Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35875 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: COGNOME NOME
In nome del Popolo Italiano Relatore: COGNOME NOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 22/10/2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35875 Anno 2025
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 962/2025
NOME COGNOME
Relatore –
UP – 22/10/2025
NOME COGNOME
RNUMERO_DOCUMENTON. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
Motivazione Semplificata
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2025 della CORTE APPELLO di FIRENZE Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dalla Consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Procuratore generale, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME
NOME, con le quali si è chiestala declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Prato aveva dichiarato COGNOME, titolare della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE, sita in un immobile di civile abitazione in Prato, penalmente responsabile, nella qualità di committente e datore di lavoro, garante dell’incolumità fisica dei lavoratori alle proprie dipendenze, del reato di cui all’art. 451 cod. pen. ; e COGNOME NOME, nella qualità di custode giudiziario dell’immobile per civile abitazione, descritto al capo A), penalmente responsabile del reato di cui all’art. 335, cod. pen. .
In particolare, si è contestato alla prima imputata di avere omesso di predisporre misure prevenzionistiche contro infortuni e incendi, utilizzando luoghi, impropriamente adibiti a dimora dei lavoratori e messi a disposizione dei dipendenti, in assenza di presidi antincendio, cassette di primo soccorso, segnaletica, dispositivi facilitatori di pronto esodo, in locali con impianto elettrico inadeguato, a rischio di contato e modificato in maniera non professionale e non certificata, così creando un potenziale pregiudizio all’integrità e salute dei lavoratori e pericolo per gli edifici confinanti, essendo il fabbricato posto in un centro abitato e in continuità con altri edifici. Alla NOME HUAYING, invece, è stato contestato di non aver vigilato sull’integrità dell’immobile, nel quale, in sede di ispezione del 02/10/2017, si era riscontrata l’effrazione del sigillo apposto in sede di accesso degli ispettori ASL, risultando la predetta irreperibile.
Avverso la sentenza il difensore di entrambe le imputate ha proposto ricorsi, con unico atto, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, quanto all’affermazione di responsabilità della COGNOME, in qualità di datore di lavoro, rilevando il difetto di prova della concreta possibilità per la stessa – non presente nei locali aziendali per essersi trovata fuori dal territorio nazionale – di influenzare la situazione, impedendo le modifiche abusive all’immobile, e adempiere agli obblighi imposti dalla normativa sulla sicurezza sul lavoro. Ne deriverebbe, secondo la prospettazione difensiva, che le modifiche apportate all’immobile, incidenti sulle condizioni di sicurezza, sarebbero state realizzate in circostanze di tempo e di luogo fuori dalla sfera di controllo dell’imputata, così venendo meno il nesso di causa tra la condotta e la situazione di pericolo, il giudice avendo semplicemente rilevato la mancata documentazione dell’assenza dal territorio, sebbene fosse stata prodotta copia del passaporto dell’imputata.
Quanto al secondo motivo, la difesa, deducendo analoghi vizi, ha contestato l’affermazione di responsabilità della NOME, rilevando il difetto di idonei riscontri circa una sua condotta commissiva od omissiva che abbia determinato la violazione dei sigilli dell’immobile o la sottrazione dei beni ivi insistenti. In particolare, il deducente ha rilevato che, al momento dell’accertamento, erano risultati asportati alcuni macchinari della ditta, tuttavia non sottoposti a vincolo, poiché non custoditi nella porzione di immobile sottoposta a sequestro. Inoltre, la
motivazione non sarebbe coerente con il tenore dell’imputazione, avendo i giudici territoriali ritenuto che l’asportazione non fosse avvenuta in un lasso temporale brevissimo e che l’imputazione era relativa a un reato punibile anche a titolo di colpa, essendo emersa la totale negligenza dell’imputata nel vigilare sull’integrità dell’immobile in sequestro. Trattasi, tuttavia, secondo la prospettazione difensiva, di una descrizione della condotta non coincidente con quella riportata nel capo di imputazione, in cui si è precisato che i macchinari non erano sottoposti a sequestro e si trovavano nella ditta e non nell’abitazione sequestrata. Sotto altro profilo, poi, la difesa ha rilevato che le modifiche apportate all’immobile non sarebbero state eseguite dopo l’apposizione dei sigilli, avendo costituito il presupposto dell’apposizione del vincolo.
Il Procuratore generale, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
La difesa muove, intanto, da assunti che risultano contraddetti da quanto riportato nelle conformi sentenze di merito, dalle quali è emerso che il primo sopralluogo aveva riguardato un unico immobile, con unico accesso, in parte rappresentato da civile abitazione con un retro adibito a magazzino. Il sequestro probatorio aveva riguardato l’intero immobile. Il secondo accesso del 02/10/2017 aveva consentito di accertare la violazione dei sigilli, invero neppure contestata nell’impugnazione. L’ispezione, poi, era stata resa possibile grazie all’intervento del proprietario, per irreperibilità della custode giudiziaria, nominata con il sequestro del 30/08/2017. All’interno della casa erano state realizzate opere abusive (dieci dormitori, per un totale di 19 posti letto, un impianto elettrico con cavi volanti e prese multiple che alimentavano i dormitori), assenti presidi di sicurezza e sanitari per la destinazione recettiva. Nel magazzino, al momento del primo accesso, erano custoditi dei macchinari, spariti al momento del secondo.
L’immobile, come risulta dallo stesso tenore del capo A) dell’imputazione, si trovava nel centro abitato e confinava con altri edifici.
Orbene, i giudici del doppio grado hanno ritenuto dimostrato che la titolare della ditta era l’imputata COGNOME e che all’interno dello stabile ove si trovava la sua impresa, era stato ricavato un ambiente dormitorio senza l’osservanza delle norme di sicurezza e igieniche. La difesa si è limitata a opporre una ignoranza dell’accaduto (modifiche della destinazione d’uso di una porzione dell’immobile condotto e violazione degli obblighi derivanti dalla posizione di garante della sicurezza e igiene dei luoghi di lavoro), argomentata sulla scorta di una presunta assenza dal territorio italiano, neppure indicata specificamente nell’atto d’impugnazione. Ma, nella sentenza impugnata, si è dato atto della condizione di irreperibilità di entrambe le imputate e, quanto alla condizione di ignoranza, la Corte ha pure rappresentato la mancanza di qualsivoglia, valida delega gestoria, da ciò inferendo un negligente disinteresse dell’imputata per
le sorti dell’immobile stesso, rispetto al quale la difesa nulla ha allegato. Invero, quest’ultima si è limitata a ribadire le argomentazioni affrontate dai giudici del gravame, senza introdurre una critica che ne tenesse effettivamente conto, in spregio, peraltro, al diritto vivente, per il quale l’impugnazione, ivi compreso il ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 2268822-01; Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277811 – 01; Sez. 4, n. 36154 del 12/09/2024, COGNOME, Rv. 287205 – 01).
Peraltro, va pure ricordato che la fattispecie criminosa dell’omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro punisce le condotte consistite nell’omessa collocazione, nella rimozione oppure nella resa inidoneità allo scopo, degli apparecchi e degli altri mezzi predisposti all’estinzione dell’incendio nonché al salvataggio o al soccorso delle persone, non occorrendo anche il concreto verificarsi di uno dei danni che essa mira a impedire o, comunque, a limitare (Sez. 4, n. 33294 del 10/06/2011, COGNOME, Rv. 250951 – 01), essendo la norma intesa a limitare i danni derivanti da incendio, disastro o infortuni sul lavoro nelle ipotesi in cui detti eventi si dovessero verificare (Sez. 6, n. 2720 del12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 204106 – 01). Inoltre, per la ravvisabilità del reato è necessario che il pericolo si riferisca a un numero indeterminato di persone, indeterminatezza che, tuttavia, non significa necessità della presenza di una collettività di lavoratori, tale da rendere possibile una diffusa estensione del pericolo, ma della salvaguardia di costoro dal pericolo di infortuni allorquando siano momentaneamente e casualmente in servizio, i quali sono per definizione indeterminati (Sez. 4, n. 7175 del 28/03/1996, Dini, Rv. 205361 – 01).
Quanto, invece, alla imputata COGNOME, la difesa si è limitata a rilevare la non coincidenza della porzione di immobile nel quale erano presenti i macchinarti asportati, smentita dai dati riportati nelle sentenze di merito, laddove si dà atto intanto della rimozione dei sigilli, circostanza questa neppure contestata, ma anche dell’asportazione di macchinari accertata in secondo accesso, avendo i giudici del merito dato conto della condotta colposamente omissiva (omessa custodia) anche in riferimento al lasso temporale contestato (per l’appunto decorrente dal primo accesso, sino alla verifica dell’ammanco, compiuta in sede di secondo sopralluogo), da ciò inferendo, con rigore logico, che il disinteresse dell’imputata aveva riguardato un lasso apprezzabile di tempo, non potendo l’attività di asportazione esser stata istantanea.
E, sul punto, è già stato chiarito che il momento consumativo del reato previsto dall’art. 335 cod. pen. può essere ritenuto anche sulla base di elementi indiziari e considerazioni logiche, nonché di massime di esperienza -coincidente con quello dell’accertamento, salvo che venga rigorosamente provata l’esistenza di situazioni idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto (Sez. 6, n. 9557 del 06/02/2020, Puccio, Rv. 278666 – 01; Sez. F., n. 34281 del 30/07/2013, COGNOME, Rv. 256644 – 01).
Nella specie, i giudici territoriali e, ancor prima, la stessa imputazione, hanno dato atto di una individuazione temporale certa riferibile alla colposa omissione ascritta all’imputata, alla stregua di circostanze fattuali neppure contestate nella loro storicità.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuna in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuna in favore della Cassa delle ammende. Così è deciso, 22/10/2025
La Consigliera est. NOME COGNOME
La Presidente NOME COGNOME