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Sequestro profitto reato associativo: limiti e oneri

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo, stabilendo principi chiari sul calcolo del profitto derivante da un reato associativo. La sentenza sottolinea che tale profitto non è autonomo, ma corrisponde alla somma dei profitti dei singoli reati-fine. La Corte ha censurato la mancanza di una motivazione specifica sul nesso di pertinenzialità tra le somme e i crimini, sul ‘periculum in mora’ e sulla ripartizione delle quote tra i concorrenti, annullando il provvedimento per gravi carenze argomentative.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Profitto Reato Associativo: la Cassazione Fissa i Paletti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo, offrendo chiarimenti fondamentali sui limiti e gli oneri motivazionali per il sequestro del profitto di un reato associativo. La decisione ribadisce che non è possibile presumere il profitto di un’associazione criminale, ma è necessario dimostrarne la derivazione diretta dai singoli reati-fine commessi dai suoi membri. Questo intervento giurisprudenziale rafforza le garanzie difensive contro misure cautelari reali non adeguatamente motivate.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine su un presunto sodalizio criminale finalizzato alla commissione di reati di corruzione per ottenere illecitamente prestazioni previdenziali. Il Tribunale del riesame, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, aveva disposto un ingente sequestro preventivo finalizzato alla confisca, sia in forma diretta che per equivalente, nei confronti di diversi indagati. Il sequestro riguardava somme ritenute il profitto complessivo dell’associazione, calcolate sulla base di versamenti ricevuti da uno degli indagati in un arco temporale di diversi anni.

L’Analisi della Corte sul Sequestro Profitto Reato Associativo

La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi degli indagati, smontando l’impianto accusatorio su cui si fondava il sequestro. Il punto centrale della decisione riguarda la natura del profitto del reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.).
I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’associazione in sé non produce un profitto illecito. Il vantaggio economico deriva non dal semplice fatto di essersi associati, ma dalla commissione dei singoli reati-fine per cui l’organizzazione è stata creata. Di conseguenza, il sequestro del profitto del reato associativo può avere ad oggetto solo la sommatoria dei profitti generati dai singoli delitti (ad esempio, le singole tangenti nei casi di corruzione) che siano stati specificamente ricostruiti e contestati. Nel caso di specie, il Tribunale aveva invece erroneamente considerato come profitto dell’associazione l’intera somma di denaro accreditata a uno degli indagati in un periodo di quattro anni, senza collegarla a specifici episodi delittuosi.

La Carenza di Motivazione come Vizio Fondamentale

Oltre all’errata identificazione del profitto, la Cassazione ha riscontrato altre gravi carenze motivazionali nell’ordinanza impugnata:

* Mancanza del Nesso di Pertinenzialità: Il Tribunale aveva affermato la derivazione delle somme sequestrate dai reati di corruzione in modo apodittico, senza fornire un’argomentazione concreta che dimostrasse tale collegamento.
* Assenza del Periculum in Mora: La motivazione sul pericolo di dispersione del denaro era astratta e generica. La Corte ha ricordato che non basta il semplice riferimento alla natura fungibile del denaro per giustificare un sequestro, ma occorre una motivazione specifica sul rischio concreto di dispersione o occultamento.
* Violazione del Principio della Domanda: Il Tribunale aveva esteso il sequestro a somme non incluse nella richiesta originaria del Pubblico Ministero, eccedendo i limiti del proprio potere decisionale.

La Questione della Ripartizione del Profitto tra i Concorrenti

Un ultimo, ma non meno importante, vizio rilevato dalla Corte riguarda la misura del sequestro. Il provvedimento aveva colpito l’intero importo del presunto profitto nei confronti di tutti gli indagati, senza operare una distinzione basata sulle quote di profitto individualmente conseguite. La Cassazione ha chiarito che il sequestro funzionale alla confisca per equivalente deve essere disposto nei confronti di ciascun concorrente per la parte di profitto a lui attribuibile. Solo qualora sia impossibile determinare le singole quote, si può ricorrere a un criterio di ripartizione in parti uguali, come stabilito da una recente decisione delle Sezioni Unite.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Cassazione si fonda sulla necessità di un rigoroso accertamento dei presupposti per l’applicazione di una misura così incisiva come il sequestro preventivo. Il fumus commissi delicti non può basarsi su mere ipotesi o su una ricostruzione generica dei fatti. È indispensabile che l’autorità giudiziaria individui con precisione non solo i reati-fine, ma anche le condotte dei singoli, i ruoli ricoperti e, soprattutto, il percorso del profitto illecito. L’assenza di un’analisi dettagliata su questi punti trasforma la misura cautelare in un provvedimento ingiustificato e sproporzionato, in violazione dei principi fondamentali del diritto penale e processuale. La Corte ha censurato l’approccio del Tribunale, che si è basato su una sorta di applicazione retroattiva di un ‘metodo’ investigativo, sequestrando somme relative a un periodo in cui non vi erano nemmeno indagini in corso.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza, imponendo al giudice del merito di riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Questa sentenza rappresenta un importante monito per l’autorità giudiziaria: il sequestro non può essere uno strumento esplorativo, ma deve fondarsi su un quadro indiziario solido, specifico e dettagliatamente motivato in ogni suo aspetto, dal profitto del reato al pericolo di dispersione, fino alla sua ripartizione tra i concorrenti. Si tratta di una vittoria per le garanzie difensive e un’affermazione del principio di legalità nella delicata materia delle misure cautelari reali.

Come si calcola il profitto di un’associazione a delinquere ai fini del sequestro?
Il profitto del reato associativo non è autonomo, ma è costituito dalla somma dei profitti illeciti derivanti dai singoli reati-fine (es. corruzione, truffa) che sono stati effettivamente commessi dai membri dell’associazione e che devono essere specificamente ricostruiti.

È sufficiente affermare che il denaro è un bene fungibile per giustificare il ‘periculum in mora’ in un sequestro?
No. Secondo la Corte, non è sufficiente un generico riferimento alla natura fungibile del denaro. È necessaria una motivazione concisa ma concreta che spieghi le ragioni specifiche per cui si ritiene sussistente il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene.

In un reato con più concorrenti, il sequestro per equivalente può colpire l’intero profitto su tutti gli indagati in solido?
No, di regola il sequestro deve essere limitato alla quota di profitto conseguita da ciascun concorrente. Solo nel caso in cui sia impossibile individuare la quota di profitto percepita dal singolo, si può applicare un criterio di ripartizione in parti uguali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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