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Sequestro profitto reato: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo di una somma di denaro trovata in contanti nell’auto di un professionista indagato per bancarotta fraudolenta. La decisione si fonda su un recente e fondamentale principio stabilito dalle Sezioni Unite: per procedere al sequestro profitto reato in forma diretta, è necessario fornire la prova rigorosa che il denaro sequestrato sia esattamente quello derivante dal reato. In assenza di tale tracciabilità, il sequestro non è legittimo, né è possibile applicare la confisca per equivalente per questo tipo di reato.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Profitto Reato: La Cassazione e il Principio di Tracciabilità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene con forza sul tema del sequestro profitto reato, stabilendo limiti precisi e rafforzando le garanzie per l’indagato. Analizzando un caso di bancarotta fraudolenta, i giudici hanno annullato un sequestro di denaro in contanti perché mancava la prova cruciale: la dimostrazione che quelle banconote fossero esattamente il frutto dell’attività illecita. Questa decisione, fondata sui nuovi principi dettati dalle Sezioni Unite, segna un punto di svolta nella lotta ai patrimoni di origine criminale, imponendo un maggior rigore probatorio all’accusa.

I Fatti del Caso: Bancarotta e Denaro Nascosto

La vicenda riguarda un professionista, indagato per bancarotta patrimoniale per distrazione in concorso con altri. L’accusa sosteneva che avesse ricevuto ingenti somme di denaro, quasi 400.000 euro, da una società in grave crisi finanziaria, mascherandole come compensi per prestazioni professionali ritenute fittizie. Il vero obiettivo, secondo gli inquirenti, era quello di sottrarre patrimonio alla società a danno dei creditori.

Durante una perquisizione, le forze dell’ordine hanno rinvenuto una somma di circa 78.000 euro in contanti, occultata nel bagagliaio dell’auto dell’indagato. Questa somma è stata immediatamente sottoposta a sequestro preventivo, in quanto ritenuta parte del profitto illecito derivante dalla bancarotta.

Il Ricorso in Cassazione

L’indagato ha impugnato il provvedimento del Tribunale del Riesame, che aveva confermato il sequestro, sollevando due questioni principali:

1. Mancanza del nesso di derivazione: La difesa ha sostenuto che non vi fosse alcuna prova che il denaro contante, trovato a distanza di quasi due anni dai bonifici contestati, fosse effettivamente il profitto del reato. Si trattava, secondo il ricorrente, di una mera presunzione.
2. Insussistenza del dolo: L’indagato ha negato la consapevolezza e la volontà di partecipare all’attività di spoliazione della società, evidenziando l’attività professionale effettivamente svolta.

La Corte di Cassazione ha rigettato il secondo motivo, ritenendo che, ai fini della misura cautelare, gli indizi raccolti (pagamenti ingenti e ravvicinati, causali fittizie, conoscenza dello stato di decozione della società) fossero sufficienti a configurare il cosiddetto fumus boni iuris.

Il sequestro profitto reato secondo le Sezioni Unite

Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del primo motivo di ricorso. La Cassazione ha applicato un principio rivoluzionario stabilito da una recentissima sentenza delle Sezioni Unite (la c.d. sentenza ‘Massini’).

Secondo questo nuovo orientamento, per procedere con la confisca diretta del denaro, non basta dimostrare un generico arricchimento dell’indagato. È necessario provare che le somme materialmente sequestrate siano proprio quelle derivanti dal reato. Il denaro, pur essendo un bene fungibile, non perde la sua individualità ai fini della confisca.

Di conseguenza, si possono distinguere due scenari:

* Confisca diretta: È possibile solo se si prova il ‘nesso di derivazione’ diretto. Ad esempio, si traccia un prelievo in contanti dal conto corrente su cui è stato accreditato il denaro illecito.
* Confisca per equivalente: Se questa tracciabilità fisica si perde (perché il denaro è stato speso, mescolato con fondi leciti, ecc.), si può procedere solo con la confisca di beni di valore equivalente, ma solo se la legge lo prevede espressamente per quel tipo di reato.

Le Motivazioni della Cassazione

Applicando questi principi al caso di specie, la Corte ha rilevato una grave lacuna motivazionale nell’ordinanza impugnata. Il Tribunale del Riesame si era limitato a valorizzare le modalità sospette di occultamento del denaro, senza però fornire alcuna prova che collegasse quei contanti, trovati nel 2024, ai bonifici ricevuti nel 2022. Mancava, in altre parole, la prova del ‘tracciamento’ degli incrementi patrimoniali.

I giudici hanno sottolineato che le circostanze sospette possono indicare una provenienza non documentabile, ma non sono sufficienti, da sole, a dimostrare che quel denaro sia il profitto di quel specifico reato di bancarotta. Era onere dell’accusa dimostrare che quelle banconote costituissero la ‘materializzazione mediante prelievo’ delle somme illecitamente percepite.

Inoltre, la Corte ha ribadito che, per il reato di bancarotta fraudolenta, la legge non prevede la possibilità di una confisca per equivalente. Pertanto, se non si riesce a provare il nesso di derivazione diretta, il sequestro non può essere mantenuto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza rappresenta un importante rafforzamento delle garanzie difensive nel campo delle misure cautelari reali. Le conclusioni che se ne possono trarre sono nette:

1. Onere della prova rafforzato per l’accusa: Non è più sufficiente affermare che il denaro, per sua natura fungibile, si confonde nel patrimonio del reo. L’accusa deve tracciare il flusso finanziario e provare che il bene sequestrato è proprio quello derivante dal crimine.
2. Distinzione netta tra confisca diretta e per equivalente: La confusione tra le due forme di ablazione viene definitivamente superata. La confisca del denaro è ‘per equivalente’ ogni volta che si perde la tracciabilità fisica del bene.
3. Limiti alla confisca per equivalente: Questa forma di sequestro può essere applicata solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Per la bancarotta fraudolenta, tale possibilità è esclusa.

In definitiva, la Cassazione ha annullato l’ordinanza e ha rinviato la questione al Tribunale del Riesame, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi rigorosi principi, svolgendo un’adeguata giustificazione sul nesso di derivazione del denaro sequestrato.

Quando è possibile procedere al sequestro diretto del denaro come profitto di un reato?
È possibile solo quando l’accusa fornisce la prova che la somma di denaro materialmente sequestrata sia proprio ‘quella’ derivata dal reato. Deve esistere un nesso di derivazione diretto e tracciabile, come ad esempio un prelievo in contanti immediatamente successivo a un accredito illecito.

Perché il sequestro è stato annullato in questo caso specifico?
Il sequestro è stato annullato perché mancava la motivazione sul nesso di derivazione. L’ordinanza impugnata non dimostrava che il denaro contante, trovato nell’auto dell’indagato quasi due anni dopo i fatti contestati, fosse lo stesso proveniente dai bonifici illeciti. Le sole modalità sospette di occultamento non erano sufficienti a provare tale legame.

È possibile disporre un sequestro per equivalente per il reato di bancarotta fraudolenta?
No. La sentenza chiarisce che, sulla base della normativa vigente, non esiste una base legale per la confisca di valore (o per equivalente) rispetto al reato di bancarotta fraudolenta. Pertanto, se il profitto diretto non è rintracciabile, non si può procedere al sequestro di altre somme di pari valore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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