Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12771 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 13/07/1954 NOMECOGNOME nato a Limbadi il 28/05/1964 COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 26/02/1962 COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 26/05/1981 COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 13/09/1987
avverso l’ordinanza del 16/10/2024 del Tribunale del riesame di Vibo Valentia letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del sequestro della somma di 103.115 con restituzione agli aventi diritto e annullamento con rinvio relativamente alle altre somme sequestrate; udite le conclusioni dei difensori, Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME Salvatore Francesco, Avv. NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per NOME Salvatore e
COGNOME NOMECOGNOME che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
I difensori di COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Vibo Valentia, in accoglimento dell’appello proposto dal P.m. avverso il provvedimento reiettivo dell’istanza di sequestro emesso il 28 maggio 2024 dal GIP del medesimo Tribunale, ha disposto ai sensi degli artt. 240, 240-bis e 322ter cod. pen. il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro nella disponibilità degli indagati -ed altri concorrenti- fino alla concorrenza di 125.115 euro o, in caso di impossibilità totale o parziale, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili o immobili, titoli o valori intestati agl stessi sino alla concorrenza di detta somma.
2. Nell’interesse del Meddis si articolano i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 111 e 24 Cost., 309, comma 9-bis e 322-bis cod. proc. pen. con riferimento al rigetto della richiesta di differimento dell’udienza formulata dai difensori in attesa che gli indagati rendessero interrogatorio ex art. 289 cod. proc. pen. con conseguente violazione del diritto di difesa.
Il Tribunale ha reso una risposta inconferente rispetto alla richiesta delle difese, che non avevano affatto sostenuto l’inammissibilità dell’appello del P.m. per mancato espletamento dell’interrogatorio degli indagati, ma semplicemente chiesto un differimento per consentire il completamento del compendio indiziario, come prevede l’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. applicabile anche in materia cautelare reale proprio al fine di consentire agli indagati di esercitare appieno il diritto di difesa, chiedendo un differimento dell’udienza per giustificati motivi, che il Tribunale deve valutare, motivando il rigetto.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen., 240, 240-bis e 322-ter cod. pen. in relazione agli artt. 416 e 319, 321 cod. pen. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per l’emissione del sequestro, errato nell’individuazione del profitto del reato, dimostrato l’incertezza assoluta sulle somme oggetto di profitto e violato la domanda nonché il principio secondo il quale il sequestro deve avere ad oggetto la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente e, da ultimo, non considerato l’inesistenza del periculum in mora.
A differenza del GIP, che aveva ritenuto impossibile disporre il sequestro richiesto nella misura di 205.972 euro in mancanza della determinazione dell’entità del profitto ed aveva escluso che potesse considerarsi il profitto del reato associativo, non essendovi corrispondenza tra detta somma e quanto
indicato nei singoli capi di imputazione né indicazioni sul metodo di calcolo, il Tribunale ha ritenuto, invece, determinabile il profitto e sequestrabili le somme accreditate al Bellissimo dal 2016 al 2020 – periodo di operatività dell’associazione- da soggetti che avevano istruito pratiche INAIL poi andate a buon fine per un importo complessivo di 103.115 euro, non corrispondente agli importi dei singoli episodi corruttivi, pari a 13 mila euro, da ritenere profitto dei singoli fatti commessi nel periodo febbraio-marzo 2020 e accertati mediante intercettazioni.
È illogico considerare profitto dell’associazione a delinquere le somme percepite da un solo indagato in un periodo in cui non vi era attività di indagine, iniziata solo nell’aprile 2020, né indizi che ne dimostrino l’illiceità. E’ illegittim provvedimento che dimostra la difficoltà di individuare il profitto del reato, avuto riguardo al diverso importo delle somme oggetto della richiesta del P.m. e di quella determinata dal Tribunale, che ha esteso il sequestro al profitto dei singoli reati-fine, pari a 13 mila euro, ed alle somme, pari a 9 mila euro, accreditate al Bellissimo nel febbraio-marzo 2020 dal COGNOME e Pizzonia, che fungevano da esattori delle tangenti, emettendo una pronuncia ultra petita e senza indicare alcun indizio. Illegittimamente il Tribunale ha disposto il sequestro per l’intera somma e non per quota nei confronti di ciascun indagato, benché in tema di corruzione la confisca per equivalente deve essere limitata al prezzo conseguito e solo in presenza della prova della derivazione causale dal reato, mentre nel caso di specie non vi è alcun indizio che il COGNOME abbia ricevuto denaro dai coindagati; inoltre, non è indicato il periculum in mora né l’attualità delle esigenze cautelari, risalendo i fatti a quattro anni fa.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione ai reati di cui agli artt. 416, 319 e 321 cod. pen. per mancanza di fumus e mancanza di motivazione per essersi il Tribunale limitato a richiamare l’ordinanza genetica in punto di gravità indiziaria, senza effettuare alcuna valutazione, nonostante nelle memorie difensive si lamentasse l’incompletezza del quadro indiziario sino all’espletamento degli interrogatori, la mancanza di indizi relativi al periodo precedente all’avvio delle indagini, iniziate nel 2020, sicché il reato associativo è affidato a ipotesi e supposizioni; non sono individuabili ragioni diverse dal ruolo di dirigente medico, attualmente in pensione, per giustificarne il coinvolgimento nell’associazione ed è stato trascurato che i reati fine contestati al ricorrente hanno ad oggetto pratiche in cui egli non ha visitato i pazienti.
Il difensore del COGNOME e del Pizzonia articola quattro motivi.
3.1. Con il primo denuncia la mancanza di motivazione sul periculum in mora per non avere il Tribunale considerato l’ampio lasso tempora , )
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(4uLl intercorrente tra il periodo di operatività dell’associazione e l’applicazione della misura cautelare.
3.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 321 e 322-ter cod. pen. per essersi il Tribunale limitato a richiamare genericamente la sussistenza del fumus commissi delicti dando per scontata la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra i reati e le somme sequestrate, necessaria per giustificare la confisca diretta e obbligatoria in oggetto, non risultando chiarita la derivazione diretta da reato. Il sequestro è illegittimo in considerazione dell’ondivaga determinazione del profitto dei reati, essendo diversi gli importi indicati alternativamente dal P.m. nell’appello e quello sequestrato dal Tribunale, arbitrariamente esteso ad altri importi rispetto a quelli indicati nei capi di imputazione.
3.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e l’apparenza della motivazione per avere il Tribunale applicato la confisca ex art. 240-bis cod. pen. ai ricorrenti, che rivestirebbero il ruolo di corruttori, in violazione del principio legalità.
3.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e apparenza della motivazione per avere il Tribunale sequestrato l’intero importo del presunto profitto nei confronti di tutti gli indagati senza distinguere ruoli, profitti e ille utilità conseguite anziché in misura corrispondente al profitto ottenuto da ciascuno.
Con distinti ricorsi, di identico contenuto, il difensore del COGNOME e del COGNOME deduce la violazione di legge e l’apparenza della motivazione in relazione alla sussistenza del nesso di pertinenzialità necessario per giustificare il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta, potendo sequestrarsi solo il profitto corrispondente a ciascun concorrente e ciò incide sulla misura del quantum sequestrabile. Il Tribunale ha trascurato tale profilo e sequestrato tutte le somme versate al Bellissimo dal 2016 al 2020 da soggetti beneficiari di rendite INAIL nella misura di 103.155 euro, ritenute profitto del reato associativo, oltre alla somma di 13 mila euro, ritenuta profitto dei reati fine, e quelle versate dal Cuccione e Pizzonia nel periodo febbraio-marzo 2020.
È illegittimo il sequestro del profitto del reato associativo, in quanto esso coincide solo con i vantaggi conseguenti ai reati fine, sicché doveva essere di gran lunga inferiore e non determinabile solo in base al riferimento temporale, di per sé inidoneo a fondare il nesso di pertinenzialità; è in ogni caso illegittimo per violazione del principio di proporzionalità, non potendo il sequestro eccedere il profitto dei reati attribuiti a ciascun indagato.
I difensori del COGNOME hanno depositato memoria nella quale ribadiscono i motivi e in particolare, insistono nella assenza di indizirico del ricorrente sia /
112in ordine alla partecipazione associativa che alla corruzione, nella mancata specificazione di ipotetiche condotte mediante le quali avrebbe favorito la realizzazione dei reati contestati e contestano la configurabilità del reato associativo in luogo del concorso di persone nel reato, non risultando individuati gli elementi costitutivi dell’associazione, la cui esistenza è affidata ad un’indagine postuma e meramente documentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, che pongono con varie declinazioni questioni sostanzialmente sovrapponibili e, pertanto, trattabili congiuntamente, sono fondati per le ragioni di seguito illustrate.
Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del Meddis è, invece, manifestamente infondato, in quanto la richiesta di rinvio prevista dall’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. per il riesame cautelare personale e pacificamente estensibile in materia reale, riguarda il procedimento di riesame e non quello di appello, che ha tempi più dilatati e non stringenti come quelli del riesame; in ogni caso, l’espletamento degli interrogatori degli indagati ex art. 289 cod. proc. pen. non è presupposto per l’adozione della misura reale e il diritto di difesa è stato esercitato, indipendentemente dal differimento dell’udienza richiesto per consentire l’interrogatorio, sicché non è ravvisabile alcuna compressione del diritto di difesa.
E’ infondato il motivo sull’assenza di motivazione in relazione al fumus commissi delicti in quanto, sebbene stringata, la motivazione è presente, rimandando il Tribunale a quella dell’ordinanza genetica, in cui il GIP aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati in ordine ai reati contestati, ma non aveva disposto il sequestro per la difficoltà di determinazione del profitto dei reati. Il GIP aveva, infatti, rilevato che la somma indicata dal P.m. in 205.972 euro quale profitto del reato associativo risultava corrispondere al totale degli accrediti ricevuti dal Bellissimo dal 2014 alla data dell’arresto e proveniva da 158 soggetti, di cui solo 24 risultavano avere istruito pratiche INAIL ed avevano accreditato al Bellissimo la somma di 107.448 euro.
Il rinvio sul punto alla motivazione resa dal GIP è legittimo e sufficiente in ragione dello standard indiziario più elevato richiesto per l’adozione delle misure personali rispetto a quelle reali. Va, comunque, rilevato che l’ordinanza dà atto (pag. 4) che dalle indagini era emerso che per ottenere indennizzi derivanti dal riconoscimento di infortuni sul lavoro o di malattie professionali gli interessati, che avevano avviato pratiche presso l’INAIL per sé o per propri parenti, avevano
versato somme al Bellissimo, al Pizzonia e al COGNOME, ritenuti, questi ultimi, collettori delle tangenti, che destinavano i proventi ottenuti dai privati alla corruzione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio- medici o funzionari- in servizio presso l’ente. Le intercettazioni e gli accertamenti patrimoniali svolti a partire dall’aprile 2020 avevano confermato l’ipotesi accusatoria, evidenziando versamenti al Bellissimo provenienti da soggetti beneficiari di erogazioni previdenziali.
E’, tuttavia, innegabile la sommarietà ricostruttiva della struttura associativa e la genericità della motivazione, che non delinea le posizioni dei singoli partecipi né chiarisce il ruolo del Meddis, anche a fronte delle censure difensive e della segnalata estraneità dello stesso nella trattazione delle pratiche di cui ai capi b) e 9)
3.4 .: Lo schema operativo ricostruito nell’ordinanza consente, tuttavia, di respingere, perché del tutto infondato, il motivo di ricorso del COGNOME e del Pizzonia, che reputa ostativo il sequestro del profitto del reato di corruzione nei confronti dei corruttori, risultando essi nell’impostazione accusatoria, validata dai giudici di merito, collettori delle tangenti, che riversavano al Bellissimo.
Sono, invece, fondati i motivi relativi alla illegittimità del sequestro del profitto del reato associativo e all’entità del profitto sequestrato disposto per intero e non pro quota nei confronti degli indagati.
4.1. Quanto al primo profilo è noto che il reato associativo non produce autonomamente profitti se non nella misura dei profitti illeciti derivati dai reati fine, la cui commissione l’associazione agevola e favorisce. Nel caso di specie il it sequestro ha avuto ad oggetto le somme incamerate nel periodo di ritenta operatività dell’associazione dal 2016 al 2020 – e questo spiega la riduzione dell’importo indicato nell’ordinanza pari a 103.115 euro rispetto a quello di 107.448 indicato nell’appello del P.m., invece, comprensivo anche di versamenti effettuati negli anni precedenti-, senza che, tuttavia, fossero ricostruiti o contestati reati fine iné ricostruite le condotte ascrivibili ai singoli indagati, non essendovi allora indagini in corso. Il sequestro è stato, quindi, disposto solo in forza di un’applicazione retroattiva del metodo scoperto e rivelato dalle indagini postume, che individuano i collettori delle tangenti, ma non i destinatari né i criteri distributivi o la misura del profitto illecito a ciascuno destinato.
Ribadito che , , secondo l’orientamento di questa Corte il profitto del reato di associazione a delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. non consiste nel mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti, di per sé improduttivo di ricchezze illecite, ma è il frutto della sommatoria dei profitti generati dai singoli reati (Sez. 6, n. 29960 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283881-02; Sez. 1, n.7860 del 20/01/2015, Meli, Rv. 262758), nel caso in esame il profitto dei reati fine,
ricostruito in base alle risultanze dei colloqui intercettati, è risultato pari a 1 mila euro.
Tuttavia, anche per tali somme il Tribunale non ha in alcun modo ricostruito le condotte, i ruoli e i destinatari dei profitti, pervenuti al Belliss secondo il modulo collaudato. A tale somma, non oggetto della richiesta, il Tribunale ha anche aggiunto, quale profitto sequestrabile, la somma complessiva di 9 mila euro, accreditata al Bellissimo dal Cuccione e Pizzonia, risultante dai colloqui intercettati e dagli accertamenti bancari indicati nell’appello del P.m., anche in questo caso, senza alcuna precisazione ricostruttiva ed attribuzione ai singoli concorrenti con evidente difetto di motivazione. Il Tribunale si è, infatti, limitato ad affermare che tale modalità non poteva che essere funzionale alla distribuzione dei profitti illeciti e, con evidente violazione del principio dell domanda, ha esteso l’applicazione del vincolo a somme non comprese nel perimetro fissato dalla richiesta del P.m., che limita il potere del giudice dell’impugnazione.
4.2. Analogamente fondato è il rilievo sulla mancanza di motivazione circa il nesso di pertinenzialità o, meglio, in ordine alla derivazione delle somme sequestrate direttamente dai reati di corruzione, risultandone solo affermata, ma non argomentata la sussistenza, benché si tratti di presupposto essenziale del sequestro funzionale alla confisca diretta, dovendosi, altrimenti, ritenere la confisca per equivalente con conseguente ulteriore impegno motivazionale.
4.3. Apparente è la motivazione sul “periculum in mora”, collegato al rischio di consolidamento delle conseguenze del reato e di dispersione delle somme di denaro con argomentazione in astratto e non in concreto, nonostante questa Corte abbia orarri 44chiarito che è necessaria anche una concisa motivazione da rapportare alle ragioni che rendono necessaria, in termini d’imprescindibilità, l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizion del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene al generico riferimento alla natura fungibile del denaro.
Fondata è, infine, anche la censura relativa alla misura del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, disposto per l’intero e non per quota nei confronti di ciascun concorrente ovvero limitatamente a quanto conseguito da ciascuno, atteso che solo nel caso di mancata individuazione della quota di profitto percepita dal singolo, può soccorrere il criterio della ripartizione in parti uguali, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite all’udienza del 26 settembre 2024, di cui è noto solo l’esito della decisione.
Le diffuse carenze motivazionali evidenziate nel percorso argomentativo esaminato impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per
nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Vibo Valentia, che provvederà a colmare le lacune e i vuoti della motivazione rilevati.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di
Vibo Valentia, competente ai sensi dell’art. 324, co.5, c.p.p.
Così deciso, 13 marzo 2025