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Sequestro profitto reato: no ai fondi da transazione

La Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di sequestro profitto reato nell’ambito di procedure fallimentari. Con la sentenza n. 6577/2024, ha chiarito che le somme ottenute dalla curatela fallimentare a seguito di un’azione di responsabilità e successiva transazione non costituiscono ‘profitto’ dei reati tributari commessi dagli ex amministratori. Tali somme rappresentano un risarcimento del danno al patrimonio sociale e, pertanto, non possono essere soggette a sequestro finalizzato alla confisca, venendo annullato il provvedimento limitatamente a tali importi.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Profitto Reato: Quando i Fondi del Curatore Sono Intoccabili

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale all’incrocio tra diritto penale tributario e diritto fallimentare: la legittimità del sequestro profitto reato su somme recuperate dal curatore fallimentare. La decisione chiarisce che non tutti i fondi che affluiscono nella massa fallimentare possono essere considerati profitto illecito e, di conseguenza, essere aggrediti dallo Stato. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una società dichiarata fallita, i cui ex amministratori erano indagati per una serie di reati tributari. A seguito di tali reati, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva emesso un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto, quantificato in oltre due milioni di euro.

La particolarità della vicenda risiede nell’origine dei fondi su cui è caduto il sequestro. Al momento della dichiarazione di fallimento, la società non aveva alcun attivo patrimoniale. Successivamente, la curatela fallimentare era riuscita a recuperare ingenti somme, tra cui un milione di euro derivante da un accordo transattivo. Tale accordo era stato raggiunto a seguito di un’azione di responsabilità promossa dal curatore nei confronti dei sindaci e dei revisori legali della società, accusati di non aver vigilato adeguatamente sull’operato degli amministratori, consentendo di fatto la commissione degli illeciti.

La curatela ha quindi impugnato il sequestro, sostenendo che quei fondi non fossero il profitto dei reati tributari, ma il risarcimento di un danno subito dalla società e recuperato grazie a un’azione legale esperibile unicamente dal curatore stesso.

La Questione Legale: Prevalenza del Sequestro e Natura dei Beni

La difesa della curatela si basava su due argomenti principali:
1. I beni nella massa fallimentare appartengono a un soggetto terzo estraneo al reato (la curatela, che agisce per i creditori), quindi il sequestro sarebbe illegittimo.
2. Le somme sequestrate non costituiscono il profitto dei reati tributari, avendo un’origine completamente diversa e successiva: l’azione di responsabilità.

Il Tribunale del riesame aveva respinto il ricorso, affermando la prevalenza generale del sequestro penale sulla procedura fallimentare.

L’Analisi della Cassazione sul Sequestro Profitto Reato

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi di ricorso giungendo a conclusioni distinte.

La Procedura Fallimentare Non Rende il Curatore ‘Terzo Estraneo’

Sul primo punto, la Corte ha rigettato la tesi della curatela. Richiamando un precedente delle Sezioni Unite, ha ribadito che l’apertura del fallimento non impedisce il sequestro finalizzato alla confisca per reati tributari. La titolarità dei beni resta in capo alla società fallita fino alla liquidazione. La curatela agisce come un mero gestore e detentore del patrimonio, non come un nuovo proprietario. Pertanto, non può essere considerata ‘persona estranea al reato’ ai sensi della normativa che limita la confisca.

Distinzione Fondamentale: Profitto del Reato vs. Risarcimento del Danno

Sul secondo motivo, invece, la Corte ha dato pienamente ragione alla curatela. Qui si trova il cuore della sentenza e il principio di diritto più rilevante. I giudici hanno sottolineato che il profitto dei reati tributari consiste nel ‘risparmio di spesa’ ottenuto non versando le imposte dovute. Le somme possono essere confiscate se sono il frutto diretto di tale risparmio o se si confondono nel patrimonio dell’ente.

Ma in questo caso, le somme sequestrate avevano un’origine del tutto diversa. Non erano il denaro ‘risparmiato’ non pagando le tasse, bensì il risultato di un’azione legale (l’azione di responsabilità) volta a ottenere il risarcimento per il danno che il comportamento illecito degli amministratori e l’omessa vigilanza dei sindaci avevano causato al patrimonio sociale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore è ontologicamente incompatibile con la nozione di profitto del reato tributario. Mentre il profitto è un vantaggio economico per chi commette il reato, il risarcimento ottenuto dal curatore è una reintegrazione del patrimonio sociale a beneficio dei creditori. È il ristoro di un danno, non l’incasso di un illecito vantaggio.

Le somme derivanti dalla transazione, quindi, non sono il frutto dell’attività sociale o il risparmio di spesa, ma derivano da un’attività di recupero crediti che ha come unico legittimato il curatore fallimentare. Tali fondi, acquisiti dopo la dichiarazione di fallimento e grazie a un’iniziativa della curatela, non possono essere confusi con il profitto del reato commesso dagli ex amministratori.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro, limitatamente alla somma di un milione di euro proveniente dalla transazione, disponendone la restituzione alla curatela fallimentare.

Questa sentenza stabilisce un confine netto e fondamentale: sebbene il fallimento non metta al riparo i beni di una società dal sequestro profitto reato, è indispensabile analizzare l’origine specifica dei fondi. Le somme che la curatela riesce a recuperare attraverso azioni risarcitorie contro soggetti terzi (come sindaci o revisori) per i danni da loro causati alla società non sono confiscabili, perché rappresentano una reintegrazione patrimoniale e non il vantaggio economico derivato dal crimine tributario.

La dichiarazione di fallimento di una società impedisce il sequestro dei suoi beni per reati tributari commessi in precedenza?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, richiamata nella sentenza, l’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari. La titolarità dei beni rimane in capo all’ente fallito.

Le somme recuperate dal curatore fallimentare tramite un’azione di responsabilità possono essere considerate ‘profitto del reato’ e quindi sequestrate?
No. La sentenza chiarisce che tali somme non costituiscono profitto del reato. Esse rappresentano il risarcimento di un danno provocato alla società e ai creditori sociali. La loro natura è risarcitoria e non può essere confusa con il vantaggio economico (risparmio di spesa) derivante dall’omesso versamento dei tributi.

La curatela fallimentare è considerata ‘persona estranea al reato’ ai fini del sequestro?
No. La Corte ha stabilito che la curatela non acquista la proprietà dei beni, ma ne è solo gestore e detentore. La titolarità formale resta in capo alla società fallita, che è il soggetto a cui è riferibile il reato. Pertanto, la curatela non può essere qualificata come ‘terzo estraneo’ al reato per impedire il sequestro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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