo, alloggio, cure mediche) sono soddisfatte e dove non rischiano trattamenti inumani o degradanti. La Libia, secondo la Corte, non soddisfaceva questi requisiti.

È sufficiente seguire le istruzioni di un ufficiale presente sul luogo del soccorso?
No. La sentenza chiarisce che le operazioni di soccorso devono essere coordinate esclusivamente dai Centri di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC) competenti. Seguire ordini o indicazioni di altri soggetti, anche se presentatisi come ufficiali, non esime dalla responsabilità se tali soggetti non sono l’autorità legittimata a dirigere le operazioni. Il comandante ha il dovere di verificare la legittimità della fonte degli ordini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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