Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22595 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22595 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/12/2023 del GIP TRIBUNALE di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni ex art. 611 c.p.p. del PG in persona del Sostituto Proc. Gen. NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 dicembre 2023 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona rigettava la richiesta avanzata dal difensore di NOME COGNOME di restituzione del telefono cellulare sequestrato all’indagato in data 11 ottobre 2023 per l’ipotesi di reato, delineata nel decreto di convalida, prevista dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Con ordinanza in pari data il medesimo Giudice per le indagini preliminari rigettava anche la richiesta di copia degli atti, depositati nel fascicolo del procedimento ex art. 263 cod. proc. pen. dal PM, avanzata dalla difesa nel corso della udienza, sul rilievo per cui «gli atti di indagine sono coperti da segreto ex art. 329 cod. proc. pen.» e «l’impugnazione ex art. 263 non dà diritto a prendere visione degli atti».
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Ricorda in premessa il ricorrente, che allega al ricorso tutti i documenti richiamati, che 1’11 ottobre 2023 gli agenti di P.G. della Questura di Ancona procedevano al sequestro della vettura Peugeot mod. 107 TARGA_VEICOLO, nonché del telefono cellulare marca I PHONE TARGA_VEICOLO col. Bianco (PIN 77003), oltre ad un pennarello, una confezione di cellophane, un rotolo di scotch ed un coltello; quest’ultimi oggetti tutti riposti all’interno del bagagliaio della citata vettura
Il sequestro di iniziativa, come si evince dal verbale redatto alle ore 3:30, veniva disposto nell’ambito di un intervento a seguito della commissione del reato di cui all’art. 73 T.U. stup.
Per il ricorrente, tuttavia, il provvedimento risultava del tutto immotivato proprio alla luce della fattispecie di reato ipotizzata per cui si procedeva dapprima ai controlli, mediante perquisizione personale, e successivamente sull’indicato mezzo, e poi ai sequestri in esame.
Il PM, in data 13 ottobre 2023, disponeva la convalida del sequestro, motivandola sul rilievo per cui il telefono dovesse ritenersi cosa costituente corpo di reato e cosa pertinente al reato di cui agli articoli sopra citati (art. 73, T.U. stup commesso in Ancona in data 11/10/2023), in particolare necessaria per acquisire conversazioni, contatti, chat, immagini e simili pertinenti al reato per cui si procede.
Con istanza del 25 ottobre 2023 la difesa chiedeva la restituzione dei beni sequestrati.
Con provvedimento del 26 ottobre 2023 il AVV_NOTAIO.M. rigettava la richiesta, con riferimento al telefono cellulare, in quanto ritenuto attualmente oggetto di accertamento come da provvedimento di convalida, ragione per la quale si disponeva il diniego alla restituzione sino al termine delle operazioni di copia forense.
Nelle more, il P.M. nominava un consulente, ex art. 360 cod. proc. pen., affidandogli l’incarico di provvedere ad accertamento irripetibile sul telefono di proprietà dell’indagato COGNOME NOME, indicando la data del 20 novembre2023 per il conferimento dell’incarico.
2.2. Con ricorso del 6 novembre 2023 l’indagato, per il tramite del difensore, proponeva opposizione al rigetto della richiesta di restituzione del telefono cellulare, sulla premessa della insussistenza di un quadro probatorio idoneo a sostenere la permanenza del vincolo sul telefono, testimoniata dalla inesistenza di elementi, sopravvenuti al sequestro, che potessero fondatamente far ritenere prospettabile la commissione di un reato, idoneo a giustificare una massiva invasione nella sfera privata e personalissima del COGNOME, quale quella che si prospettava attraverso la indagine tecnica delegata al consulente.
Si lamentava, inoltre, non essere stata prospettata da parte della Procura nel provvedimento di reiezione, per giustificare il mantenimento del vincolo del sequestro finalizzato alla estrazione di copia forense del telefono, alcuna pertinenzialità fra il telefono ed una condotta che anche a livello astratto avesse i connotati del delitto ipotizzato, che allo stato non si comprendeva neppure da chi fosse stato commesso, né se la condotta ipotizzata si fosse estrinsecata nell’ acquisto o nella cessione di una sostanza, e men che meno di quale quantitativo o tipologia di stupefacente.
Il quadro così delineato – si esponeva nella opposizione – avrebbe leso i diritti inviolabili dell’individuo, costituzionalmente protetti, e si sarebbe posto conflitto con i principi di diritto più volte, affermati dalle più alte Corti, con s tenze recentissime, che si sono uniformate alle note pronunce della Corte di Giustizia.
Alla udienza del 29 novembre 2023, il G.I.P. rilevava che il P.M. “non ha ottemperato all’invito al deposito degli atti necessari alla decisione, rivoltogli ne decreto di fissazione di udienza”. Alla successiva udienza del 18 dicembre 2023, pervenuti gli atti, la difesa ne chiedeva una copia, ma tale istanza veniva rigettata con il provvedimento che si impugna ritenendolo genetico di una nullità che riverbera i suoi effetti sulla ordinanza reiettiva del dissequestro del telefono.
Veniva altresì rigettata, all’esito dell’udienza, anche la richiesta di restituzione del cellulare.
2.3. Contro entrambi i provvedimenti resi dal Gip marchigiano ricorre a questa Corte il COGNOME che, con un primo motivo, in relazione al diniego di vo-
pia, lamenta violazione ed inosservanza degli artt. 127 cod. proc. pen., 263 cod. proc. pen., 111 Cost., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. sul rilievo che gli sarebbe stata negata la possibilità di accesso ed estrazione di copia degli atti del procedimento, e ciò in contrasto con il disposto dell’art. 116 cod. proc. pen., secondo cui chiunque ne abbia interesse può ottenere il rilascio, a proprie spese, di copie degli atti.
Tale diniego si risolverebbe in una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti del processo e provocherebbe una lesione del diritto di difesa, gravemente compromesso dall’impossibilità di conoscere il materiale probatorio raccolto a suo carico nel corso delle indagini e sul quale si è basata la ordinanza reiettiva della opposizione.
La violazione in questione – si legge in ricorso – avrebbe dato luogo ad una nullità, ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen., e per violazione dell’art. 6 dell Cedu, come interpretata da numerose pronunce della Corte Edu che hanno affermato i seguenti principi (si richiamano le pronunce COGNOME e altri c. Paesi Bassi, § 58; COGNOME c. Belgio, § 85; COGNOME e COGNOME c. Regno Unito , § 61; COGNOME c. Paesi Bassi, § 72; COGNOME c. Turchia , § 140).
Viene ricordato come tuttavia, in alcuni casi, l’accusato sarà forse tenuto a giustificare con motivi specifici la sua domanda di accesso a un particolare documento del fascicolo (COGNOME c. Croazia, § 177). Ma che la mancata trasmissione di elementi di prova alla difesa può pregiudicare la parità delle armi (così come il diritto a un processo in contraddittorio) (COGNOME e. Finlandia, § 38, in cui la difesa non aveva avuto la possibilità di commentare un rapporto di polizia complementare) e, in linea di principio, l’articolo 6 § 1 esige che le autorità procedenti comunichino alla difesa tutte le prove pertinenti in loro possesso, sia a carico che a discarico (COGNOME e COGNOME c. Regno Unito , § 60). In tal senso, dei principi pertinenti possono essere ricavati, secondo il ricorrente, dall’articolo 6 § 3 b.
Con il secondo motivo, in relazione al mancato dissequestro del cellulare, si lamentano violazione dell’art. 15 Cost, dell’art. 8 CEDU, dell’art. 254 cod. proc. pen. con riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale n. 170/23 e dell’art. 125 cod. proc. pen. per difetto assoluto di motivazione.
Il G.I.P. – ci si duole – non ha affatto tenuto conto delle doglianze espresse nella opposizione, tese ad evidenziare, per le ragioni esposte nei singoli motivi, l’illegittimità del mantenimento del sequestro ai fini dell’espletamento delle operazioni della estrazione integrale del suo contenuto, stante la carenza dei presupposti che ne legittimavano questa indagine, sulla scorta delle ragioni evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità e dai richiami alle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia.
Per il ricorrente sembrano emergere, dal testo del provvedimento, sia la elusione rispetto al confronto con i temi sollevati con la opposizione, sia la insufficienza del ragionamento giuridico in vista del mantenimento del sequestro e sia soprattutto, il deficit descrittivo della condotta che si risolve nella assenza di un fumus preesistente alla legittima adozione del sequestro.
Sotto un primo profilo, l’ordinanza impugnata non si confronterebbe con il tema dell’esame totalizzante affidato dal P.M. alla Polizia Giudiziaria, attraverso la copia forense del telefono in assenza di delimitazione dell’oggetto del sequestro, (che dovrebbe conseguire dall’uso in funzione selettiva di una parola, chiave), e che si risolverebbe in un vietato monitoraggio preventivo con funzione esplorativa volto a ricercare altre ed eventuali notizie di reato, con violazione di legge per carenza dei requisiti di pertinenzialità e della proporzione.
Nel caso di specie – lamenta il ricorrente – la copia integrale priverebbe anche di un limite interno preventivo, e metterebbe a nudo il fine reale della operazione ossia quello di andare alla ricerca della notizia criminis in spregio dei principi di adeguatezza e proporzionalità che rendono legittimo il sequestro, anche in vigenza di un quadro legislativo precedente rispetto all’intervento della Consulta.
In sostanza quindi il G.I.P. chiamato a decidere sul mantenimento del sequestro ex art. 263 cod. proc. pen., non avrebbe potuto prescindere dal valutare la sussistenza dei requisiti ineludibili di proporzionalità e adeguatezza del sequestro rispetto alle finalità perseguite dalle indagini.
Sul principio di proporzione e sul tema del rapporto tra sicurezza e riservatezza, intesa come “diritto alla non intromissione da parte del potere pubblico e di soggetti privati nella sfera individuale della persona “, per cui “ogni misura, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, richiede che l’interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi i gioco il ricorrente richiama il dictum di Corte Edu 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve RAGIONE_SOCIALE Bulgaria.
In sostanza quindi la stringata motivazione della ordinanza, che evoca una condotta totalmente indefinita nei contorni fattuali, e neppure riporta il contenuto dei messaggi, confermerebbe la natura congetturale ed esplorativa del sequestro e dell’argomentazione per cui sussisterebbero esigenze probatorie scaturenti dai non meglio individuati indizi di attività di spaccio.
Essa da un lato, finirebbe per eludere i presupposti della pertinenzialità delle cose al reato e della necessità delle stesse ai fini del relativo accertamento; e, dall’altro, esprime un inammissibile ruolo di supplenza del giudice rispetto all’autorità giudiziaria inquirente (ex multis Sez. 6 n. n. 3167/2022).
Il P.M. stesso, nel decreto di convalida, non evidenzierebbe alcun contenuto informativo appreso dalla P.G. al momento del fermo della vettura con i giovani a bordo, compreso il COGNOME, né descrive condotte o circoscrive il campo di indagine affidato al consulente.
La ragione di ciò al ricorrente sembra evidente, sul rilievo per cui appare assai dubbio che si potessero utilizzare informazioni desunte da un telefono di un privato cittadino, in libertà, ottenute senza alcuna espressa autorizzazione del AVV_NOTAIO ed al di fuori del sequestro.
L’ordinanza impugnata – prosegue il ricorso – non farebbe buon governo neppure delle regole che presiedono il sequestro di materiale informatico, finendo per sottrarre all’indagato il diritto ad un sindacato dotato di rigore, della esistenza del nesso di strumentalità tra res e reato (il richiamo è a Sez. 6, n. 13156 del 04/03/2020, COGNOME, in motivazione) al fine di evitare che il sequestro probatorio assuma una valenza meramente esplorativa di notizie di reato diverse ed ulteriori rispetto a quella per cui si procede.
In sintesi, la motivazione del provvedimento del G.I.P. si porrebbe in conflitto con le garanzie in tema di sequestro in generale, e più nello specifico con gli strumenti ablativi di dispositivi informatici nonché con i principi di proporzionalità e pertinenzialità.
Con un terzo motivo, sempre afferente al mancato dissequestro del cellulare, si lamentano violazione dell’art. 15 Cost., dell’art. 8 CEDU, dell’art. 254 cod. proc. pen. con riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale n. 170/23 nonché dell’art. 125 cod. proc. pen. per carenza assoluta di motivazione con riferimento all’obbligo di acquisizione dei dati con atto motivato della Autorità Giudiziaria.
Rileva il ricorrente che la questione, dedotta con l’opposizione, non ha trovato alcuno sbocco motivazionale nella ordinanza del G.I.P. di Ancona.
La sentenza della Consulta n. 170 del 2023 – si evidenzia in ricorso – ha mutato il quadro di riferimento nella attività di indagine, allorquando essa abbia ad oggetto, come nel caso in esame, la ricerca di comunicazioni, custodite all’interno del telefono. Tale sentenza, infatti, riconosce – richiamando anche ampia giurisprudenza sovranazionale – che sia la posta elettronica che i messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (al pari della messaggistica Telegram, di cui si parla nella ordinanza del G.I.P. ossia quelli che costituiscono l’oggetto della ricerca di prova, alla cui acquisizione il mantenimento del sequestro è dichiaratamente strumentale) “rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi.
Consegue, in prima battuta, che tutti i contenuti del telefono non possano più essere acquisiti alla stregua di documenti, nella classica accezione delineata
dal diritto vivente, formatosi in precedenza rispetto all’intervento del Giudice delle leggi ed oggi completamente superata.
In sostanza la decisione impone due limiti ai giudici nazionali nell’applicazione delle disposizioni interne, che per il ricorrente sono così riassumibili: 1. la possibilità di accedere ai dati personali può considerarsi legittima solo in presenza della necessità inderogabile di fronteggiare gravi forme di criminalità; 2. il Pubblico Ministero non è legittimato a disporre l’accesso ai dati ed al traffico contenuti nei dispositivi elettronici. E tali principi, di diretta applicazione della mativa sovranazionale ed aderenti al disposto della Carta Fondamentale in materia di diritti inviolabili della persona, sono stati ribaditi nel diritto interno verso due recentissime pronunce della Sesta Sezione (n. 41554/23 e n. 41555/23) che hanno annullato le misure cautelari, disposte sulla scorta dei dati estrapolati dai dispositivi elettronici sequestrati agli indagati.
Il ricorrente, pertanto, chiede annullarsi i provvedimenti impugnati
3. Il P.G. ha rassegnato le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è inammissibile.
2. Preliminarmente, in relazione a tutti i motivi proposti, va ricordato, che Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo Rv. 280027, alle pagg. 30-31 della motivazione hanno ancora una volta ribadito che «non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Leone, Rv. 279059; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261551). Invero, l’inosservanza di disposizioni della Costituzione, non prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen., può soltanto costituire fondamento di questione di legittimità costituzionale, nel caso di specie non proposta. Analoga sorte incontra la censura riguardante la presunta violazione di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a sua volta proponibile in ricorso unicamente a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna, poiché le norme della Convenzione EDU, così come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, rivestono il rango di fonti interposte, integratrici del precetto di cui all’art. 117, comma 1, Cost. (sempre che siano conformi alla Costituzione e siano compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti)».
Deve, pertanto, ritenersi non consentito il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale, nel caso che ci occupa non proposta.
Quanto al ricorso avverso l’ordinanza che ha rigettato la richiesta di rilascio di copia degli atti lo stesso è inammissibile in quanto costituisce ius receptum e va qui ribadito – che si tratta di provvedimento non impugnabile (cfr. Sez. 6, n. 14999 del 13/12/2013, dep. 2014, Cisterna, Rv. 260884 – 01 che ebbe a ritenere inoppugnabile il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetta l’istanza della persona indagata di rilascio di copia della richiesta di archiviazione all’esito di una valutazione degli interessi coinvolti nel procedimento, non trattandosi di atto abnorme; conf. Sez. 1, n. 2362 del 30/03/2000, Castrese, Rv. 216088 – 01 che ha precisato che il provvedimento in questione non può considerarsi abnorme, tenuto conto, da un lato, che esso rientra nei poteri del giudice e, dall’altro, che il P.M., nel formare il fascicolo per il dibattime to, può disporre con decreto motivato l’obbligo del segreto per singoli atti come precisato da Corte cost., 24 giugno 1997 n. 192; Sez. 6, n. 36167 del 09/04/2008, Rv. 241910 – 01).
D’altra parte, il provvedimento impugnato non presenta alcun profilo di abnormità – peraltro neppure adombrata nel ricorso – tenuto conto che, da un lato, rientra nei poteri del giudice, dall’altro, motiva correttamente con riferimento al segreto investigativo e al fatto che spetti al P.M valutare per quali atti possa derogarsi allo stesso.
Il ricorso avverso l’ordinanza che ha rigettato la richiesta di restituzione del telefono cellulare sequestrato è anch’esso inammissibile.
Si tratta, infatti, di un ricorso ex art. 127, comma 7, cod. proc. pen. avverso il provvedimento di rigetto reso dal AVV_NOTAIO ai sensi dell’art. 263, comma 5, cod. proc. pen., ma con lo stesso il ricorrente propone temi afferenti ai presupposti del sequestro e non al mantenimento del vincolo.
Si tratta, in altri termini, di temi che avrebbero dovuto e potuto essere oggetto di istanza di riesame o di appello ex artt. 322 e 322-bis cod. proc. pen. che il ricorrente non documenta di avere proposto.
Peraltro, diversamente da quanto opina il ricorrente, la sentenza della Corte costituzionale n. 170/2023 non ha inciso sulla questione in esame.
Ed invero, i giudici delle leggi hanno affermato che l’acquisizione di messaggi di posta elettronica e WhatsApp non è qualificabile come intercettazione in
base al discrimine segnato dalle Sezioni Unite, che hanno chiarito che per «intercettazione» deve intendersi l’«apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio» (S.U. n. 36747/2003 Torcasio). Ipotesi che pacificamente non ricorre nel caso di specie.
La Corte costituzionale ha, quindi, equiparato alla corrispondenza, tutelata dall’art. 15 Cost., i messaggi SMS e WhatsApp, richiamando anche le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno ricondotto nell’alveo della «corrispondenza» tutelata dall’art. 8 CEDU i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti (così Sez. 6, n. 48838 del 11/10/2023, Brunello, Rv. 285599 – 01).
Pertanto, va ribadito il principio che è legittimo il sequestro probatorio di chat/email/scambi di comunicazioni, già ricevuti o spediti e conservati nei relativi dispositivi informatici, in quanto tali comunicazioni, non più in atto, hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., la cui acquisizione non soggiace alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (Sez. 6, n. 28269 del 28/05/2019, Rv. 276227; Sez. 3, n. 29426 del 16/04/2019, Rv. 276358). Proprio il provvedimento di sequestro, invero, interviene per acquisire ex post i dati derivanti da precedenti comunicazioni telematiche, già ampiamente avvenute, così conservati nella memoria fisica dei dispositivi informatici (Sez. 5, n. 1822 dei 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272319; Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv 265991)» (Sez. 3, n. 11607 del 19/12/2023, dep. 2024, Malandruoccolo, non mass.).
Nel caso che ci occupa il sequestro e le successive operazioni appaiono essere avvenuti nel pieno rispetto dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Si è osservato, infatti, che, in tema di sequestro probatorio, l’acquisizione indiscriminata di un’intera categorie di beni, nell’ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole “res” strumentali all’accertamento del reato, è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ant l’oggetto del sequestro (così Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279949 – 02 che, in relazione al reato di finanziamento illecito ai partiti, ha ritenuto esplorativo e sproporzionato il sequestro indistinto di tutte le mali, personali
e della società, riferibile ad un soggetto terzo estraneo al reato, trasmesse e ricevute nei dieci anni precedenti).
Ciò comporta che il vincolo deve essere ab origine commisurato, anche sul piano temporale, a quell’esigenza di estrapolazione e che nel contempo deve essere assicurato un canone di selezione in assenza del quale il vincolo risulta nel suo complesso ingiustificato per difetto di proporzionalità.
E proprio in tale prospettiva è stato chiarito che, in tema di sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici, l’estrazione di copia integrale dei dati in essi contenuti realizza solo una copia-mezzo, che consente la restituzione del dispositivo, ma non legittima il trattenimento della totalità delle informazioni apprese oltre il tempo necessario a selezionare quelle pertinenti al reato per cui si procede (così la già citata Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279949 – 01 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che il pubblico ministero è tenuto a predisporre un’adeguata organizzazione per compiere tale selezione nel tempo più breve possibile, soprattutto nel caso in cui i dati siano sequestrati a persone estranee al reato, e provvedere, all’esito, alla restituzione della copia-integrale agli aventi diritto; conf. Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto, Rv. 280838 – 01 che, in relazione al sequestro di un telefono cellulare e di un tablet ha affermato essere illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione).
Orbene, operando un buon governo dei principi sopra ricordati, come ricorda lo stesso ricorrente, nel caso in esame il P.M. ha conferito, il 20 novembre 2023, in contraddittorio con i difensori, incarico di consulenza tecnica “al fine di acquisire copia forense del dispositivo e degli account anche in cloud con successiva analisi dei dati, procedendosi per violazione art. 73 DPR 309/90”.
Il termine concesso al consulente scadeva il 22 dicembre 2023, cosicché certamente – come rilevato nell’ordinanza impugnata – alla data della decisione erano ancora in corso gli accertamenti tecnici, che pertanto ostavano alla restituzione del telefono.
Le esigenze probatorie finalizzate alla ricerca dei messaggi con cui veniva contattato l’indagato ai fini dell’acquisto dello stupefacente appaiono, peraltro evidenti, così come emerge assolutamente conforme al più volte richiamato principio di proporzionalità che il dispositivo venga trattenuto per il tempo strettamente necessario all’estrapolazione degli stessi, con successiva restituzione all’interessato una volta cessate le operazioni di copia.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/04/2024