Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 660 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 660 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 12/08/1983 NOME COGNOME nato il 14/07/1980
avverso la sentenza del 15/02/2023 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto;
lette le note a firma dell’avv. NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE, con le quali si é chiesto l’annullamento della sentenza, con assoluzione, in subordine la riduzione della pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale cittadino di condanna di COGNOME e COGNOME per c:oncorso nello sfruttamento continuato del lavoro di una pluralità di cittadini stranieri (per lo più di origine pakistana), il primo an reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. peri, e 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazione, dalla I. n. 638 del 1983, come riformulato dall’art. 3, comma 6, d. Igs 8/2016 e per il reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen. e 37, I. 689 del 1981, come sost dall’art. 116, comma 9, I. n. 388/2000.
2. Si è contestato agli imputati di avere agito in esecuzione del medesimo disegno criminoso ed in concorso tra loro ed un terzo soggetto, separatamente giudicato, il primo nell qualità di responsabile di “RAGIONE_SOCIALE, il secondo quale suo collaboratore, sfruttando il lavoro dei citati cittadini stranieri, reclutati, tramite RAGIONE_SOCIALE, utilizzandol salario pari a euro 4,00 l’ora, assolutamente inferiore a quello previsto dal contratto coll di categoria, pari a euro 7,50, senza garanzia di continuità lavorativa e con prestazi giornaliere discontinue e, comunque, con orario c:he andava da un minimo di un’ora a un massimo di 27 ore consecutive senza copertura assicurativa, spesso senza retribuzione dei periodi di prova, il tutto rappresentato nelle tabelle di calcolo allegate all’imputazione.
Nello specifico, per inquadrare la vicenda nel contesto negoziale che le fa da sfondo, dalle sentenze di merito è emerso che la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato un contratto di appalto con RAGIONE_SOCIALE, azienda operante nel settore della rilegatoria di libri, in base al quest’ultima aveva affidato alla prima alcuni lavori di fine produzione (confezione/imballag merce e attività di fine linea); RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, aveva subappaltato parte della lavorazione alla RAGIONE_SOCIALE che operava nello stesso stabilimento della prima.
Quanto all’IQBAL, poi, gli si è contestato, nella qualità, di avere omesso, dal 10/20 al 16/7/2017 di versare all’INPS di Trento le ritenute previdenziali ed assistenziali per 19.192,41, da effettuarsi sulle retribuzioni da corrispondersi ai lavoratori nel perio settembre 2016 a giugno 2017; nonché di avere presentato denunce obbligatorie relative ai mesi da settembre 2016 a giugno 2017 non conformi al vero, al fine di non versare in tutto in parte i contributi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie omettendo il versamento di contributi per un imposto non inferiore a euro 2.582,00 mensili e al 50% dei contributi complessivamente dovuti, come da prospetto riportato in imputazione.
Per come precisato dal giudice del gravame, il compendio probatorio a sostegno della condanna è rappresentato dalla testimonianza COGNOME, ispettore del lavoro che ha riferito dei risultati dell’accesso effettuato il 23 novembre 2016 presso la I.G.F. di Aldeno, allorquand erano rintracciati cinque lavoratori dipendenti di RAGIONE_SOCIALE con sede a Rovereto, ma operante in Aldeno, tre dei quali impiegati irregolarmente senza copertura assicurativa previdenziale; dalla perquisizione conseguente che aveva consentito di acquisire documentazione (estrapolata anche dal computer dell’imputato RAGIONE_SOCIALE, grazie alla quale erano state calcolate le prestazioni lavorative giornaliere dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE che,
nel periodo di cui all’imputazione, aveva impiegato nello stabilimento di Aldeno circa lavoratori senza versare contributi, con denunce contributive incomplete e con il trattamen lavorativo e retributivo descritto nella imputazione. In base a tali elementi, i giudici te hanno ritenuto il requisito oggettivo dello sfruttamento di manodopera, sussistendo gli in indicati nel comma 3 dell’art. 603 bis, cod. pen. L’audizione di molti lavoratori, pur se non di tutti e 94, aveva poi consentito di accertare le condizioni di sfruttamento, avendo conferm l’attendibilità dei dati ricavati dal computer dell’imputato COGNOME. I dipendenti veniva sottoposti a continue pressioni da parte degli imputati che decidevano anche se gli stes potessero espletare i propri bisogni o dissetarsi, avendo i concorrenti approfittato della li libertà di autodeterminazione delle persone offese, soggetti richiedenti asilo, in condizion precarietà sul territorio nazionale, alcuni alloggiati presso strutture di prima accogli spesso da lungo disoccupati, bisognosi di lavorare per ottenere il permesso di soggiorno e procurarsi i mezzi di sussistenza. Quanto all’imputato COGNOME formalmente dipendente di RAGIONE_SOCIALE, egli aveva agito quale vero e proprio braccio destro del datore di lavoro, conservando anche i prospetti attestanti le vere retribuzioni consegnate ai lavoratori.
Nel rispondere alle doglianze veicolate con i gravami, la Corte territoriale ha disat quelle formulate nell’interesse di IQBAL (il quale aveva dedotto, quanto al delitt sfruttamento dell’altrui lavoro, il mancato accertamento del numero esatto di lavorato l’autosufficienza economica di quelli che avevano testimoniato; l’accettazione della propos lavorativa da parte di costoro; il difetto della condizione di sfruttamento; e, quanto ag reati, la mancata notifica dell’avviso di accertamento dell’omesso versamento delle ritenut previdenziali e assistenziali; la non configurabilità del delitto di omesso versamento d ritenute per mancata corresponsione delle retribuzioni) e quelle formulate nell’intere dell’appellante COGNOME (il quale aveva allegato la propria posizione di subordinato che ubbidiva alle direttive del datore di lavoro, contestando anche il diniego del beneficio sospensione della pena e delle generiche e l’eccessività della pena).
In particolare, ha ritenuto, quanto al delitto contestato a entrambi, di d disattendere l’assunto per il quale i lavoratori sarebbero stati gestiti dal COGNOME (responsabile dell . ‘appaltante RAGIONE_SOCIALE): gli elementi della istruttoria (documenti, testimonianze) smentivano l’assunto, confermando viceversa che RAGIONE_SOCIALE, socio unico RAGIONE_SOCIALE li aveva assunti o, comunque, impiegati nello svolgimento dei lavori sub appaltati alla RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’appalto stipulato da RAGIONE_SOCIALE con I.G.F. Gli imputati avevano agito in piena autonomia, in esecuzione del sub appalto quanto alla gestione dei lavoratori, la scelta di assumere i primi tre lavoratori (quelli, cioè, trovati in occasi ispezione del novembre 2016) irregolarmente e senza copertura assicurativa e previdenziale dovendosi ricondurre proprio a RAGIONE_SOCIALE; le sue decisioni non erano collegate al regolamento contrattuale relativo al sub appalto così come quelle inerenti al salario, alla man retribuzione dei periodi di prova e alla esecuzione delle lavorazioni senza riconoscimento del maggiorazioni per il lavoro straordinario, festivo, tredicesima e altre voci. Del par riconducibile a tale gestione la modalità del lavoro (orario spesso superiore alle 12 ore qualche caso sino alle 20 consecutive, mancato godimento di riposo giornaliero oltre che
settimanale, violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, compresa la mancata fornitura di presidi protettivi individuali e la mancanza di formazione specifica, i lavoratori essendo trovati a lavorare mediante utilizzo di macchinari all’interno dello stabilimento). Le dichiar dei soggetti sfruttati erano state corroborate, peraltro, dall’esito del controllo incroci dati provenienti dalle annotazioni rinvenute nel computer sequestrato all’imputato RAGIONE_SOCIALE: questi e RAGIONE_SOCIALE avevano, di volta in volta, deciso anche chi dovesse recarsi a lavorare e chi no dovesse farlo e quante ore ciascuno dovesse osservare, decisione rimessa a scelte dei due, fondate anche sulla maggiore o minore remissività dei lavoratori dovuta allo stato di bisogno.
Quanto, specificamente, all’imputato COGNOME, la Corte ha osservato che costui aveva agito quale vero e proprio reclutatore e preposto, co-protagonista insieme a RAGIONE_SOCIALE riguardo a tutte le attività strumentali al delitto; era stato HAMEED a utilizzare e impiegare i dipen impartendo sul posto di lavoro ordini e direttive indiscutibili, determinando orari disuma lavoro, annotando sul proprio computer i prospetti relativi al monte ore individuale pagamenti e ad altri elementi decisivi per comprovare l’attività di sfruttamento, dimostra della sua cosciente partecipazione all’attività delittuosa. Il suo contributo era correttamente valutato in ragione della sua efficienza causale rispetto alla condotta dell’ concorrente, essendo irrilevante il rapporto di lavoro che univa i due imputati, egli av cooperato attivamente in tutte le fasi, reclutando e gestendo i lavoratori, il suo ruolo avendo ricevuto evidente conferma dalla circostanza che era stato proplo HAMEED a tenere la contabilità delle attività illecite inerenti allo sfruttamento lavorativo.
L’insieme di tali elementi è stato ritenuto idoneo a fondare la prova dello stat bisogno delle persone offese: l’assunto sostenuto a difesa, secondo il quale molti lavorat godevano di un contributo pubblico, oltre che di vitto e alloggio, era resistito, in dirit osservazione che, ai fini della configurabilità del delitto, non è necessario uno stato di nece tale da annientare in modo assoluto ogni libertà di !;celta, essendo sufficiente una situazion oggettiva difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima, inducendol accettare condizioni particolarmente svantaggiose, avendo quel giudice precisato che l’ospitalità presso i centri di accoglienza non costituiva una sistemazione definitiva e contributo era bimestrale e modesto, la necessità di trovare un lavoro rispondendo anche all’esigenza di ottenere titolo per restare sul territorio e procurarsi i mezzi per vivere. quel giudice ha ricordato che, nella specie, molti soggetti erano giunti da poco sul terri nazionale, non conoscevano la lingua italiana, mentre altri erano senza lavoro da tempo e in condizioni economiche assai precarie, a nulla rilevando opporre che, una volta compresa l’impossibilità di sopportare le durissime condizioni lavorative imposte, essi decidesser lasciare il lavoro.
All’imputato RAGIONE_SOCIALE sono state mosse altre due contestazioni, rispetto alle quali l Corte d’appello ha disatteso gli argomenti difensivi, osservando, quanto alla prima (omesso versamento delle ritenute) che, ai fini della integrazione della particolare condizio punibilità (la legge prevedendo che non è punibile il datore che versi il dovuto entro tre m da tale avviso), non fosse necessario un avviso di accertamento previdenziale da parte dell’INPS, essendo sufficiente, ai fini della procedibilità, la notifica all’imputato di un
procedimento penale equipollente a tale accertamento, purché contenga gli elementi essenziali dell’avviso (indicazione del periodo di omesso versamento, dell’importo, della sede dell’en presso il quale debba avvenire il versamento). Ciò che, nella specie, era avvenuto con l notifica del decreto disponente il giudizio, senza che l’interessato avesse allegato prova versamento. Quanto, poi, all’assunto difensivo che faceva leva sull’omessa corresponsione delle retribuzioni, alle quali l’obbligo in esame è correlato, la Corte ha riconosciuto l’a correttezza dell’assunto, perché il reato tende non tanto a colpire il fatto omissivo, q l’appropriazione indebita delle ritenute prelevate dallo stipendio del lavoratore. Tuttavia, specie, era stato dimostrato dall’accusa che la retribuzione era stata corrisposta attraver modelli DM 10, soprattutto grazie alla documentazione acquisita in sede di perquisizione nei confronti dell’imputato RAGIONE_SOCIALE, nel cui computer era stata trovata l’annotazione di tutte le retribuzioni versate, spettando alla difesa superare il dato, provando cioè la manca corresponsione delle retribuzioni cui è collegato l’onere di versamento. Sulla scorta degli st dati provenienti dall’imputato RAGIONE_SOCIALE, dunque, erano stati operati i calcoli delle ritenute obbligatorie non versate che avevano superato la soglia di punibilità cli euro 10.000,00 solo il periodo dal 16 gennaio al 16 giugno 2017, ma non per il 2016.
Quanto, invece, all’ulteriore reato, la Corte ha ritenuto conseguita la prova del d falsamente indicato sempre attraverso la ricostruzione, operata dall’ispettorato su documentazione inerente alle dichiarazioni previdenziali obbligatorie effettuate dall’imputat alle retribuzioni versate, alla stregua della quale era stato accertato il superamento della s di punibilità, i contributi denunciati ammontando a euro 3.934,00, mai versati, a front contributi dovuti pari a euro 18.995,34, così superata la soglia di punibilità del 50% contributi dovuti.
Infine, la Corte ha ritenuto gli imputati non meritevoli del riconoscimento d generiche, rilevando la mancanza di elementi positivi valutabili e non avendo le risultan dibattimentali fornito elementi per potersi discostare dalla valutazione operata dal pr giudice. Quanto, invece, alla sospensione condizionale della pena, ha confermato la prognosi negativa, alla stregua delle condotte, sintomatiche di una spiccata capacità a delinquere, per manifestata indifferenza alle difficoltà e all’incolumità dei lavoratori, ai quali erano pure presidi per lavorare in condizioni di sicurezza con i macchinari, sottolineandosi che l’att illecita era stata conntinuata anche dopo il primo intervento dell’ispettorato.
3. La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto nullità della sentenza a norma dell’art. 606 comma 1, lett. e cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192, comma 2 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. p per manifesta illogicità e insufficienza della motivazione sull’affermazione della pe responsabilità quale concorrente del reato di sfruttamento della manodopera. A parere della difesa, il giudizio si fonderebbe su due sole circostanze (qualifica di capo reparto e posse dell’elenco degli operai), avendo i giudici territoriali omesso di valutare l’elemento sogge del reato, tenuto conto della posizione di dipendente con mansioni non ufficiali di capo repar posto allo stesso livello economico degli altri lavoratori, con i loro stessi orari, senz
privilegio o premio. Sotto altro profilo, si è rilevato che non è stata contestata alcuna con di reclutamento, non procedendosi per tale fattispecie, la stessa non potendo essere utilizzat per dimostrare un quadro generale di consapevolezza di cooperare nell’illecito, l’imputato no essendosi occupato dei pagamenti, dei relativi contratti e neppure degli accordi sulle condizio di lavoro, essendosi limitato a prendere ordini dal datore di lavoro, eseguiti per conservar proprio posto, cui non poteva rinunciare benché sfruttato.
Con il secondo motivo, ha dedotto inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione apparente, con specifico riferimento al diniego delle generiche, al diversificazione della pena e ai benefici: la difesa ha rilevato l’erroneità dell’assunto seco quale l’imputato fosse un alter ego del datore di lavoro, avendo fornito tutti gli elementi per addivenire ad una valutazione diversificata, trattandosi di preposto che eseguiva gli ordini datore di lavoro, non comprendendosi per quale ragione egli avrebbe dovuto rendersi conto che, dopo il primo controllo ispettivo, ci sarebbe stato un intervento dell’autorità giudiziar
4. La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge, travisamento della prova e vizio dell motivazione, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen., riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 60 bis, cod. pen. Nella specie, i giudici sarebbero incorsi nel travisamento della prova che, secondo deducente, avrebbe dimostrato una gestione esclusiva dei lavoratori da parte del COGNOME (rappresentante RAGIONE_SOCIALE, atteso che, nel corso dell’accesso ispettivo del novembre 2016, era stata rilevata la presenza di lavoratori stranieri all’interno dello stabile di pro tale azienda. Secondo l’accusa il COGNOME sarebbe stato un committente fittizio, laddove RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata mera somministratrice della manodopera. Tuttavia, era stata la stessa accusa a ritenere che i lavoratori trovati nel capannone della fabbrica RAGIONE_SOCIALE, dato comodato a RAGIONE_SOCIALE, lavoravano nello stesso contesto locativo, rispondendo alle direttive del COGNOME, a tal fine richiamando stralci di deposizioni, per affermare come nessuno dei testi, neppure gli ispettori del lavoro, avesse riferito della presenza dell’impu in quei luoghi. Sotto altro profilo, ha rilevato che le emergenze dibattimentali avevano chia che la RAGIONE_SOCIALE non aveva i mezzi per eseguire l’opera sub appaltata, di fatto trattandosi di una “scatola vuota” priva di autonomia gestionale nell’ambito del sub appalt operante con mansioni, orari e modalità identici a quelli dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, questa volta con riferimento all’elemento oggettivo del reato: si è affermato che non sarebbe stato esattamente individuato il numero dei lavoratori e che costoro erano soggetti con capacità economic:a, ognuno dei quali ha confermato di avere spontaneamente accettato la proposta lavorativa e, al momento opportuno, deciso di abbandonare, molti motivando la decisione proprio a causa della mancata, compiuta retribuzione, nessuno di essi avendo però intentato azioni qiudiziarie o stragiudizia per ottenere il riconoscimento delle proprie pretese.
Con il terzo motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto al reato di cui all’art. 2, d. 463 del 1983: se le prestazioni lavorative, secondo quanto affermato dalla stessa Corte
territoriale, erano avvenute a titolo gratuito, il mancato versamento all’INPS delle tratt sulla retribuzione non potrebbe configuarsi, tenuto conto della ratio dell’incriminazione che non è quella di colpire la condotta omissiva, bensì sanzionare la condotta connmissiva di chi appropria delle ritenute prelevate dallo stipendio del lavoratore.
Infine, con il quarto motivo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento al reato di all’art. 37 I. 689/1981, osservando che la punibilità per omissione contributiva si configura nell’ipotesi in cui il mancato versamento superi del 50% l’importo dovuto all’INPS, oltre soglia di euro 2.500,00 mensili, con la conseguenza che se i contributi mensilmente dovuti non superano l’importo di euro 5.164,56, ossia il doppio della somma indicata dalla norma, anche se l’omissione riguardi una significativa percentuale del dovuto e sia superiore al 50% di ess occorrerà che l’importo superi comunque la soglia minima pari a euro 2.582,28. Nella specie, sarebbe stata omessa ogni spiegazione sulle modalità del calcolo.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto.
L’avv. NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE ha depositato note scritte,, con le quali ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza, con pronuncia di assoluzione o, in subordine, riduzione della pena previo riconoscimento delle attenuanti generiche.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
Qualche premessa è necessaria ai fini della disamina dei motivi dei ricorsi.
2.1. La tenuta della motivazione censurata dai ricorrenti anche per travisamento della prova va esaminata alla stregua di quelle che sono state le ragioni giustificative della condan rinvenibili nella sentenza impugnata, ma anche in quella appellata. Nonostante talune affermazioni difensive, infatti, tenuto conto del tenore delle censure formulate, pare in que sede opportuno ribadire il consolidato principio per il quale, in tema di motivi di ricors cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvediment impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabil efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probato rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (sez. 5, n. 480 2/7/2019, S., Rv. 277758-01; sez. 6, n. 21015 del :17/5/2021, COGNOME, Rv. 281665-01; sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01), essendosi altresì precisato, proprio per il caso di cosiddetta “doppia conforme”, che il vizio del travisame della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o pe omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il lcorso per cassazione ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ric rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato p la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento d secondo grado (sez. 3, n. 45537 del 28/9/2022, M., Rv. 283777-01).
Tale principio, peraltro, vale sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per ri alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati d primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifest evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza de motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito ne contraddittorio delle parti (sez. 4, n. 35963 del 3/12/2020, COGNOME, Rv. 280155-01).
2.2. Va poi ricordato, siccome principio altrettanto consolidato e sempre tenuto cont del tenore delle censure difensive, che – in tema di motivi di ricorso per cassazione sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla s manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ign quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” l persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità qu non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giunge conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della probatoria del singolo elemento (sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv, 280601-01). Eccede, infatti, dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattu trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto ch controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, c 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica del’esposizione delle ragioni giuridic apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’util della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del proce ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisi insindacabile (sez. 3, n. 17395 del 24/1/2023, Chen, Rv. 284556-01.; n. 2039 del 2/2/2018, dep. 17/1/2019, Papini, Rv. 274816-07). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Infine, tenuto conto delle doglianze cori le quali è stato attaccato il ragionam svolto dai giudici territoriali quanto alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggetti reato di sfruttamento dell’altrui attività lavorativa, mette conto evidenziare che agli impu stato contestato il reato di cui all’art. 603 bis, cod. pen., sub specie utilizzo, assunzione o impiego della manodopera in condizioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori. È, peraltro, necessario precisare che lo sfruttamento connesso all
violazione di norme poste a tutela del lavoratore, che può astrattamente caratterizzare anch la fattispecie del reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, è accompagnat in quest’ultimo caso, dalla significativa compromissione della capacità di autodeterminarsi d soggetto passivo, a causa della verificata assenza di alternative esistenziali validamen percorribili (sez. 5, n. 17095 del 16/3/2022, COGNOME, Rv. 283899-01). Ed infatti, è stato coerentemente precisato che, ai fini dell’integrazione del reato di intermediazione illeci sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale d annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accet condizioni particolarmente svantaggiose (sez. 4, n. :24441 del 16/3/2021, RAGIONE_SOCIALE, in cui, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto immune da censure il provvediment impugnato che aveva ravvisato lo stato di bisogno nella condizione di difficoltà economica dell vittime, capace di incidere sulla loro libertà di autodeterminazione, trattandosi di persone più giovani e non particolarmente specializzate, e quindi prive dela possibilità di repe facilmente un’occupazione lavorativa). In altri termini, per la configurabilità del reato per procede non è necessaria una condotta “dominicale” sui lavoratori, ma devono sussistere gli indici elencati di cui al comma 3 dell’art. 603 bis, cod. pen. che devono caratterizzare tanto l’attività di reclutamento quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego de manodopera, la cui elencazione, tuttavia, non ha carattere tassativo, potendo il giudi individuare ulteriori condizioni suscettibili di dare luogo alla condotta di abuso del lavo (sez. 4, n. 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282609-01).
Cosicché, se è vero che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadin extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno d accedere alla prestazione lavorativa, non possa di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all’art. 603 bis cod. pen., è però da considerare che il reato é caratterizzato dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rileveizione attengono ad condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione dello stesso, resa manifesta d profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violaz norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (sez. 4, n. 27582 del 16/9/2020, Savoia, Rv. Rv. 279961-01, in fattispecie, analoga a quella all’esame, in cui la Corte ha ritenuto immune d censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del “caporale” e del datore di lavoro essendo lo sfruttamento evincibile dalla penosa situazione personale e abitativa degl extracomunitari, dalla durata oraria della prestazione, svolta senza dotazioni di sicurezza corsi di formazione e senza fruizione del riposo settimanale, nonché dall’entità del retribuzione, decurtata sensibilmente per spese affrontate dal datore di lavoro; n. 49781 de 9/10/2019, Kuts, Rv. 277424-01).
Quanto, poi, all’elemento soggettivo del reato contestato ai due imputati, questa stessa Sezione ha già chiarito che il delitto previsto dall’art. 603 bis, comma primo, n. 1, cod. pen. è caratterizzato dal dolo specifico, essendo necessario che l’intermediario recluti manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre per quello previsto dall’art .
bis, comma primo, n. 2, cod. pen., è sufficiente il dolo generico, essendo richiesto ch l’utilizzatore abbia agito con coscienza e volontà di sottoporre i lavoratori a condi di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisogno (sez. 4, n. 3554 del 18/1/2 Siena, Rv. 282577-01).
3. Alla luce di tale premessa in diritto, questa Corte ritiene manifestamente infondat primo motivo dedotto nell’interesse dell’imputato RAGIONE_SOCIALE e il primo e il secondo motivo dedotti nell’interesse dell’imputato RAGIONE_SOCIALE. Le difese, infatti, hanno formulato censure c aggrediscono direttamente la decisione, più che il ragionamento giustificativo di essa. La dife del primo, oltre ad aver ignorato la portata probatoria assegnata dai giudici del doppio grado ritrovamento presso lo stesso della contabilità “illecita” avente ad oggetto propri sfruttamento dei lavoratori, dato fattuale altamente valorizzato per quanto riguarda condotta di concorso dell’imputato e l’elemento psicologico che l’ha ‘sostenuta, ha ritenuto opporvi la condizione di mero dipendente del coimputato IQBAL, ricavando dalla natura non plurisoggettiva del reato un onere di motivazione rafforzata in capo al giudicante. ragionamento è fallace perché non considera le ragioni che hanno sos:enuto quella decisione. I giudici del doppio grado, infatti, hanno letto la condotta oggettivamente accertata in capo RAGIONE_SOCIALE, descritto come vero e proprio “caporale” dei lavoratori sfruttati, alla stregua del fat che allo stesso era stata affidata la contabilità delle retribuzioni, probante lo sfrutt economico dei lavoratori stessi, quanto alle condizioni lavorative essendone emerso il ruol attivo, a prescindere dalla circostanza che avesse seguito direttive datoriali.
Nessuna manifesta illogicità connota il ragionamento dei giudici territoriali sul pun avendo costoro valorizzato elementi probatori acquisiti al processo, rispetto ai quali la di non ha opposto alcun travisamento nei termini deducibili secondo i principi sopra richiamati quanto alla condotta di reclutamento, la stessa essendo stata impropriamente definita dalla Corte territoriale nel caso di specie (vedi pag. 29 della sentenza censurata), nel quale non procede per l’ipotesi di cui all’art. 603 bis, comma 1, n. 1, cod. pen., senza però che da tale improprio utilizzo sia derivata alcuna compromissione del ragionamento generale con il quale si è dato ampio conto della sussistenza della condotta contestata ai sensi del comma 1, n. 2 dello stesso articolo, descritta nei termini di cui all’imputazione.
Allo stesso modo, quanto all’imputato RAGIONE_SOCIALE, la difesa ha insistito sulla no riconducibilità dei lavoratori alla gestione RAGIONE_SOCIALE, opponendo il ruolo dominante della subappaltante e del COGNOME per essa. In merito, va intanto rilevata la sostanziale sovrapponibilità, anche grafica, delle doglianze veicolate con il ricorso rispetto a qu dell’appello, cosicché la inammissibilità del primo, rispetto a tale motivo, discende direttame dal mancato raffronto con la risposta data dai giudici del gravame proprio alle medesime censure. Di talché, risulta preternnesso lo stesso ragionamento che si censura, essendo già di per inammissibile il ricorso fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatame respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, so
apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, NOME/o, Rv. 260608-01).
La Corte di merito, infatti, ha dato conto degli elementi confermanti il r dell’imputato, a partire dalla circostanza che era la RAGIONE_SOCIALE ad impiegare i lavoratori nelle condizioni descritte in imputazione, così come era un dipendente RAGIONE_SOCIALE a detenere la relativa contabilità, senza che l’istruttoria avesse restituito informazioni col con tali dati oggettivi, corroborati dalle prove orali acquisite, dalle quali era stata distinzione dei ruoli e gli apporti autonomi degli imputati, non essendovi traccia nel contrat sub appalto delle condizioni retributive da sfruttamento applicate dall’imputato.
Quanto, poi, alla pretesa insussistenza dell’elemento oggettivo, ancora una volta si rileva che la doglianza costituisce mera riproposizione di argomenti spesi nel gravame, osservandosi come la difesa sul punto muova peraltro dall’errato presupposto che il reato per cui si procede richieda una condotta di tipo “dominicale” che è, invece, propria del diver reato di riduzione in stato di schiavitù o servitù, richiamandosi, quanto ai connotati propri stato di bisogno, i principi esposti al §2, rispetto ai quali si rileva la piena coere ragionamento dei giudici territoriali e la incoerenza delle argomentazioni difensive.
Sono manifestamente infondati anche il terzo e il quarto motivo formulati nell’interesse dell’imputato IQBAL.
Quanto al terzo, infatti, vero è che il reato di cui all’art. 2 della legge 11 nov 1983 n. 638 (omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti) non è configurabile in assenza materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo cli retribuzione (Sez. U, 27641 del 28/5/2003, COGNOME, Rv. 224609-01, in Clii Si è precisato che il riferimento letterale alle “ritenute operate” sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può esser operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore); ma è anche vero che di tale principio i giudici territoriali sono risultati edotti allorquando hanno precis proprio dalla contabilità rinvenuta all’imputato RAGIONE_SOCIALE, era emersa ‘a retribuzione, inferiore, corrisposta ai lavoratori sfruttati. Non va, infatti, dimenticato che, ai fini della config del reato, è necessaria la prova del materiale esborso, anche in nero, della retribuzione (se 3, n. 38271 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 237829-01, in cui si é precisato che il relativo onere probatorio grava sulla pubblica accusa, che può assolverlo sia mediante il ricorso a prov documentali che testimoniali ovvero attraverso il ricorso alla prova indiziaria; n. 29037 20/2/2013, COGNOME, Rv. 255454-01; n. 6934 del 23/11/2017, cep. 2018, Locate/li, Rv. 272120-01; n.32848 del 08/07/2005, COGNOME, Rv.232393-01; sez. 3, n. 26579 del 20/5/2021, COGNOME, in motivazione). Il che è quanto avvenuto, nella specie, avendo i giudici territoriali fatto rinvio alle prove documentali dell’esborso, diverse dal normale modello DM ma pur sempre rappresentative del presupposto fattuale, indispensabile perché sorga l’obbligo del versamento, sebbene in questo caso tale obbligo sia ricollegato alla corresponsione in nero di una retribuzione in violazione dei minimi legali. È, dunque, a fronte di tale p documentale specifica che, nella specie, è stato ravvisato l’obbligo dell’imputato di forn
prova della difformità del dato reale (assenza del materiale esborso delle somme) rispetto a quello documentale. Il che si pone in linea di corenza con i principi affermati d giurisprudenza in ordine al riparto dell’onere probatorio, senza che possa rinvenirsi traccia inammissibili inversioni svaforevoli all’accusato.
Anche rispetto al quarto motivo, infine, si ritiene il mancato confronto con le rag della decisione contestata: muovendo dal principio che, ai fini del calcolo della cosiddetta sog di punibilità di cui all’art. 37 L. n. 689 del 1981 in relazione al reato di omissione o f registrazione o denuncia obbligatoria in materia di previdenza ed assistenza, deve tenersi conto sia dell’ammontare dei contributi e premi dovuti dal lavoratore sia dell’ammontare de contributi e premi dovuti dal datore di lavoro (sez. 3, n. 38275 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 237947-01). L’art. 37 della I. 24 novembre 198:1. n. 689, nell’attribuire rilevanza penale all’omissione delle denunce mensili obbligatorie quando dal fatto derivi l’omesso versamento di contributi e premi per un importo mensile non inferiore al maggiore importo tra euro 2.582,28 e il 50% dei contributi complessivamente dovuti, si riferisce, infatti, c:on il primo paramet tutto quanto a titolo di contributi dev’essere versato in un determinato mese dell’anno c riferimento alle retribuzioni erogate a tutti i dipendenti e, con il secondo, alla percentua contributi complessivamente dovuti, per la pluralità dei lavoratori effettivamente impieg nell’azienda, per ciascun singolo mese e non già per più mensilità (sez. 3, n. 25201 de 26/5/2011, Lika, Rv. 250981-01).
Nella specie, il calcolo operato dalla Corte ha fatto riferimento alla tabella allega capo b) della imputazione, rinviando alle prove alle quali quel calcolo era stato affid (dichiarazioni previdenziali obbligatorie dell’imputato e dati dell’ispettorato del lavoro retribuzioni versate). I contributi non versati e dovuti hanno superato la soglia min prevista, senza che la difesa abbia contestato i calcoli siccome effettuati, essendosi, inve limitata ad affermare un’asserita impossibilità di controllare detto conteggio, impossibi smentita proprio dalle ragioni debitamente esposte nella sentenza censurata.
Infine, è manifestamente infondato il secondo motivo formulato nell’interesse dell’imputato RAGIONE_SOCIALE, con il quale si è sostanzialmente censurata la decisione di non differenziare le posizioni dei due imputati, ai fini del riconoscimen’:o di eventuali ben allegandosi una apparenza del relativo percorso giustificativo.
Premesso che non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (sez. 4, n. 5395 d 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096-01; sez. 1, n. 12624 del 12/2/2019, COGNOME, Rv. 275057-01), deve risolutivamente osservarsi che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, no formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700-01; sez. 5, n. 44201 del 29/9/2022, Testa, Rv. 283808-01).
Nella specie, con i motivi tre e quattro del gravame, la difesa aveva genericamente contestato il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena allegando il ruo di dipendente di RAGIONE_SOCIALE rispetto a RAGIONE_SOCIALE e ritenuto la pena troppo elevata in ragione della stessa circostanza. Le censure avevano attaccato la motivazione della sentenza appellata, con la quale il primo giudice, dopo aver valutato la gravità della condotta (richiamando anche u episodio a carico dei due imputati, per il quale era stata disposta la trasmissione degli atti Procura della Repubblica di Rovereto sulla rilevanza penale del fatto, consistito nell’a rinchiuso un lavoratore su un furgone sino all’arrivo del commercialista) e il discostamen contenuto rispetto al minimo edittale per la pena base, ha ritenuto di non differenziare posizioni dei due imputati, poiché entrambi, in vesti formali diverse, avevano egualment partecipato con condotte di notevole gravità e con grande spregiudicatezza, alla commissione del reato. A fronte delle riproposte, generiche osservazioni difensive, con le quali si continu in sostanza, a opporre il ruolo diverso dell’imputato a causa del rapporto subordinato rispet al datore di lavoro, la Corte ha disatteso tale prospettazione, laddove ha motivato (pagg. 3 35) sul ruolo paritetico di costui rispetto al concorrente e sulla essenzialità del suo contr rispetto al reato: egli aveva cooperato attivamente con riferimento a tutti gli aspetti vicenda esaminata; era stata provata un’attività di reclutamento (come già detto non contestata in imputazione) che la Corte ha però richiamato a conferma del ruolo attivo dell’imputato; era costui a gestire le condizioni lavorative della manodopera sfruttata ed stato sempre HAMEED a detenere la contabilità. Trattasi, a ben vedere, di motivazione tutt’altro che apparente, a fronte di censure ripropositive di quelle genericamente formula con il gravame, ribadendosi l’inammissibilità del ricorso per cassazione che riproduca e reite gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e rnotivatamente respinti in secondo gr senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicit della motivazione (sez. 2, n. 27816 del 22/3/2019, Rovine//i, Rv. 276970-01).
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in l’avore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 12 dicembre 2023.
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