Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1975 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1975 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Favara il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza in data 05/09/202:3 del Tribunale di Caltanissetta, Sezione per il riesame;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica in data 04/12/2023, con la quale il difensore del ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 05/09/2023 il Tribunale di Caltanissetta, Sezione per il riesame, ha rigettato l’appello cautelare proposto avverso l’ordinanza con cui, il precedente 03/07/2023, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta aveva disposto, nei confronti di COGNOME NOME, indagato per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, la misura cautelare interdittiva del divieto di esercizio di attività imprenditoriale.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha articolato due motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, camma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e, in specie, degli artt. 125, 273, 275, 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza della gravità indiziaria.
Sostiene in proposito che, a fronte di specifica doglianza articolata con l’atto di appello, involgente l’effettiva consapevolezza, da parte dell’indagato, della condizione di bisogno in cui versavano i lavoratori occupati per il tramite di COGNOME NOME, il Tribunale distrettuale si sarebbe limitato a sostenere, in maniera palesemente apodittica, che le giustificazioni addotte dal predetto apparivano inverosimili, in conformità al teorema secondo cui sarebbe illogico ritenere che fosse all’oscuro di dette circostanze.
Aggiunge, poi, che i giudici della cautela avrebbero palesemente eluso anche la disamina di un’ulteriore lamentazione fatta valere con l’atto di gravame, essendosi ivi espressamente dedotto che non era dato sapere se i lavoratori impiegati presso il fondo nella disponibilità dell’indagato fossero sempre gli stessi, se fossero o meno titolari di permesso di soggiorno e se versassero tutti in stato di bisogno.
Rileva, ancora, che, nonostante un’esplicita sollecitazione al riguardo, non sarebbero stati valutati dal giudice dell’appello cautelare il periodo d’impiego dei lavoratori, la quantità e la qualità del lavoro da essi prestato, la congruità della retribuzione loro corrisposta rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva e le condizioni di lavoro, in termini di soggezione e di sorveglianza.
Conclude pertanto che le evidenziate criticità inficerebbero l’apparato motivo a fondamento dell’ordinanza oggetto d’impugnativa, comportando, nel contempo la violazione delle evocate norme processuali.
2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e, in specie, degli artt. 125, comma 3, 274, comma :L, lett. c), e 275, comma 1, cod. proc. pen. e di vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e di effettuato bilanciamento degli interessi in gioco ai fini della scelta della misura.
Osserva al riguardo che il Tribunale distrettuale, a fronte di un’ulteriore doglianza involgente il profilo cautelare e, in specie, la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione, avrebbe illegittimamente ed irragionevolmente evocato
come indicatore dello stesso la professionalità criminale dell’indagato, qualità che, tuttavia, mal si concilia con la ridotta durata del rapporto con l’intermediario COGNOME NOME, lasciando così intendere che l’aspetto preventivo era stato valutato, del tutto ingiustificatamente, in maniera “cumulativa” e che il vincolo personale era stato disposto senza effettuare il dovuto bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco.
Conclude quindi che, anche in tal caso, le descritte criticità inficerebbero l’apparato motivo a fondamento dell’ordinanza gravata, determinando, altresì, la violazione delle citate norme processuali.
Lo stesso difensore ha depositato poi, in data 04/12/2023, una memoria di replica, con la quale ha insistito per l’accoglimento del proposto ricorso.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 7 del d.l. n. 1 del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall’art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Privo di fondamento è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e, in specie, degli artt. 125, 273, 275, 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza della gravità indiziaria, sostenendo, innanzitutto, che nel provvedimento impugnato si sarebbe apoditticamente sostenuto che le giustificazioni addol:te dall’indagato a sostegno della propria inconsapevolezza dello stato di bisogno in cui versavano i lavoratori occupati nei propri fondi risultavano inverosimili, rilevando, inoltre, che non si sarebbe chiarito, in elusione di specifica doglianza, se i prestatori d’opera assunti di volta in volta fossero sempre gli stessi e fossero o meno titolari di permesso di soggiorno e aggiungendo, infine, che non si sarebbero valutati, anche in tal caso in spregio di esplicita sollecitazione di parte, il period d’impiego dei lavoratori, la quantità e la qualità delle attività da essi prestate, l congruità delle retribuzioni percepite e le condizioni di lavoro.
Rileva preliminarmente il Collegio che costituisce consolidato insegnamento della Suprema Corte – al quale s’intende dare continuità – quello secondo cui «In tema di misure caute/ari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di meri abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziarlo a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (così: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012-01 e Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 21582801, nonché, più di recente, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01).
Tanto premesso, è d’uopo rilevare che alcun vizio motivazionale è dato riscontrare nell’argomentato a sostegno del provvedimento cautelare oggetto d’impugnativa.
E invero, i giudici della cautela, nel confermare il provvedimento impositivo della misura interdittiva, hanno evidenziato che le risultanze della compendiosa attività di captazione svolta in fase investigativa rivelavano che COGNOME NOME, seppur entro un lasso di tempo contenuto, aveva reiteratamente richiesto all’intermediario COGNOME NOME di procacciargli, “al nero”, più prestatori d’opera alla giornata da destinare alla raccolta di uva presso i fondi di sua proprietà, che tali richieste erano state effettuate anche in epoca antecedente a quella monitorata, che il predetto imprenditore agricolo era pienamente consapevole della condizione di bisogno in cui versavano i lavoratori reclutati su sua esplicita richiesta, non foss’altro che per il miserevole importo della paga loro corrisposta e per i massacranti orari lavoral:ivi imposti e che sussisteva altresì nell’agente, in ragione della sua qualità di diretto gestore delle coltivazioni, la consapevolezza delle precarie condizioni di sicurezza in cui le attività erano svolte e della totale assenza di adeguati presidi antinfortunistici (così, segnatamente, alle pagg. 8, 9 e 10 dell’ordinanza impugnata).
Per altro verso, deve poi rimarcarsi che nel provvedimento adottato, in sede di appello cautelare, dal Tribunale distrettuale non si riscontra neanche la denunziata inosservanza delle evocate disposizioni processuali, delle quali, invece, risulta effettuata applicazione rituale e in linea con l’ermeneusi costantemente offerta dalla giurisprudenza di legittimità.
Del tutto infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e, in specie, degli artt. 125, comma 3, 274, comma 1, lett. c), e 275, comma 1, cod. proc. pen., nonché di vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e di effettuato bilanciamento degli interessi in gioco ai fini della scelta del vincolo, assumendo, per un verso, che nel provvedimento gravato, a fronte di un rapporto collaborativo con l’intermediario di durata contenuta, si sarebbe illegittimamente ed irragionevolmente evocata, come indicatore del pericolo di recidiva, la professionalità criminale dell’indagato e, per altro verso, che il presidio interdittivo imposto sarebbe stato individuato senza effettuare il dovuto bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco.
Osserva in proposito il Collegio che, al netto della prospettata, ma non argomentata inosservanza di norme processuali, risulta del 1:utto insussistente anche il dedotto vizio motivazionale, apprendo tutt’altro che manifestamente illogiche le argomentazioni a fondamento sia della ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari che dell’operata individuazione del presidio cautelare giudicato idoneo a fronteggiarle.
E invero, il Tribunale distrettuale, con valutazione specificamente riferita alla persona del COGNOME, ne ha evidenziato, in maniera lineare, logica e coerente, la negativa personalità, nonché la consapevole ed allarmante indifferenza per la sistematica violazione dei più elementari diritti dei lavoratori in concreto occupati, individuando in tali fattori, a prescindere dal lasso temporale in cui aveva avuto corso la “collaborazione” con l’intermediario COGNOME, gli indici rivelatori dello stringente, concreto e attuale pericolo di condotte recidivanti.
Per altro verso, i giudici della cautela, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, hanno tenuto conto delle pregiudizievoli conseguenze che l’adozione del presidio interdittivo e la sua durata annuale avrebbero causato all’attività imprenditoriale svolta dal predetto, ponendo in rilievo, in aderenza al “decisum” del giudice per le indagini preliminari, che la salvaguardia delle esigenze di cautela anzidette imponeva il mantenimento del vincolo in atto e ne impediva il contenimento della durata in tempi più ridotti.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/12/2023