Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 680 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 680 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CINA( CINA) il 20/01/1975
avverso la sentenza del 23/12/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le richieste del difensore, AVV. COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 23 comma 8 D.L. 137/2020.
RITENUTO IN FATTO
Il sig. NOME COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza del 23/12/2022 della Corte di appello di Napoli che ha confermato la condanna alla pena di due anni di reclusione e quattrocento euro di multa irrogata con sentenza del 06/06/2019 del Tribunale di Nola, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, per il reato di cui agli artt. 81, cpv., 349, cpv., 367 cod. pen., a lui ascritto per aver, quale custode, violato i sigilli apposti ai locali della società «RAGIONE_SOCIALE di Weng RAGIONE_SOCIALE a seguito di sequestro preventivo d’urgenza (successivamente convalidato dal Gip con decreto del 29/10/2012), nonché per aver falsamente denunziato il furto dei macchinari detenuti all’interno del locali della predetta società. Il fatto è contestato come commesso in San Giuseppe Vesuviano il 29 ed il 30 luglio 2015.
1.1.Con il primo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla affermazione della sua penale responsabilità per entrambi i reati.
Lamenta la mancata risposta esaustiva alle questioni devolute con i motivi di appello relativamente alla propria responsabilità osservando, quanto al reato di cui all’art. 349 cod. pen., che egli aveva dedotto di non aver alcun interesse al “divellamento” del catenaccio e, quanto al reato di cui all’art. 367 cod. pen., che la denunzia era evidentemente inverosimile.
1.2.Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 157 e 158 cod. pen. con riferimento particolare alla violazione del principio del favor rei applicabile in caso di incertezza del tempus commissi .delicti. Lamenta, al riguardo, che la Corte di appello, con motivazione assente o comunque apparente, ha ritenuto la consumazione del reato di cui all’art. 349 cod. pen. alla data del suo accertamento piuttosto che in quella, precedente, del 19/02/2013, data del dissequestro temporaneo e di riapposizione dei sigilli.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e comunque il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è inammissibile.
3.0sserva il Collegio:
3.1.con argomenti tutt’altro che manifestamente illogici, la Corte di appello ha disatteso le deduzioni difensive oggetto dell’odierno primo motivo di ricorso affermando che se è vero che l’imputato fu nominato custode dei beni sequestrati nel mese di ottobre dell’anno 2012 è altrettanto vero che: a) la rottura dei sigilli era stata accertata il 29/07/2015 (allorquando la polizia giudiziaria si era recata ad eseguire il provvedimento di dissequestro del 17/07/2015); b) il 30/07/2015 il ricorrente aveva sporto denunzia di furto dei macchinari; c) l’11/11/2015 gli stessi macchinari erano stati rivenuti presso un altro opificio tessile gestito dallo stesso imputato;
3.2.da ciò la Corte territoriale ha tratto il convincimento che fu proprio l’imputato a rompere i sigilli in epoca certamente prossima al 29/07/2015 visto che ne aveva strumentalmente denunziato il furto il giorno successivo e non ne aveva mai denunziato il ritrovamento;
3.3.appare insomma evidente, nella logica della decisione, che i due fatti (violazione dei sigilli-falsa denunzia di furto) sono tra loro strettamente collegati e riconducibili ad un’unica ideazione criminosa (di qui, del resto, l’applicazione della continuazione) posta in essere proprio in vista della prevista rimozione dei sigilli;
3.4.del resto, l’illogicità della motivazione, come vizio deducibile in sede di legittimità, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794);
3.5.quanto alla sussistenza del reato di cui all’art. 367 cod. pen., la Corte di appello ha fatto buon governo del principio più volte affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale ai fini della configurabilità del delitto di simulazione di reato, è sufficiente che la falsa denuncia deterMini l’astratta possibilità di un’attività degli organi inquirenti diretta all’accertamento del fatto denunciato, attesa la natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 367 cod. pen., con la conseguenza che il reato non sussiste quando la inverosimiglianza del fatto denunciato appaia “prima facie” ed escluda, pertanto, anche la mera possibilità dell’inizio di un procedimento penale (Sez. 6, n. 17461 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275549 – 01; Sez. 6, n. 33016 del 10/04/2014, COGNOME, Rv. 260455 – 01; Sez. 6, n. 4983 del 03/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246077 – 01; Sez. 6, n. 28018 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 244397 – 01);
3.6.I’attitudine o meno della denunzia di reato a determinare l’inizio di un procedimento penale costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di
merito che non può essere devoluta per la prima volta in sede di legittimità come nel caso di specie;
3.7.1e considerazioni che precedono circa la insindacabilità della collocazione temporale del fatto rendono parimenti inammissibile il secondo motivo;
3.8.è inammissibile anche il terzo motivo;
3.9.il Tribunale aveva applicato al ricorrente la pena finale così determinata: ritenuto il vincolo di continuazione e più grave il reato di cui all’art. 349, cpv., cod. pen., la pena base è stata indicata in tre anni di reclusione e 500,00 euro di multa, aumentata per il reato di cui all’art. 367 cod. pen. di mesi sei di reclusione e 100,00 euro di multa, per complessivi anni tre e mesi sei di reclusione e 600,00 euro di multa; la pena è stata poi ridotta a quella finale di due anni di reclusione e 400,00 euro di multa in conseguenza della scelta del rito;
3.10.11 ricorrente ha dunque beneficiato di una riduzione della pena detentiva per il giudizio abbreviato maggiore di quella cui avrebbe avuto diritto, poiché tale pena avrebbe dovuto essere determinata nella misura, finale, di due anni e quattro mesi di reclusione;
3.11.nel dis’attendere le richieste di applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle circostanza aggravante e di concessione della sospensione condizionale della pena, il Giudice di merito ha fatto riferimento alle modalità dell’offesa e alla gravità del contegno dell’imputato rimasto indifferente agli ordini e alla prescrizioni dell’autorità giudiziaria, avendo disatteso i doveri connessi alla qualità di custode onde realizzare condotte analoghe a quelle già precedentemente contestate;
3.12.il ricorrente se ne duole con argomenti del tutto generici che, nel dedurre esclusivamente la propria incensuratezza e il buon comportamento processuale, si sottraggono al confronto con quelli positivamente affermati dalla Corte territoriale per rigettare il corrispondente motivo di appello;
3.13.va piuttosto ribadito che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli at ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, COGNOME, Rv. 214570);
3.14.si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen.,
considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269);
3.15.quanto alla pena è appena il caso di sottolineare che il ricorrente ha beneficiato, come detto, di una pena inferiore a quella che avrebbe dovuto essere comminata.
4.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 11/10/2023.