Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25749 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25749 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 19/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Tricase il 17/01/1973
avverso la sentenza del ./9/09/2024 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare la prescrizione del reato previo accoglimento del secondo motivo di ricorso; sentito l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce, previa declaratoria di estinzione per prescrizione del delitto di cui al capo a), di cui all’a 642 cod. pen., e sottrazione della pena corrispondente ha confermato la pronuncia del Tribunale di Lecce con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione e al risarcimento dei danni, per i reati di simulazione d reato e di calunnia ai danni di NOME COGNOME denunciando falsamente di avere rinvenuto presso i magazzini della ditta di questi parte della merce sottrattagli il 5 marzo 2016, furto mai avvenuto, per ottenere l’indennizzo dell’assicurazione, sostituendo la pena di due anni e sei mesi di reclusione con quella del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen.
Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 391-bis cod. proc. pen., e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata utilizzato come prova principale il risultato dell’investigazione privata svolta dal COGNOME, incaricato dal compagnia di Assicurazione, e valorizzando l’accertamento dello stato dei luoghi da questi svolto il 23 gennaio 2016, in assenza di contraddittorio e a distanza di 15 giorni dallo svolgimento dei fatti, nonostante egli fosse stato nominato successivamente all’iscrizione della notizia di reato, avvenuta il 22 marzo 2016, per il reato di furto, in violazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, 13110 del 26/3/2019) così da interferire nell’attività investigativa dei soggetti istituzionalmente preposti.
Inoltre, la sentenza impugnata, nel valorizzare la mancata effrazione del cancello esterno carrabile di accesso all’azienda, avvenuta sulla base della valutazione dell’investigatore privato delle fotografie, non ha tenuto conto della testimonianza di NOME COGNOME, testimone disinteressato, che ha ricostruito nel dettaglio i momenti antecedenti e successivi al furto, tali da disarticolare gli indi utilizzati per la decisione (avere lasciato il camion pieno di calzature fermo all’interno dell’azienda con le chiavi inserite ed il telecomando di apertura del cancello; avere spiegato il mancato danneggiamento del confezionamento esterno).
Anche gli accertamenti della Guardia di Finanza sulla vendita di 1200 paia di scarpe ad un cliente coreano due giorni prima del furto hanno avuto una precisa ragione commerciale rimasta priva di risposta, mentre la riduzione del numero di scarpe tra la prima e la seconda denuncia di furto (da 8000 a 4525) è stata degradata dalla sentenza impugnata a mera anomalia.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 367 e 368 cod. pen., e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata, in violazione di un consolidato indirizzo interpretativo della Corte di legittimità, ha escluso che la simulazione di reato venisse assorbita nel delitto di calunnia nonostante l’ultima querela del 4 novembre 2016, a differenza delle due precedenti (del 5 marzo e del 10 marzo 2016), fosse l’unica in cui l’imputato aveva prospettato una falsa incolpazione a carico di persona determinata e riguardasse reati (ricettazione anziché furto) e beni (poche paia di scarpe anziché migliaia) diversi.
Ne consegue la declaratoria di prescrizione dei reati commessi il 5 marzo e il 10 marzo 2016, maturata prima della pronuncia di secondo grado; mentre per la denuncia del 4 novembre 2016 vi è assorbimento nel delitto di calunnia, tanto da rendere applicabile il beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di cui alla motivazione che segue.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto utilizzabili gli esiti degli accertamenti svolti da NOME COGNOME, investigatore privato nominato dalla compagnia di assicurazione costituitasi parte civile, in violazione delle norme che regolamentano le attività dell’investigazione difensiva preventiva (art. 327-bis e 391-nonies cod. proc. pen.).
Si tratta di una censura che parte da un errore di sistema in quanto le attività compiute dalla compagnia assicuratrice, prima che abbia inizio il procedimento penale, non sono qualificabili investigazioni difensive preventive, ex art. 391-nonies cod. proc. pen., ma costituiscono un mero approfondimento tecnico, teso alla ricostruzione della dinamica del sinistro denunciato, ai fini delle determinazioni di cui all’art. 148 del Testo Unico delle Assicurazioni.
Tale attività accertativa, svoltasi necessariamente prima dell’iscrizione della notizia di reato e fuori dal perimetro processuale penale, attiene al rapporto contrattuale assicurativo tra parti private e, dunque, esclude che quanto avviene in quella sede imponga modalità garantite o il consenso degli interessati.
Costituisce consolidato orientamento di questa Corte che l’attività di accertamento svolta dalla compagnia di assicurazione non può essere considerata investigazione difensiva preventiva, ai sensi dell’art. 391-nonies cod. proc. pen., ma un’attività da collocare nell’ambito dell’esecuzione del rapporto assicurativo, antecedente all’iscrizione della notizia di reato (Sez. 2, n. 4152 del 25/10/2019,
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dep. 2020, COGNOME, Rv. 278003; Sez. 2, n. 13110 dell’8/01/2019 COGNOME, Rv. 275286).
Nel caso in esame, come risulta dagli atti, la società assicuratrice non ha esercitato la facoltà, prevista dall’ordinamento, di rivolgersi direttamente ad un investigatore privato, nominato ai sensi dell’art. 327-bis, cod. proc. pen., al fine di verificare la fondatezza della falsità o meno della denuncia di furto sporta da NOME COGNOME cosicché il tema dell’inutilizzabilità processuale posto dal ricorso è destituito di fondamento.
Sul punto la Corte territoriale, pur avendo ritenuto, come dovuto, utilizzabili ai fini della decisione gli esiti degli accertamenti svolti dall’investigatore priv nominato dalla compagnia di assicurazione, incaricato di analizzare la dinamica del sinistro denunciato per valutare la fondatezza della richiesta risarcitoria, li ha erroneamente inquadrati nell’ambito delle “indagini difensive” (pag. 4) sebbene siano sottratti a tale regime per assenza, nella specie e in concreto, dei relativi presupposti formali (Sez. 2, n. 53770 dell’ 8/06/2018, Capitale, non mass.).
2.2. In ordine al motivo di ricorso relativo alla mancata valutazione della testimonianza di NOME COGNOME e degli argomenti relativi alla ricostruzione del fatto, è sufficiente richiamare le pagg. 5 e ss. della sentenza impugnata in cui sono riportate: a) le dichiarazioni di COGNOME, dipendente del ricorrente, ritenute inattendibili – “una combinazione tanto fortuita quanto anomala” che avesse “lasciato il furgone aperto e le chiavi comodamente inserite nello stesso” così da consentirne la facile sottrazione con tutta la merce all’interno (pag.8) -; b) i plurim e convergenti elementi, anche di ordine logico, primo tra tutti la vendita da parte del ricorrente di 1200 paia di scarpe, ad un cliente coereano, a soli tre giorni dal furto e nonostante, fino a quel momento, egli avesse lavorato solo con altre modalità (in conto vendita o realizzando le scarpe con consegna alla RAGIONE_SOCIALE o alla RAGIONE_SOCIALE dopo averle assemblate); c) gli accertamenti degli operanti (sopralluogo dei carabinieri presso la sede dell’azienda e fotografie presso lo stabilimento del ricorrente del 6 marzo 2016, con verbale di ispezione e dichiarazioni assunte dei dipendenti dell’azienda; esame di tutta la documentazione contabile della Guardia di Finanza); d) gli accertamenti dell’investigatore privato nominato dalla società, NOME COGNOME e la relazione tecnica da cui si evinceva l’assenza di qualsiasi effrazione dei portoni, posteriore e anteriore, d’ingresso allo stabilimento; e) i ritrovamento di 200 paia di scarpe imballate sul terreno adiacente allo stabilimento senza ammaccamento e segni di passaggio di mezzi pesanti o di persone nell’erba circostante se non le tracce di due ruote di un mezzo piccolo; f) le dichiarazioni rese da NOME COGNOME – legale rappresentante della società che forniva in conto lavorazione i componenti al ricorrente per la produzione di calzature – in ordine alla vendita di RAGIONE_SOCIALE direttamente ad un cliente coreano, anche dando conto
dell’inverosimiglianza della tesi sostenuta dal ricorrente, che ha indicato quantitativi differenti di scarpe nella prima e nella seconda denuncia, nel contesto della grave situazione debitoria attraversata da Zaminga nei termini accertati dall’istruttoria svolta.
Le censure difensive, al di là del dato enunciativo, si risolvono in non consentite censure in fatto all’apparato argomentativo su cui si fonda la sentenza impugnata, limitandosi a prospettare una generica e alternativa lettura delle acquisite emergenze processuali, senza alcun confronto con il puntuale ed approfondito esame dell’apparato probatorio scrutinato dai Giudici di merito.
3.11 secondo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
Risulta accertato in fatto che il ricorrente ha presentato tre false denunce di furto di scarpe le prime due, del 5 marzo 2016 e del 10 marzo 2016, contro ignoti (la seconda integrativa della prima con indicazione di un quantitativo differente pari a 4542 paia di scarpe anziché 8000 con indicazione dei rispettivi modelli) mentre con la terza, del 4 novembre 2016, era stato specificamente denunciato COGNOME nel cui calzaturificio RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato di avere visto esposte in vendita circa 100 paia di scarpe, di cui non aveva fornito la descrizione, facenti parte dei lotti trafugatigli. COGNOME, a causa di detta denuncia, era stato sottoposto a procedimento penale, poi archiviato in assenza di elementi idonei a sostenere la provenienza delittuosa della merce trovata nel suo calzaturificio e, anzi, tale da avere consentito di concludere che la denuncia calunniosa fosse stata presentata all’evidente scopo di corroborare le due precedenti di furto contro ignoti, presentate per conseguire l’indennizzo dell’assicurazione (pag. 10).
Alla luce di detti elementi è di tutta evidenza come la falsa accusa ai danni di persona determinata (COGNOME,) per il delitto di ricettazione, sia avvenuta, innanzitutto, in modo del tutto autonomo rispetto alla simulazione di reato, fondata sulle prime due denunce di furto contro ignoti, e, comunque, al solo fine di aggiungere ulteriori elementi a sostegno di queste (pag. 11). Ne consegue che, mentre per la terza delle tre indicate denunce vi è stata una sostanziale sovrapponibilità tra la condotta di simulazione e quella di calunnia, per le prime due autonome denunce non appare affatto corretta la decisione della Corte di appello di ritenere le relative condotte assorbite in quella successiva integrante gli estremi della contestata calunnia: e ciò perché ricorre la calunnia quando la falsa imputazione sia idonea, per modalità e circostanze sottese alla falsa attribuzione del fatto-reato, ad esprimere l’univoca riferibilità di questa ad una persona reale, determinata o determinabile (Sez. 6, n. 21990 del 08/07/2020, COGNOME, Rv. 279561); laddove ricorre la simulazione di reato quando la falsa imputazione
sia implicitamente, e non nominativamente, attribuita ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla consumazione del reato
falsamente attribuito dall’imputato (Sez. 6, n. 951 del 08/06/1983, COGNOME Rv.
161144). Ferma restando la violazione dell’interesse dell’amministrazione della giustizia in entrambe le ipotesi delittuose, il discrimine, in sostanza, è costituit
dalla identificabilità o meno di chi viene falsamente accusato (Sez. 6, n. 28972 del
14/06/2022, G., non mass).
Nel caso in esame, i delitti avrebbero dovuto essere posti in concorso formale tra loro ma, in assenza di impugnazione del pubblico ministero circa il
disposto assorbimento dei delitti di simulazione di reato in quello di calunnia, l’effetto del chiesto annullamento della sentenza determinerebbe una non
consentita reformatio in peius
nei confronti del ricorrente, il quale non può ritenersi
che questi abbia interesse ad ottenere una corretta pronuncia su detto punto della decisione.
3. Dagli argomenti che precedono consegue la complessiva infondatezza del ricorso e, dunque, la sua ammissibilità, il che impone, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato di calunnia, maturata dopo la sentenza di appello e nelle more della fissazione dell’udienza del giudizio di legittimità (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966): pronuncia che prevale su ogni diversa statuizione e che, in assenza, per ragioni innanzi esposte, delle condizioni per un proscioglimento dell’imputato nel merito, determina l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 19 maggio 2025
La Consigliera estensora
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