Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19066 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19066 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME nato a Brescia il 17-11-1974, NOMECOGNOME nato in Germaniail 10-08-1977, avverso la sentenza dei 21-02-2024 delle Corte di appello di Cagliari; Sezio distaccata di Sassari; visti gli atti, I provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona iei Sostituto Procuratore generale, dot NOME COGNOME che ha concluso per :i rigetto di entrambi i ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME‘ difensore di fiducia dei ricorrente COGNOME quale ha insistito per Ve.ccoglin -ìento dei -. i.corso e, in iia subordinata, ha chiesto pronunciarsi sentenza di annuarne.nto senza ;invft; per prescrizione del reato udito l’avvocato NOME COGNOME diferisze di fiducia de! ricorrente COGNOME il quale ha insistito per i’accoglimento dei ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 ottobre 2022, il Tribunale di Sassari, per quanto in questa sede rileva, condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene, rispettivamente, di anni 3 di reclusione il primo, e di anni 1 e mesi 10 di reclusione il secondo; i predetti imputati, in particolare, venivano ritenuti colpevoli, COGNOME, del reato di cui agli art. 640 bis cod. pen. (capo 3, commesso dal giugno 2012 al 7 luglio 2016 nella veste di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, nonché di due episodi del reato ex art. 2 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capi 5a e 6a, commessi, nella medesima veste prima indicata, rispettivamente il 25 settembre 2013 e il 24 settembre 2014), mentre Giardino veniva ritenuto colpevole di due episodi del reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capi 13b e 14, commessi rispettivamente il 4 ottobre 2013 e il 2 luglio 2014, in qualità di consigliere delegato della società agricola Esmeralda).
Con sentenza del 2 febbraio 2024, la Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma delle decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME in ordine al reato di cui al capo 5a, perché estinto per intervenuta prescrizione e, con riferimento alle residue imputazioni di cui ai capi 3 e 6a, riduceva la pena inflittagli ad anni 2 di reclusione, concedendo all’imputato la sospensione condizionale della pena. Con riferimento a Giardino, i giudici di appello dichiaravano non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al reato di cui ai capo 13b, perché estinto per intervenuta prescrizione e, con riferimento alle residua imputazione di cui al capo 14, ritenuta la continuazione con i più gravi reati oggetto della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Milano del 5 ottobre 2018, irrevocabile il 27 ottobre 2018, lo condannava alla pena ulteriore di mesi 4 di reclusione, così rideterminando la pena complessiva nella misura di anni 1 e mesi 10 di reclusione ed euro 4.000 di multa, con conferma della sospensione condizionale della pena già riconosciuta all’imputato.
Avverso la sentenza della Corte di appello sarda, COGNOME e COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. Giardino ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa contesta le conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, evidenziando che i giudici di secondo grado hanno mancato di confrontarsi con i rilievi dell’atto di appello, riferiti al tema deresistenza/inesistenza delle ,fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in relazione all’attività di coltivazione delle serr e all’effettività delle operazioni sottese, essendosi la sentenza impugnata concentrata su ciò che nei motivi di appello era dato per presupposto, ossia che l’unica attività di coltivazione delie serre era stata eseauita dalla società Piana di
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Giave, mentre l’impugnazione aveva pesto l’accento sul contenuto dei contratti stipulati tra le società RAGIONE_SOCIALE a Piana di Giave recanti i numeri 1, 3 e 5, contratti che peraltro sono stati tutú i -coistrati, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di appello, secondo cui era registrato solo il contratto n. 4. Rispetto a tale contratto, invero, !a Corte territoriale, con un completo revirement rispetto alla decisione di primo grado,. ha ritenuto che fosse l’unico che ha avuto parziale esecuzione, main realtà è mancata nella sentenza impugnata una seria valutazione attorno alla natura, alle finalità e alla rilevanza economica dei contratti, soprattutto nella prospettiva ci: RAGIONE_SOCIALE, società agricola di cui Giardino è stato consigliere delegato dal 30 ottobre 2012 al 20 settembre 2014. Né di conseguenza è stata approfondita la questione, dedotta con l’appello, dell’effettività de! rapporto contrattuale che aveva giustificato l’emissione delle fatture da RAGIONE_SOCIALE, soggetto appaltatore, in favore di RAGIONE_SOCIALE, committente. Con il secondo motivo, le critiche difensive concernono il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale, in relazione all’omessa risposta della Corte territoriale alle deduzioni dell’atto di appello, con cui era stato rimarcato l’interess economico di Esmeralda ad assumere in aappalto la coltivazione agricola delle serre da RAGIONE_SOCIALE e a subappaltaretali lavori, nornavendone .essa la capacità, a Piana di Giava per un corrispettivo che.consentiva a-RAGIONE_SOCIALE di conseguire un margine economico . dall’operazione contrattuale; né stato . considerato che le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE sono state da quest’ultima pagate e hanno generato per RAGIONE_SOCIALE un ricavo utilizzato per. determinare la base imponibile sulla quale la società ha pagato le imposte sui redditi., a ciò aggiungendosi che, ai fini dell’iva, l’imposta è stata riscossa e versata, a nulla rilevando la misura dell’aliquota, per cui anche in tal caso non vi è stata .evasione. Dunque, se le tre secietà avevano tutte motivi economici pei – sottoscrivere i contratti stipulati, ciò che rilevava, qualsiasi fossero /e ragioni per cui COGNOME avesse .appaltato i servizi di coltivazione a Esmeralda e non direttamente a Piana di Giave, era stabilire se l’interposizione di Esmeralda fosse reale o fittizia, dovendosi tenere conto che nel caso di specie non si è .di fronte .a una frode carosello dove, nello schema classico,, c’è un’interposizione fittizia di un ente che non versa Viva e non presenta dichiarazioni fiscali, mentre ‘interposizione di Esmeralda è stata reale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. COGNOME ha sollevato qoattro .motivi.
Con il primo, la difese deduce, rispetto a! capo 3, l’erronea interpretazione dell’art., 2135, comma 3, cod. eiv., -premettendo che, secondo l’impostazione dei giudici di merito, la produzione, di energia rinnovabile da parte della società agricola RAGIONE_SOCIALE non era, attività connessa alla coltivazione delle serre, ciò in base all’assunto secondo. cui,,quando Vattività agricola connessa, come la produzione di energia elettrica, prevalente rispetto all’attività di coltivazione del
Giave, mentre l’impugnazione aveva posto l’accento sul contenuto dei contratti stipulati tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Giave recanti i numeri 1, 3 e 5, contratti che peraltro sono stati tutti registrati, a differenza di quan ritenuto dai giudici di appello, secondo cui era registrato solo il contratto n. 4. Rispetto a tale contratto, invero, la Corte territoriale, con un completo revirement rispetto alla decisione di primo grado, ha ritenuto che fosse l’unico che ha avuto parziale esecuzione, ma in realtà è mancata nella sentenza impugnata una seria valutazione attorno alla natura, alle finalità e alla rilevanza economica dei contratti, soprattutto nella prospettiva di Esmeralda, società agricola di cui Giardino è stato consigliere delegato dal 30 ottobre 2012 al 20 settembre 2014. Né di conseguenza è stata approfondita la questione, dedotta con l’appello, dell’effettività del rapporto contrattuale che aveva giustificato l’emissione delle
fatture da RAGIONE_SOCIALE, soggetto appaltatore, in favore di RAGIONE_SOCIALE, committente. Con il secondo motivo, le critiche difensive concernono il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale, in relazione all’omessa risposta della Corte territoriale alle deduzioni dell’atto di appello, con cui era stato rimarcato l’interess economico di RAGIONE_SOCIALE ad assumere in appalto la coltivazione agricola delle serre da RAGIONE_SOCIALE e a subappaltare tali lavori, non avendone essa la capacità, a Piana di Giava per un corrispettivo che consentiva a RAGIONE_SOCIALE di conseguire un margine economico dall’operazione contrattuale; né è stato considerato che le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE sono state da quest’ultima pagate e hanno generato per RAGIONE_SOCIALE un ricavo utilizzato per determinare la base imponibile sulla quale la società ha pagato le imposte sui redditi, a ciò aggiungendosi che, ai fini dell’iva, l’imposta è stata riscossa e versata, a nulla rilevando la misura dell’aliquota, per cui anche in tal caso non vi è stata evasione. Dunque, se le tre società avevano tutte motivi economici per sottoscrivere i contratti stipulati, ciò che rilevava, qualsiasi fossero le ragioni per cui RAGIONE_SOCIALE avesse appaltato i servizi di coltivazione a Esmeralda e non direttamente a Piana di Giave, era stabilire se l’interposizione di Esmeralda fosse reale o fittizia, dovendosi tenere conto che nel caso di specie non si è di fronte a una frode carosello dove, nello schema classico, c’è un’interposizione fittizia di un ente che non versa l’iva e non presenta dichiarazioni fiscali, mentre l’interposizione di RAGIONE_SOCIALE è stata reale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. COGNOME ha sollevato quattro motivi.
Con il primo, la difesa deduce, rispetto al capo 3, l’erronea interpretazione dell’art. 2135, comma 3, cod. civ., premettendo che, secondo l’impostazione dei giudici di merito, la produzione di energia rinnovabile da parte della società agricola RAGIONE_SOCIALE non era attività connessa alla coltivazione delle serre, ciò in base all’assunto secondo cui, quando l’attività agricola connessa, come la produzione di energia elettrica, è prevalente rispetto all’attività di coltivazione de
fondo, verrebbe meno il requisito della connessione, con evidenti implicazioni sulla natura della società agricola, che si trasformerebbe in una società commerciale. Tale ragionamento non è tuttavia condiviso dal ricorrente, secondo cui il requisito della connessione deve ritenersi rispettato nel momento in cui, come nel caso di specie, l’azienda, per produrre l’energia elettrica verde, utilizza il fondo agricolo. Né può ritenersi pertinente il richiamo della Corte territoriale alla sentenza della Corte costituzionale n. 66 del 2015, posto che tale pronuncia riguardava il regime fiscale applicabile alla società agricola in relazione al- reddito prodotto dalla vendita dell’energia rinnovabile, avendo la Consulta esaminato’ marginalmente i parametri di connessione delle attività agricole rispetto all’attività primaria di coltivazion sempre nell’ambito delle questioni fiscali e mai con riguardo alla sussistenza dei requisiti generali della società agricola, ribadendosi al riguardo che il concetto di connessione delle attività agricole non può essere interpretato unicamente secondo il parametro reddituale/fiscale, posto che è il fondo agricolo con il suo utilizzo per la produzione di energia rinnovabile l’unico requisito che deve essere rispettato per la verifica della connessione con l’attività agricola di coltivazione. Dunque, nel caso di specie, la coìtivazione.delle serre da parte della RAGIONE_SOCIALE e la commercializzazione dei prodotti agricoli contrattualmente dimostrata consentivano . dl ritenere la produzione di energia rinnovabile attività “connessa”.
– Con il secondo motivo, è stata di . nuovo eccepita l’erronea interpretazione dell’art. 2135, comma 3, cod. civ., in tal caso CZO) in combinato disposto con l’art. 8, comma 6, dell’allegato A alla delibera della Giunta della Regione Sardegna n. 27-16 del 1° giugno 2011, evidenziandosi come non possa ritenersi corretta l’affermazione dei giudici ch merito secondo cui ia qualifica di imprenditore agricolo non poteva essere attribuita a COGNOME perché questi non esercitava direttamente, ovvero personalmente, l’attività di produzione agricola, non dovendo l’avverbio “direttamente” indicato nella normativa regionale essere interpretato in senso letterale, avendo la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Sardegna, sentenza n. 90 del 2019) chiarito che la produzione di energia elettrica da fonti fotovoltaiche deve ritenersi connessa all’attività agricola anche quando l’operatore ha delegato l’attività agricola a terzi esperti del settore mediante gli strumenti contrattuali apprestati daWerdinarnento. In quest’ottica troverebbe, dunque giustificazione la scelta della società RAGIONE_SOCIALE di stipulare contratti con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. A ciò si aggiunge che la società amministrata da COGNOME, contrariamente a quanto rit:enuto dai giudici merito, ha rispettato il requisito della capacità agricola adeguata, requisito che non può che essere inteso quale elemento da rapportare alla vendita di energia elettrica, essendo evidente che in nessun caso il reddito agricolo potrà superare il reddito derivante dalla produzione di energia, per cui occorre piuttosto valutare se l’attività agricola
prevista in serra possa essere adeguai:a rispetto a! campo aperto, emergendo invero dalla stessa sentenza impugnata che ìi progetto rispettava il requisito in esame, in quanto la capacità agricola all’interno della serra era assolutamente adeguata rispetto alla potenzialità produttiva esterna, essendo invece irrilevante il rapporto con i ricavi della vendita di energia.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il vizio di motivazione in relazione all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato di truffa aggravata di cui al capo 3: al riguardo si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, dalla conoscenza della legge o dall’impegno per conoscerla e rispettarla, non può discendere la prova del dolo, tanto più ove si consideri che l’adeguamento ai precetti normativi nel caso di specie non è stato affatto fittizio. A ciò si aggiunge che la Corte territoriale ha ignorato una censura specifica dell’atto di appelìo, ossia quella cori cui si è rimarcata la mancanza di un accertamento del presunto pactum sceleris tra COGNOME e il coimputato NOME COGNOME, precedente amministratore della RAGIONE_SOCIALE, in quella che è stata ritenuta una progressione criminosa del piano fraudolento iniziato da COGNOME e proseguito dall’imputato, non essendosi peraltro considerato che le autorizzazioni amministrative per la realizzazione dell’impianto fotovoitaico, legittimamente rilasciate dagli enti preposti, non sono state mai annullate, neppure in sede di autotutela.
Il quarto motivo è infine dedicato al difetto di motivazione della sentenza gravata in ordine all’accertamento del dolo specifico del reato di cui all’art. 2 del d. Igs. n 74 del 2000 contestato al capo 6a), rilevandosi in proposito che l’attenzione dei giudici di merito si è concentrata unicamente sulla verifica dell’elemento oggettivo del reato, mentre non sono stati indicati gli elementi da cui poter desumere la conoscenza o conoscibilità, attraverso un diligente esame della contabilità e dei bilanci, della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite dichiarazione, non potendo !a prova della sussistenza del dolo essere data per presunta, in quanto COGNOME non ricopriva incarichi direttivi nella società RAGIONE_SOCIALE e l’esistenza del rapporto negoziale tra le due società giustificava l’uso legittimo da parte di RAGIONE_SOCIALE delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché manifestamente infondati.
Premesso che le censure difensive sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che la formulazione del giudizio di colpevolezza degli imputati in ordine ai reati a loro rispettivamente ascritti non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
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Ed invero le due conformi sentenze di merito, !e cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno innanzitutto compiuto un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, pervenendo a conclusioni convergenti, tranne che su un unico aspetto, destinato tuttavia a non incidere sulla correttezza del giudizio sulla sussistenza dei reati.
In primo luogo, deve evidenziarsi che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno richiamato gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, aventi ad oggetto l’edificazione e la messa in esercizio di un impianto di serre fotovoltaiche situato in agro del Comune di Giave, località Mura Maggiales – Campu Giavesu, realizzato dalla società agricola RAGIONE_SOCIALE, previa rilascio, il 23 dicembre 2011, di autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa.
Ha in particolare evidenziato il Tribunale (cfr. pag. 2 ss. della sentenza di primo grado) che, nei luglio del 2012, era stata avviata l’attività di produzione di energia elettrica e la società RAGIONE_SOCIALE il cui legale rappresentante era NOME COGNOME aveva stipulato tre convenzioni, una per ciascuno dei settori o blocchi in cui era suddiviso l’impianto, con il RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE).
Sulla base di tali convenzioni, stipulate il 10 agosto 2012, l’energia elettrica prodotta veniva ceduta da RAGIONE_SOCIALE al gestore, per la successiva immissione nel mercato, a una tariffa agevolata e con i! riconoscimento, in favore della società, di significativi incentivi economici, previsti dalla normativa nazionale per stimolare gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Dalle verifiche investigative sono tuttavia emerse gravi irregolarità nella procedura autorizzativa, che avevano consentito alla RAGIONE_SOCIALE di edificare l’impianto e di avere accesso agli incentivi erogati dal G.S.E., essendo stata consentita l’edificazione in zona agricola di quello che, nella sostanza, era un impianto industriale di produzione di energia elettrica, con conseguente mutamento della destinazione urbanistica del territorio.
È stato inoltre accertato che le relazioni agronomiche allegate alle richieste di autorizzazione dell’impianto, a firma dei tecnici COGNOME (2009) e COGNOME (2011), fornivano una rappresentazione de! potenziale produttivo del fondo assolutamente non veritiera, posto che gli elaborati avevano posto l’accento esclusivamente sui potenziali aspetti positivi della copertura fotovoltaica della serra, tralasciando qualsiasi considerazione su possibili criticità o su elementi di segno negativo, con gravi omissioni dei dati tecnici relativi alla copertura fotovoltaica e dei costi d sostenere per fronteggiare tutti fattori destinati a incidere negativamente sulla quantità e sulla qualità della produzione, tutto ciò al fine di attestar artificiosamente la sussistenza del requisito della capacità agricola adeguata, che giustificava il riconoscimento degli ince.ntivi in forza dei provvedimenti normativi denominati “Conto Energia”, finalizzati in vario modo a promuovere e diffondere la tecnologia del fotovoltaico per la produzione di energia elettrica da fonte solare.
Il requisito della capacità agricola adeguata, tuttavia, non fu mai soddisfatto, né avrebbe potuto mai esserlo in relazione a un impianto di quella portata, avendo il consulente del P.M., dr. NOME COGNOME diffusamente spiegato che l’approvvigionamento idrico programmato era del tutto insufficiente rispetto alle esigenze effettive e che entrambe le colture programmate, ossia l’aloe vera e l’asparago bianco, avrebbero avuto necessità di suoli a tessitura non argillosa, come quella riscontrata nel sito, e senza ristagno d’acqua, invece ampiamente presente, a ciò aggiungendosi che i piani colturali fuoriuscivano dai canoni ordinari di una produzione in serra fredda, prevedendo le relazioni agronomiche dei sistemi di protezione laterale con teloni che, in ogni caso, non garantivano una chiusura ermetica delle serre, compromettendone la possibilità di utilizzo durante l’inverno, né erano state previste misure per contrastare la particolare ventosità del sito. Le reali condizioni del terreno avrebbero quini reso impossibile impiantare concretamente la produzione programmata, in assenza di significativi interventi di drenaggio tubolare, di spietramento e di ammendamento che non furono previsti. Gli accertamenti tecnici svolti dal consulente del P.M., che non hanno trovato alcuna seria smentita ex adverso, hanno dunque dimostrato come fosse sostanzialmente impossibile la realizzazione di una redditività agricola pari a quella derivante dalla produzione di energia elettrica, posto che, quale che fosse la coltura impiantata, i terreni sotto le serre non erano assolutamente in grado di garantire quei necessari livelli di reddito, per cui i giudici di merito sono pervenut alla ragionevole conclusione che l’impianto di Giave non era affatto, come richiesto dalla normativa di settore (cfr. In particolare il D.M. 5 maggio 2011, denominato Quarto Conto Energia), un’attività agricola supportata da energia alternativa, ma era piuttosto un impianto industriale destinato alla produzione di energia elettrica, in cui l’attività di coltivazione sotto la serra era un’attività di conto assolutamente modesta e di importanza marginale rispetto a quella principale. 4 / Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del resto, ha sottolineato il Tribunale, a essere carente nel caso di specie era l’ulteriore requisito richiesto dalla normativa di settore ai fini del riconoscimento degli incentivi pubblici previsti per le serre fotoVoltaiche, ossia la qualifica imprenditore agricolo della società titolare dell’impianto, essendosi in proposito osservato che, al di là della dicitura riportata nella ragione sociale, la RAGIONE_SOCIALE, per tutto il periodo compreso tra !a messa in esercizio dell’impianto (luglio 2012) e fino all’epoca del sequestro preventivo (giugno 2016), non si occupò mai della coltivazione del fondo, né di attività agricole connesse, tale non potendo essere considerata l’attività di produzione di energia, non disponendo l’azienda né di dipendenti addetti alle lavorazioni agricole, né tantomeno di autorizzazioni amministrative, magazzini o attrezzature per la commercializzazione di prodotti agricoli, per cui si trattava di un’impresa agricola di nome ma non di fatto.
Parimenti sussistenti sono stati infine ritenuti i reati tributari di cui agli a (contestato a COGNOME) e 3 (addebitato a Giardino) dei d. Igs. n. 74 del 2000, con riferimento alle fatture per servizi di coltivazione emesse nel 2012, nel 2013 e nel 2014 dalla società RAGIONE_SOCIALE, amministrata da RAGIONE_SOCIALE, in favore della RAGIONE_SOCIALE, che se ne è avvalsa nelle proprie dichiarazioni dei redditi, essendo stata rimarcata in tal senso l’inesistenza delle prestazioni sottese alle fatture, posto che la RAGIONE_SOCIALE è risultata essere una scatola vuota che non si è mai occupata della coltivazione dei terreni, attività svolta esclusivamente dalla RAGIONE_SOCIALE, che tuttavia agiva in piena autonomia, senza che la società titolare dell’impianto abbia mai preteso l’attuazione delle pattuizioni negoziali stipulate.
Orbene, l’impostazione del primo giudice, saldamente ancorata alle acquisizioni probatorie e al contesto normativa di riferimento, è stata ampiamente condivisa dalla Corte territoriale (pag. 83 ss. della sentenza impugnata) con pertinenti considerazioni, con cui i ricorsi non si confrontano adeguatamente.
Invero, l’unico punto di dissenso dei giudici di appello rispetto alla pronuncia di primo grado riguarda il fatto che, ad avviso della Corte territoriale, l’unico contratto parzialmente eseguitosia stata quello denominato come n. 4, registrato il 5 febbraio 2013, e ciò stia perché è stata l’unico depositato presso un ufficio pubblico, sia perché è intervenuto tra, la RAGIONE_SOCIALE società proprietaria del fondo sul quale insistono le serre, quindi pienamente legittimata sul piano negoziale a disporre del bene, e la Piana di Giave, unica società che aveva effettivamente svolto attività di coltivazione dello stesso, mantenendo per sé ii prodotto, commercializzandolo in piena autonomia e ricavando profitti dalla vendita.
Tale affermazione, tuttavia, non incide affatto sulla tenuta logica del giudizio sulla sussistenza dei reati contestati operato dal primo giudice, rimanendo inalterato il dato essenziale della falsità delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE e da questa utilizzate, essendo evidente l’inesistenza almeno soggettiva delle sottostanti prestazioni, non avendo la neocostituita RAGIONE_SOCIALE alcuna possibilità di esercitare l’attività di coltivazione del fondo, perché priva d qualsivoglia dotazione organica e strumentale: dagli accertamenti svolti è infatti emerso che soltanto per un limitatissimo periodo di tempo, ovvero dal 15 settembre 2014 ai 31 dicembre 2014, la società aveva assunto alle proprie dipendenze otto operai con contratto a tempo determinato e a tempo parziale.
Parimenti immune da censure risulta il giudizio sull’ascrivibilità agli imputati delle condotte loro ascritte: si è infatti rimarcato che COGNOME pur non avendo agito nella fase delle autorizzazioni illegittime inziali, è stato dal 2012 amministratore della RAGIONE_SOCIALE, beneficiaria degli incentivi pubblici e delle dichiarazioni fiscal fraudolente, oltre che parte negoziale dei contratti volti a conferire una parvenza di legalità alla situazione di fatto contrastante con l’assetto normativa, mentre
COGNOME è risultato legale rappreserítante della Esmeralda all’epoca di emissione delle false fatture, oltre che parte negoziale di contratti dalle chiare finalità elusiv
3.1. Resta solo da precisare che, al momento dell’emissione della sentenza impugnata (21 febbraio 2024), non era maturata la prescrizione per i residui reati di cui ai capi 3, 6a e 14, anche tenuto conto dei 106 giorni di sospensione, maturando i relativi termini, rispettivamente, il 22 marzo 2024, 1’8 gennaio 2025 e il 16 ottobre 2024. Né rileva la circostanza che la prescrizione sia intervenuta in epoca successiva alla emissione della sentenza impugnata, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque impedita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione deivuiteriore fase di impugnazione (cfr. in termini, ex multis, Sez. 7, n. 6935 dei 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172).
ricorsi proposti nell’interesse di
4. Alla stregua delle considerazioni svolte
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COGNOME e COGNOME devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. per., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno
2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna l ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14.01.2025