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Sfruttamento del lavoro: confisca anche dei beni non usati

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per sfruttamento del lavoro a carico di due imprenditori agricoli. La Corte ha chiarito che la sproporzione della paga va valutata considerando le condizioni di lavoro complessive, non solo il divario numerico con i contratti collettivi. È stata inoltre confermata la confisca di tutti i terreni dell’azienda agricola, anche quelli non direttamente utilizzati per l’impiego dei lavoratori, in quanto parte del compendio aziendale funzionale al reato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sfruttamento del lavoro: La Cassazione e i Criteri per la Confisca dei Beni Aziendali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2573 del 2024, offre importanti chiarimenti sul reato di sfruttamento del lavoro, delineando con precisione sia i criteri per valutare la sproporzione della retribuzione sia l’ambito di applicazione della confisca dei beni aziendali. La decisione conferma che lo sfruttamento non si misura solo con un calcolo matematico sulla paga, ma richiede una valutazione complessiva delle condizioni lavorative. Inoltre, stabilisce che la confisca può estendersi all’intero compendio aziendale, anche ai beni non direttamente utilizzati nel luogo fisico dove è avvenuto lo sfruttamento.

I Fatti del Caso

Due imprenditori agricoli sono stati condannati per aver impiegato quattro lavoratori extracomunitari in condizioni di sfruttamento. I lavoratori percepivano una retribuzione media di 3 euro l’ora per giornate lavorative di 9 ore, in palese violazione dei contratti collettivi di categoria. A seguito della condanna, era stata disposta la confisca dei terreni di proprietà degli imputati.

La difesa ha impugnato la sentenza di secondo grado, sostenendo principalmente due punti: primo, che la differenza tra la paga effettiva (circa 45 euro al giorno) e quella contrattuale (circa 55 euro netti) non integrasse una “macroscopica sproporzione”; secondo, che la confisca dei terreni situati a Mazara del Vallo fosse illegittima, poiché l’attività lavorativa si era svolta prevalentemente in un altro appezzamento a Marsala, non di loro proprietà.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente i ricorsi, confermando sia la condanna per il reato di sfruttamento del lavoro sia la misura della confisca. La sentenza si articola su due principi fondamentali che rafforzano la tutela dei lavoratori e l’efficacia delle sanzioni penali.

Le motivazioni: Come si valuta lo sfruttamento del lavoro?

La Corte chiarisce che l’indice della “palese difformità” della retribuzione, previsto dall’art. 603-bis c.p., non può essere ridotto a un mero confronto aritmetico tra la paga corrisposta e quella prevista dai contratti collettivi. Il giudice deve effettuare una valutazione più ampia e qualitativa, che tenga conto di tutti gli aspetti del rapporto di lavoro.

Nel caso specifico, il confronto non era tra 45 euro e 51 euro netti, ma tra una retribuzione di 45 euro per un’attività lavorativa di almeno 9 ore al giorno, svolta in condizioni faticose e senza tutele (pause, riposo, ferie), e una retribuzione contrattuale prevista per poco più di sei ore giornaliere con tutte le garanzie legali. Questa sproporzione, unita all’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, integra pienamente il reato, poiché la paga erogata non garantisce un’esistenza libera e dignitosa, come richiesto dall’art. 36 della Costituzione.

Le motivazioni: L’estensione della confisca nello sfruttamento del lavoro

Il punto più innovativo della sentenza riguarda la confisca. I ricorrenti lamentavano la mancanza di un legame diretto tra i terreni confiscati (a Mazara del Vallo) e il luogo dove materialmente lavoravano le vittime (prevalentemente a Marsala). La Cassazione respinge questa visione restrittiva, affermando un principio di più ampia portata.

Secondo la Corte, la confisca obbligatoria prevista dall’art. 603-bis c.p. ha per oggetto l’azienda, intesa come il complesso dei beni funzionali alla commissione del reato. Non è necessario che ogni singolo bene confiscato sia stato il teatro fisico dello sfruttamento. Ciò che rileva è la “pertinenzialità” del bene al compendio aziendale nel cui ambito e per la cui utilità il reato è stato commesso. I terreni di proprietà degli imputati, anche se situati altrove, erano parte integrante della loro azienda agricola e, come tali, funzionali all’attività economica che si reggeva sullo sfruttamento della manodopera. Di conseguenza, la loro confisca è legittima e coerente con la finalità della norma, che è quella di sottrarre agli autori del reato l’intero contesto materiale ed economico che ha reso possibile il delitto.

Le conclusioni

La sentenza n. 2573/2024 della Corte di Cassazione consolida un’interpretazione rigorosa del reato di sfruttamento del lavoro. Le conclusioni che se ne possono trarre sono due:
1. La valutazione dello sfruttamento non è un esercizio contabile, ma un’analisi sostanziale delle condizioni di lavoro imposte, che devono essere confrontate con gli standard di dignità e proporzionalità garantiti dalla Costituzione e dai contratti collettivi.
2. La confisca è uno strumento potente che può colpire l’intero patrimonio aziendale funzionale al reato, a prescindere dall’allocazione topografica dei singoli beni. Questo principio impedisce facili elusioni e mira a disarticolare la struttura economica che si fonda sull’illegalità.

Quando una retribuzione è considerata ‘palesemente difforme’ ai fini dello sfruttamento del lavoro?
La retribuzione è ‘palesemente difforme’ non solo sulla base di un calcolo matematico rispetto ai contratti collettivi, ma attraverso una valutazione complessiva che considera la quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato (orari, fatica, assenza di tutele come pause, ferie, riposi) rispetto a quanto previsto contrattualmente per una paga simile. Una paga che non assicura un’esistenza libera e dignitosa integra questo requisito.

Per disporre la confisca dei beni di un’azienda, è necessario che lo sfruttamento sia avvenuto fisicamente su quei beni?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha stabilito che la confisca obbligatoria si applica all’intero compendio aziendale, inteso come il complesso dei beni funzionali a commettere il reato. Ciò che conta è la pertinenzialità del bene all’attività d’impresa nel cui ambito si è consumato lo sfruttamento, anche se il lavoro è stato prestato su altri fondi.

Cosa si intende per ‘compendio aziendale’ oggetto di confisca nel reato di sfruttamento del lavoro?
Si intende l’insieme dei beni funzionali all’attività d’impresa, come terreni, fondi rustici, attrezzature e impianti. La confisca può colpire l’intera azienda quale complesso di beni che costituisce il contesto materiale ed economico connesso al reato, per la cui utilità i lavoratori sono stati sfruttati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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