Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 43736 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 43736 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/05/2024 del TRIB. LIBERTA di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG, in persona del NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del Riesame di Bologna, con ordinanza del 27 maggio 2024, ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini Preliminari del Tribunale di Modena con la quale era stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere (sostituita con ordinanza ex art. 299 cod. proc pen. data 6 maggio 2024 con la misura degli arresti domiciliari) nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 416 COGNOME cod. pen., commesso in Carpi da gennaio 2020 a luglio 2022, (capo 1) e COGNOME al reato di cui all’art. 603 bis, commi 1, 2 e 4, cod. pen., commesso in Carpi dal febbraio 2020 ad aprile 2022, (capo 21).
Secondo l’ipotesi d’accusa, l’indagato avrebbe fatto parte di un’associazione denominata con la sigla “RAGIONE_SOCIALE“, composta da persone di origine pakistana, dedita ad una pluralità di delitti scopo di lesioni, minacce, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Egli avrebbe reclutato, per conto del coindagato NOME COGNOME, manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso i terzi (ed in particolare presso la RAGIONE_SOCIALE, amministrata di fatto da NOME COGNOME e appaltatrice dell’attività dei corrieri presso la RAGIONE_SOCIALE di Modena, oltre che titolate, tra gli altri, degli appalti dei servi logistici espletati dalla società RAGIONE_SOCIALE nelle sedi di Piacenza e Monselice), in condizione di sfruttamento: in particolare avrebbe approfittato dello stato di bisogno dei lavoratori, adibendo personale, in assenza di contratti di lavoro regolarmente stipulati, a lavorazioni anche in orario notturno, senza preavviso, con reiterata corresponsione di retribuzione difforme dai collettivi contratti nazionali o, comunque, sproporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in quanto decurtata di una somma percentuale. Egli avrebbe avuto il compito di reperire i lavoratori, di gestire i mezzi adibiti al loro trasporto, di agi quale mediatore per il pagamento della retribuzione e di controllare il loro operato e il loro rendimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso detta ordinanza l’indagato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al capo 21). Il difensore osserva che NOME era stato ritenuto indiziato in relazione all’attività di caporalato asseritamente gestita dal coindagato NOME COGNOME, sulla base di alcune brevi captazioni telefoniche e di una serie di movimentazioni bancarie ritenute sospette.
Quanto alle intercettazioni, il difensore ribadisce, in primo luogo, che la
traduzione della conversazione al progr. n. 1229, nel passaggio in cui NOME avrebbe ordinato al ricorrente di pulire la registrazione della sera precedente, era errata, in quanto l’ordine di pulire si riferiva non già ai filmat della telecamera, bensì al materiale presente sui luoghi di lavoro, tanto più che NOME aveva precisato, nel corso dell’ interrogatorio di garanzia, di non avere mai avuto accesso alle telecamere di videosorveglianza dei cantieri. Sottolinea, inoltre, che le ulteriori conversazioni dimostravano al più che NOME aveva reperito e trasportato alcuni lavoratori presso le sedi RAGIONE_SOCIALE di Piacenza e Monselice, a mero di titolo di favore e amicizia nei confronti di NOME: le massime di esperienza suggeriscono che esiste la prassi, da parte dei membri di comunità minoritarie, di fungere da intermediari nel reperimento e nel trasporto di lavoratori assunti con contratti a chiamata, senza che possano ravvisarsi dinamiche di sfruttamento. La valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve, in ogni caso, tenere conto della regola di giudizio a favore dell’imputato nel caso di dubbio, in quanto se due significati possono essere ugualmente attribuiti ad un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’imputato. Dalle richiamate intercettazioni non era emerso alcun riferimento alla somministrazione di compensi inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, nonché orari, modalità di lavoro o altre condotte tipiche della fattispecie di reato in esame.
Quanto alla movimentazione bancaria, il difensore lamenta che il Tribunale non avrebbe spiegato in che senso i bonifici bancari effettuati da NOME nei confronti di NOME fossero legati all’attività di caporalato gestita dal primo. NOME era gestore di ulteriori attività imprenditoriali, sicchè gli accrediti ricevuti dal ricorrente COGNOME potevano essere la remunerazione di lecita attività lavorativa da lui COGNOME prestata in favore del coindagato. La circostanza che NOME avesse poi prelevato il denaro a lui bonificato e lo avesse restituito a NOME poteva spiegarsi con la momentanea impossibilità da parte di questi di effettuare prelievi. Non si comprende- prosegue il difensore- per quale ragione NOME avrebbe dovuto versare il denaro contante spettante ad NOME sui propri conti ed effettuare accrediti in suo favore, quando egli avrebbe potuto consegnare dette somme al ricorrente direttamente nelle sue mani.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Il difensore lamenta che il Tribunale, nel dare conto del pericolo di reiterazione del reato, si era limitato a riportare gli stessi passaggi dell’ordinanza primigenia, senza replicare ai rilievi, formulati dal ricorrente in sede di riesame, collegati alla risalenza dei fatti, all’ incensuratezza di COGNOME e al suo essersi allontanato dal settore lavorativo della logistica.
3.11 Procuratore Generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Si deve premettere che, in data 30 ottobre 2024, COGNOME il difensore dell’indagato, a seguito della sostituzione da parte del G.I.P. della misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora in Carpi, ha COGNOME depositato dichiarazione di rinuncia al ricorso a sua firma. Tale rinuncia, tuttavia, non costituendo esercizio del diritto di difesa, non può ritenersi efficace in quanto sottoscritta dal difensore sprovvisto di procura speciale e non anche dall’interessato COGNOME (ex plurimis, da ultimo, Sez. 2, n. 49480 del 31/10/2023, COGNOME NOME, Rv. 285663).
Ne consegue che il ricorso, permanendo in capo al ricorrente una misura cautelare, sia pure meno grave, e il conseguente interesse all’impugnazione, deve essere trattato.
3.11 primo motivo, volto a censuare la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è inammissibile, in quanto reiterativo della censura già dedotta, in assenza di confronto con il percorso argonnentativo dell’ordinanza impugnata, cui contrappone doglianze aspecifiche.
3.1. Si deve ricordare che, “in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limit che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 – 01). L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità non
comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi e quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato: tali apprezzamenti, infatti, rientrano nelle valutazioni del g.i.p. e del tribunale del riesame, mentre al giudice di legittimità si chiede di esaminare l’atto impugnato al fine di verificare che esso contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti; di verificare, quindi, la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così, tra le tante, Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, 6 Rv. 269438).
Nel caso di specie il ricorrente ha contestato non già la sussistenza della fattispecie delittuosa di “caporalato” ascritta al coindagato COGNOME, né che le condotte da costui poste in essere valessero ad integrare il reato in esame, ma solo il coinvolgimento di COGNOME in tale fattispecie, censurando l’interpretazione offerta dal Tribunale delle risultanze delle indagini e la efficacia dimostrativa ad esse attribuita.
3.2. Il Tribunale, dopo aver ricordato le condizioni con cui NOME COGNOME e i suoi collaboratori reclutavano il lavoratori destinati agli hub GLS di Piacenza e Monselice gestiti dalla RAGIONE_SOCIALE (in assenza di contratto e perciò senza la corresponsione di contributi, con pagamenti in nero, con impiego in orario notturno e destinazione di manodopera non idonea alle mansioni da svolgere in ragione dell’età e con trasporto sul luogo di lavoro tramite mezzi organizzati dallo stesso COGNOME), ha desunto i gravi indizi del coinvolgimento di COGNOME nell’attività di caporalato da una pluralità di elementi ed in particolare:
dalle conversazioni intercettate, debitamente riportate, da cui era emerso che egli reperiva i lavoratori su richiesta del caporale; si occupava dei mezzi con cui conduceva al lavoro le persone reclutate; provvedeva egli stesso al pagamento in contanti della loro retribuzione, tenendo il conto delle ore lavorate; su richiesta del correo, aveva cancellato le tracce della presenza dei lavoratori in nero nei cantieri, rimuovendo i filmato delle telecamere di videosorveglianza. Si tratta di conversazioni – hanno sottolineato i giudici- avvenute in epoca in cui NOME non era più dipendente della RAGIONE_SOCIALE e che perciò non potevano riferirsi a contatti giustificati da rapporti di lavoro;
dagli accertamenti bancari, da cui era emerso che COGNOME aveva ricevuto bonifici dai conti della ditta individuale di RAGIONE_SOCIALE e dalla società RAGIONE_SOCIALE, impresa a costui riconducibile, con regolarità e per importi considerevoli (nel solo mese di dicembre 2021 superiori anche a 8.000 euro), privi di giustificazione alcuna, e che lo stesso COGNOME aveva, poi, prelevato le somme a lui accreditate e le aveva restituite in contanti a COGNOME.
Il Tribunale si è anche confrontato con la censura, reiterata con il ricorso, per cui la conversazione con cui NOME gli aveva ordinato di “ripulire le registrazioni” sarebbe stata travisata nel contenuto, rilevando, in maniera non illogica, che tale travisamento era stato solo affermato, ma non anche documentato attraverso, ad esempio, una traduzione giurata valutabile. Peraltro deve ricordarsi che con riferimento specifico al mezzo di prova delle intercettazioni, questa Corte ha stabilito che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/2/205, Sebbar, Rv. 263715-01), essendo, dunque, sindacabile solo nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, COGNOME, Rv. 282337). Il Tribunale ha replicato anche alla censura per cui i bonifici avrebbero potuto, in astratto, avere anche una causa lecita, argomentando che, in difetto di puntuali allegazioni difensive, essi risultavano privi di giustificazione alcuna.
3.3.11 percorso argomentativo adottato dal Tribunale, a sostegno della cointeressenza del ricorrente nell’attività di RAGIONE_SOCIALE, appare pertanto adeguato, coerente con i dati riportati e non manifestamente illogico nella interpretazione delle risultanze delle indagini.
Per contro, il motivo di ricorso si è limitato a ribadire le stesse censure già formulate, senza contrapporre alla motivazione dell’ordinanza impugnata alcuna valida argomentazione in fatto o in diritto.
4.11 secondo motivo, con cui si contestano le esigenze COGNOME cautelari, è inammissibile, in quanto anch’esso meramente reiterativo della stessa doglianza già dedotta in assenza di confronto con la motivazione della ordinanza impugnata, e, comunque, manifestamente infondato.
Il Tribunale ha valorizzato, quali indici di pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, pur a fronte di contestazioni risalenti a circa due anni prima, la compattezza e stabilità nel tempo del gruppo criminale, la personalità violenta e la spregiudicata degli appartenenti all’associazione, evidenziata anche dalle spedizioni punitive poste in essere in luoghi pubblici, l’ ultima delle quali risalenti al mese aprile 2024, quando i coindagati NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati sottoposti a fermo di polizia giudiziaria per i reati di tentato omicidio e lesioni personali aggravate. I giudici, in replica all osservazioni del ricorrente, hanno rilevato, da un lato, che il pericolo cautelare non era venuto meno solo per il conseguimento della cittadinanza o
per COGNOME lo svolgimento di attività lavorativa lecita, COGNOME in quanto si trattava di condizioni, già sussistenti all’epoca dei fatti per cui la cautela era stata adottata, che non avevano esperito nei suoi confronti alcun effetto contenitivo; dall’altro, che l’assenza di precedenti definitivi e la mancata partecipazione diretta alle condotte violente erano già state considerate ai fini della sostituzione della misura.
La motivazione adottata è in linea con i principi del diritto vivente, ovvero con l’interpretazione elaborata da questa Corte dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, secondo la quale il requisito dell’attualità deve essere inteso nel senso che possa essere formulata una prognosi di ricaduta nel reato fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere (sez. 4 n. 47837 del 04/10/2018, Rv. 273994), bensì una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio Mario, Rv. 277242).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, non sussistendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.