Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9303 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9303 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
ìdTrO ThPubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME 1
che ha concluso chiedendo c-k-~’
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di COGNOME NOME propone ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce che, parzialmente riformando la pronuncia del Tribunale di Brindisi, per avere escluso l’aggravante di cui all’art. 603-bis, comma 2, cod. pen. e, conseguentemente, ridetermiNOME la pena alla stessa inflitta, ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputata in ordine al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME (nei confronti dei quali si procede separatamente), con la correlativa pena accessoria.
1.2. Secondo l’imputazione, così come definita nei termini originari, la COGNOME, in qualità di trasportatrice dei prestatori d’opera e di “staffetta”, in posizione subordinata rispetto ai citati coimputati, svolgeva un’attività organizzata di intermediazione reclutando manodopera e organizzandone l’attività lavorativa, caratterizzata da sfruttamento, mediante minaccia e intimidazione (consistite nella prospettazione continua ed aggressiva della possibilità di licenziamento, profferendo nei confronti dei lavoratori le frasi “sbrigatevi altrimenti domani rimarrete a casa” ed anche “se domani non ci stanno all’appello tutti… tutti licenziati!”), approfittando dello stato di bisogno o di necessità di più di tre lavoratori: persone, circostanze e modalità di lavoro, tutte richiamate nel capo di imputazione.
2. Il ricorso consta di tre motivi:
2.1 Con il primo, si deducono mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta di derubricazione del fatto nel reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 cod. pen. Non vi sarebbe, infatti, alcuna evidenza probatoria in merito alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice in esame. I giudici del gravame avrebbero omesso di procedere ad un’accurata valutazione dell’elemento soggettivo dell’imputata, giacché non vi erano dubbi circa l’intenzione della stessa di aiutare i responsabili del reato ad eludere le investigazioni dell’autorità, e non già di contribuire attivamente all’azione posta in essere da altri. La prevenuta non ha mai partecipato alla divisione dell’illecito profitto derivante dalla corresponsione di retribuzioni a braccianti agricoli, né aveva alcun interesse concreto ad un positivo concorso nell’azione criminosa dei correi;
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta l’omessa motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, invocate in considerazione del contributo ` – k L del tutto marginale fornito dall’imputata rispetto 1 , Wcondotta posta in essere dai
coimputati COGNOME e COGNOME, nonché in considerazione della totale mancanza di precedenti penali e carichi pendenti in capo alla stessa;
2.3. Con il terzo motivo, si deduce l’omessa 4motivazione, nonché la violazione di legge in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nonostante la relativa richiesta fosse stata oggetto di specifico motivo di appello.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In data 07/12/23, sono pervenute conclusioni scritte del difensore dell’imputata, AVV_NOTAIO.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato, oltre che reiterativo di doglianze cui la Corte territoriale ha fornito risposta compiuta e non manifestamente illogica. Sulla base della ricostruzione dei fatti, così come risultante inequivocabilmente dalla combinazione dei servizi di o.c.p. e dell’attività captativa, posti in essere nel corso delle indagini, la sentenza impugnata ha osservato che l’imputata non si confronta con l’accurato apparato motivazionale della sentenza di primo grado, la quale ha analiticamente descritto il quadro probatorio a carico della stessa; quadro probatorio, che il provvedimento richiama laddove, in particolare, ricorda come l’attività della donna non fosse circoscritta al mero trasporto di manovalanza, ma consistesse anche, e soprattutto, nel fare da “staffetta” rispetto agli altri mezzi sui quali viaggiavano i lavoratori, con il compit di avvisare immediatamente gli altri conducenti dell’eventuale presenza di forze di polizia, e come l’imputata godesse stabilmente di una delega in merito all’organizzazione del lavoro e alla gestione dei lavoratori. Alla luce di tali risultanze, la Corte territoriale ha ritenuto non possibile ravvisare un’ipotesi di favoreggiamento (tanto meno di mera connivenza), rilevando come l’imputata, sorretta dalla volontà di partecipare alla consumazione del reato, sia pure in posizione subordinata rispetto ai concorrenti, non abbia offerto un contributo meramente mirato ad agevolare l’elusione delle indagini, ma abbia invece rivestito «un ruolo di sistematica collaborazione nell’attuazione del programma criminoso ideato dalla COGNOME e dal COGNOME».
I motivi secondo e terzo, afferenti al trattamento sanzioNOMErio, sono parimenti privi di pregio, atteso che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena trovano implicita motivazione nella affermata «gravità dei fatti connotata… dallo sfruttamento dei lavoratori in spregio delle basilari regole che disciplinano la materia». Costituisce, invero, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per il quale la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice di appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzioNOMErio irrogato dal giudice di primo grado .
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente