Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13577 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Sant’Antimo il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Santa NOME Capua Vetere del 18.10.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18.10.2023 il Tribunale di Santa NOME Capua Vetere ha respinto le istanza di riesame che erano state proposte, con distinti atti, dal difensore di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME da un lato e dal difensore di NOME COGNOME dall’altro, contro il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal PM presso il Tribunale di Napoli Nord in data 19.7.2023 ed avente ad oggetto, tra l’altro, i telefoni cellulari, comprensivi delle relative schede SIM, in uso agl indagati;
ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico ricorso ed a mezzo del medesimo difensore, che deduce violazione di legge con riferimento alle disposizioni che regolano l’adozione del sequestro probatorio in materia di perquisizioni di apparati informatici: rileva che il Tribunale ha omesso di confrontarsi con le doglianze difensive devolute alla sua cognizione anche alla luce dei principi dettati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 del 2023, non considerando che il sequestro non ha attinto, nel caso di specie, il corpo del reato o cose pertinenti al reato ma, piuttosto, il contenuto della corrispondenza ovvero delle conversazioni cristallizzate sul supporto; aggiunge che la perquisizione avente ad oggetto apparati informatici deve essere effettuata con le forma e le modalità di cui all’art. 247, comma 1-bis cod. proc. pen. e che non può ritenersi legittimo il sequestro dell’apparato, strumentale alla perquisizione informatica, dovendosi semmai precedere alla perquisizione finalizzata al sequestro di conversazioni di interesse investigativo ribadendo che, proprio alla luce della decisione della Corte Costituzionale, i messaggi ws sono senz’altro riconducibili alla nozione di “corrispondenza” e non possono, invece, ritenersi “documenti”, anche laddove già letti dal destinatario; sottolinea che la acquisizione di tali dati poteva avvenire soltanto per atto motivato dell’AG che presuppone la preliminare selezione dei dati comunicativi suscettibili di apprensione; segnala come dallo stesso verbale di sequestro risulta che gli indagati comunicarono agli operanti i codici di sblocco che avrebbero consentito di procedere immediatamente alla perquisizione del supporto informatico piuttosto che procedere alla sua materiale apprensione; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del D. Lg.vo 137 del 2020, concludendo per l’inammissibilità del ricorso: osserva, infatti, che il provvedimento impugnato risulta compiutamente motivato e che le censure attengono al sequestro dei telefoni cellulari in uso agli indagati rispetto al quale Tribunale ha evidenziato come il decreto impugnato esplicasse compiutamente le esigenze probatorie alle quali era finalizzata la temporanea apprensione degli apparati sequestrati, perimetrandone la riferibilità agli accertamenti correlati al furto e all’uso abusivo di carte di credito, in un
contesto riferibile agli esercizi gestiti rispettivamente dagli indagati, nonché ai figl sui conti dei quali erano stati girati i proventi dei reati; aggiunge che il breve lasso di tempo trascorso dal sequestro faceva ritenere la sua durata coerente con l’esigenza di realizzare copia forense dei dati, che, di norma, non può essere effettuata sul posto;
la difesa ha trasmesso le proprie conclusioni scritte in replica alle considerazioni della Procura AVV_NOTAIO di cui segnala il carattere elusivo delle doglianze difensive che riguardano la violazione delle norme che disciplinano il sequestro di corrispondenza atteso che il decreto del PM aveva disposto il sequestro probatorio degli apparati sia pur finalizzato alla acquisizione della corrispondenza ivi archiviata e, dunque, che non ricorrevano nel caso di specie i presupposti legittimanti il sequestro probatorio di un intero apparato cellulare e dell’intero patrimonio di contenuti custodito nella memoria; richiama, ancora, il principio affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 170 del 2023 ricordando che gli illeciti per cui si procede sarebbero stati commessi tra il 5 ed il 22 settembre 2022 e che pertanto la corrispondenza da attingere era certamente circoscrivibile di modo che era altrettanto possibile estrapolare una copia forense dell’apparato già al momento della esecuzione del sequestro; aggiunge che, a tal proposito, la Procura AVV_NOTAIO è incorsa in un errore percettivo, in cui era caduto anche il Tribunale, laddove ha omesso di considerare che proprio dalla lettura del verbale di sequestro sarebbe stato possibile rendersi conto che gli operanti disponevano da subito dei codici di sblocco; richiama la giurisprudenza di questa Corte formatasi proprio in materia di sequestro di apparati informatici ribadendo la necessità che il sequestro interessi i singoli dati e non già il supporto contenente una messe indifferenziata di essi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in verifica, ha deciso sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME e NOME contro il decreto di perquisizione e sequestro che era stato emesso dal PM presso il Tribunale di Napoli Nord avente ad oggetto, tra le altre cose, i telefoni cellulari, comprensivi delle schede SIM.
I provvedimento, come ha premesso il Tribunale, era stato adottato nell’ambito di una indagine scaturita dal furto di carte di credito a danno di turisti stranieri ed utilizzate indebitamente presso l’esercizio commerciale RAGIONE_SOCIALE
di cui è titolare NOME COGNOME (cui già in passato era stata revocata la concessione del servizio POS per una contestata frode di euro 7.500) – con successivo storno delle somme così incassate sui conti dei familiari di costei, ovvero la figlia NOME COGNOME ed il marito NOME COGNOME.
Secondo la ricostruzione riproposta dai giudici del riesame, era altresì emerso che presso il terminale POS dell”RAGIONE_SOCIALE Pub sarebbero state effettuate 17 operazioni contestate dagli istituti bancari emittenti le carte di credito, per un tutale di 43.250,00 euro e che le medesime carte di credito erano state indebitamente utilizzate presso altri esercizi commerciali.
L’istanza di riesame era stata fondata sulla asserita carenza di motivazione del provvedimento di sequestro e sul “sproporzione” del provvedimento (in quanto avente ad oggetto i telefoni cellulari e, pertanto, l’intero supporto informatico) rispetto alle esigenze investigative che avrebbero dovuto comportare una preventiva selezione dei dati comunicativi reputati necessari a fini investigativi.
Il Tribunale ha giudicato infondato il rilievo difensivo sostenendo che il provvedimento di perquisizione e sequestro adottato dal PM fosse sorretto da una motivazione adeguata in ordine alla necessità di apprensione dei supporti informatici e sugli atti di indagine che si rendevq,no necessari poiché “… nel decreto impugnato viene specificato che il sequestro dei telefoni cellulari ha il precipuo fine di accertare se sugli stessi sono presenti conversazioni attraverso cui ricostruire le modalità di reperimento delle carte di credito indebitamente utilizzate presso gil eserciti commerciali predetti, onde consentire, tra l’altro, l’identificazione degli autori dei furti” (cfr., pag. 5 dell’ordinanza).
I giudici del riesame hanno inoltre sottolineato che il brevissimo lasso di tempo intercorso tra il furto e l’utilizzo delle carte lasciava pensare ad un previo contatto con i titolari degli esercizi commerciali e che, proprio sulla scorta di questo dato, il decreto aveva evidenziato l’esigenza di acquisire i telefoni cellulari degli indagati essendo “… assolutamente verosimile che gli autori del furto abbiano previamente contattato i gestori degli esercizi commerciali ove sono stati effettuati i pagamenti, onde assicurarsi la loro complicità …” aggiungendo che “… analoga esigenza sussiste anche in relazione ai telefoni cellulari dei destinatari dei bonifici effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE (ovvero la figlia COGNOME NOME ed il marito NOME) che sono stati verosimilmente avvisati delle disposizioni emesse in loro favore lo stesso giorno in cui sono stati effettuati i pagamenti con le carte di credito trafugate” (cfr., ivi).
3. Rileva il collegio che proprio la lettura del provvedimento adottato dal PM consenta di superare i rilievi difensivi reiterati anche in questa sede: il PM, infatti, nel disporre la perquisizione ed ordinare il sequestro dei telefoni cellular degli indagati aveva specificamente individuato la necessità di verificare la presenza di “… tracce di conversazioni volte a ricostruire le modalità di reperimento delle carte di credito di provenienza illecita e identificare gli autori dei fur avvenuti in data e ora immediatamente antecedenti alle transazioni delle carte di credito presso l’attività commerciale riconducibile all’indagato
In tal modo, dunque, il PM ha previamente delimitato l’ambito della ricerca da eseguirsi sui telefoni cellulari acquisiti in sede di perquisizione e sequestro e che, pertanto, aveva ad oggetto i dati comunicativi temporalmente vicini all’utilizzo (pacificamente) indebito delle carte di credito provento di furto in danno di cittadini stranieri.
Tanto era sufficiente per legittimare la apprensione dei dati risultando sostanzialmente irrilevante la loro qualificazione in termini di “corrispondenza”, alla luce dell’arresto della Corte Costituzionale del 2023 (ampiamente richiamata nel ricorso) che, tuttavia, se ha indubbiamente affermato un principio su cui la giurisprudenza dovrà soffermarsi, lo ha fatto risolvendo un conflitto tra poteri dello Stato e, in particolare, affermando che anche la messaggistica “salvata” su apparati informatici deve essere considerata “corrispondenza” e soggetta, perciò, alle guarentigie previste dall’art. 68 della Costituzione per i componenti del Parlamento.
D’altra parte, le disposizioni codicistiche dettate in materia di sequestro di corrispondenza hanno riguardo, come è facile rendersi conto dalla stessa collocazione della norma di cui all’art. 254 cod., proc. pen., ai sequestri eseguiti presso terzi ovvero presso “… coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematico o di telecomunicazioni …” dettando specifiche previsioni e stabilendo precise modalità operative; non è un caso che, nel 2008, con l’inserimento dell’art. 254-bis cod. proc. pen., siano state inserite disposizioni analoghe con riguardo alla ipotesi di “sequestro di dati informatici presso fornitori di servizi informatic telematici e di telecomunicazioni”.
Quanto al sequestro nei confronti dell’indagato, la norma di riferimento è quella di cui al comma 1-bis dell’art. 247 cod. proc. pen. che si limita a richiedere la adozione di misure idonee ad assicurare la genuinità dei dati originali impedendone l’alterazione (cfr., a tal proposito, peraltro, Sez. 1 – , n. 38909 del 10/06/2021, Marziano, Rv. 282072 – 01, in cui la Corte ha chiarito che l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico, quale è la memoria di un telefono cellulare, non costituisce accertamento tecnico irripetibile,
e ciò neppure dopo l’entrata in vigore della legge 18 marzo 2008, n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originali, con la conseguenza che né la mancata adozione di tali modalità, né, a monte, la mancata interlocuzione delle parti al riguardo comportano l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisit ferma la necessità di valutare, in concreto, la sussistenza di eventuali alterazioni dei dati originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti; cfr., anche. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, R., Rv. 265180 – 01, secondo cui, in tema di perquisizione di sistema informatico o telematico, sia l’art. 247, comma 1-bis, che l’art. 260, comma secondo, cod. proc. pen., si limitano a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate).
In realtà, l’esigenza rappresentata dalla difesa di assicurare la “proporzionalità” tra il provvedimento adottato e le esigenze investigative riguarda non già la apprensione dello strumento informatico che funge da “contenitore” dei dati quanto, piuttosto, il novero di questi ultimo che deve essere già previamente delimitato al fine di evitare che il sequestro e la successiva perquisizione informatica si risolvano in iniziative meramente esplorative.
La stessa giurisprudenza richiamata dalla difesa (cfr., in particolare, Sez. 6 -, n. 6623 del 09/12/2020 Cc. – dep. 19/02/2021 – Pessotto, Rv. 280838 – 01) ha spiegato che il sequestro del dispositivo in luogo della estrazione immediata dei dati non è di per sé illegittimo, avendo avuto tuttavia cura di ribadire che il vincolo risulta soltanto strumentale rispetto all’acquisizione mirata di dati in esso contenuti “… risultando altrimenti di per sé privo di giustificazione non potendosi procedere ad un’acquisizione di carattere meramente esplorativo”; con la conseguenza per cui il vincolo deve essere commisurato all’esigenza di procedere alla estrapolazione dei dati di interesse alla luce di un criterio di selezione previamente individuato.
Osserva il collegio che siffatta preventiva selezione dei dati da acquisire risulta in realtà sufficientemente operata nel decreto di perquisizione e sequestro laddove il PM aveva indicato da un lato le comunicazioni intercorse nelle date prossime al furto ed all’indebito utilizzo delle carte di credito.
Corretta, perciò, la diagnosi operata dal Tribunale sulla legittimità del provvedimento “genetico” laddove eventuali ritardi nella attività di estrazione dei dati rilevanti e correlativa restituzione del supporto possono rilevare in un momento successivo, in sede di istanza di restituzione (cfr., d’altra parte, Sez. 2 – , n. 17604 del 23/03/2023, Casale, Rv. 284393 – 01 in cui la Corte ha
-ai istanza di restituzione (cfr., d’altra parte Sez. 2 – , Fr( – 17604 del 23/03/2023, Casale Rv. 284393 – An.-cui–1-a — Corte-,h spiegato che in tema di sequestro probatorio avente ad oggetto dispositivi informatici o telematici, la finalizzazione dell’ablazione del supporto alla sua successiva analisi, strumentale all’identificazione e all’estrazione dei dati rilevanti per le indagini, implica che la protrazione del vincolo, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, debba essere limitata al tempo necessario all’espletamento delle operazioni tecniche, dovendosi, tuttavia, valutare la sua ragionevole durata in rapporto alle difficoltà tecniche di apprensione dei dati, da ritenersi accresciute nel caso di mancata collaborazione dell’indagato che non fornisca le chiavi di accesso alle banche dati contenute nei supporti sequestrati). momento Succëssivo;
Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 6.2.2024