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Sequestro probatorio smartphone: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro il rigetto della richiesta di restituzione del suo smartphone, sottoposto a sequestro probatorio per un’ipotesi di reato legata agli stupefacenti. La Corte ha stabilito che il sequestro del dispositivo è lo strumento corretto per acquisire messaggi e dati, e che il mantenimento del vincolo era giustificato dalla necessità di completare la copia forense e l’analisi dei dati, nel rispetto del principio di proporzionalità.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Probatorio di Smartphone: la Cassazione traccia i confini tra indagine e privacy

Il sequestro probatorio di dispositivi elettronici, come gli smartphone, rappresenta un punto di frizione costante tra le esigenze investigative e il diritto alla privacy dei cittadini. Con la sentenza n. 22595 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema delicato, fornendo chiarimenti essenziali sulla legittimità di tale misura, specialmente nel contesto dei reati legati agli stupefacenti. La decisione sottolinea come il sequestro sia lo strumento procedurale corretto per acquisire dati e messaggi, purché vengano rispettati i principi di proporzionalità e necessità.

I Fatti del Caso: Il Sequestro dello Smartphone

Durante un controllo, le forze dell’ordine procedevano al sequestro dell’autovettura e dello smartphone di un giovane, indagato per un’ipotesi di reato prevista dalla legge sugli stupefacenti. Il Pubblico Ministero convalidava il sequestro, ritenendo il telefono cellulare corpo del reato e strumento pertinente all’accertamento dei fatti. La difesa dell’indagato presentava istanza per la restituzione del dispositivo, che veniva rigettata dal PM. Successivamente, veniva disposta una consulenza tecnica per effettuare una copia forense dei dati contenuti nel telefono. Contro il diniego, la difesa proponeva opposizione al Giudice per le indagini preliminari (GIP), il quale, tuttavia, confermava il provvedimento, rigettando sia la richiesta di restituzione sia quella, avanzata in udienza, di ottenere copia degli atti di indagine, ancora coperti da segreto investigativo.

Il Ricorso in Cassazione: Le Ragioni della Difesa

L’indagato, tramite il suo difensore, ricorreva alla Corte di Cassazione, lamentando molteplici violazioni:
1. Violazione del diritto di difesa: La negata possibilità di accedere agli atti del procedimento avrebbe impedito di conoscere il materiale probatorio a carico, ledendo il principio della parità delle armi.
2. Illegittimità del sequestro probatorio: Il mantenimento del sequestro sarebbe stato immotivato e sproporzionato, configurandosi come un’indagine esplorativa non supportata da sufficienti indizi (fumus commissi delicti).
3. Violazione della privacy delle comunicazioni: Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2023, che equipara i messaggi di chat alla corrispondenza, l’acquisizione indiscriminata dei dati avrebbe violato l’art. 15 della Costituzione.

La Decisione della Corte: Il Sequestro Probatorio è lo Strumento Corretto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile sotto ogni profilo, confermando la legittimità dell’operato dei giudici di merito. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di acquisizione di prove digitali.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Corte si fonda su argomentazioni giuridiche precise e consolidate.

Inammissibilità del Ricorso per la Copia degli Atti

In primo luogo, la Corte ha chiarito che il provvedimento con cui il giudice nega il rilascio di copia degli atti di un’indagine coperta da segreto non è un atto impugnabile. Si tratta di una decisione che rientra nei poteri del giudice e che è correttamente motivata dalla necessità di tutelare l’indagine in corso.

La Legittimità del Sequestro Probatorio dello Smartphone

Il cuore della motivazione riguarda la legittimità del sequestro. La Cassazione ha specificato che la difesa ha utilizzato uno strumento errato: le contestazioni sull’esistenza dei presupposti del sequestro (come il fumus) avrebbero dovuto essere sollevate tramite l’istanza di riesame (art. 322 c.p.p.), non con un’opposizione al diniego di restituzione (art. 263 c.p.p.).
Inoltre, la Corte ha affrontato il richiamo alla sentenza n. 170/2023 della Consulta, spiegando che tale pronuncia equipara i messaggi di chat alla corrispondenza, ma non ne vieta l’acquisizione. Al contrario, lo strumento corretto per acquisire comunicazioni ‘statiche’ (già ricevute e memorizzate sul dispositivo) è proprio il sequestro probatorio del supporto fisico che le contiene, che viene trattato come un documento ai sensi dell’art. 234 c.p.p.

Proporzionalità e Necessità della Misura

Infine, la Corte ha ritenuto la misura proporzionata. La creazione di una copia forense integrale è una ‘copia-mezzo’ funzionale a consentire la successiva analisi e la selezione dei soli dati pertinenti al reato, permettendo al contempo una più rapida restituzione del dispositivo originale. Poiché al momento della decisione del GIP le operazioni tecniche erano ancora in corso, il mantenimento del vincolo sui dati era giustificato dalle evidenti esigenze probatorie, ovvero la ricerca di messaggi relativi all’attività di spaccio.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: il sequestro probatorio di uno smartphone è uno strumento investigativo legittimo e necessario per l’accertamento di reati. Sebbene la privacy delle comunicazioni digitali sia tutelata al pari della corrispondenza tradizionale, tale tutela non è assoluta e può essere compressa per finalità di giustizia penale. La chiave di volta risiede nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza: il sequestro non deve trasformarsi in una ricerca esplorativa indiscriminata, ma deve essere finalizzato all’acquisizione di elementi di prova pertinenti al reato per cui si procede, garantendo che il vincolo sui beni duri solo per il tempo strettamente necessario alle indagini tecniche.

È possibile acquisire i messaggi di chat tramite il sequestro probatorio di uno smartphone?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il sequestro probatorio del dispositivo è lo strumento procedurale corretto per acquisire comunicazioni già ricevute o inviate e memorizzate sul telefono (‘statiche’), le quali hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura penale.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il mancato dissequestro?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché la difesa ha utilizzato lo strumento processuale sbagliato. Le contestazioni sui presupposti originari del sequestro avrebbero dovuto essere sollevate con un’istanza di riesame, non con un ricorso contro il provvedimento che nega la restituzione. Inoltre, al momento della decisione, le esigenze probatorie giustificavano ancora il mantenimento del vincolo.

È possibile impugnare il diniego di ottenere copia degli atti di un’indagine ancora coperta da segreto?
No. Secondo la Corte, il provvedimento con cui il giudice rigetta la richiesta di rilascio di copia degli atti di indagine coperti da segreto è un atto non impugnabile, in quanto rientra nei poteri del giudice e trova la sua giustificazione nella tutela delle indagini in corso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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