Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45607 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45607 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato in Albania il 29/10/1984 NOMECOGNOME nata in Albania il 26/04/1985 NOME nato in Albania il 15/09/1990
avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 11/06/2024, il Tribunale di Firenze rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., da NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME contro il decreto di perquisizione e sequestro probatorio del 24/05/2024 del Pubblico ministero presso il Tribunale di Firenze.
Avverso la menzionata ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Firenze, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite dei propri difensori, NOME COGNOME (ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME (ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME).
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 125, comma 3, dello stesso codice, per la mancanza della motivazione del decreto di sequestro prescritta dall’art. 253 cod. proc. pen., «errores in iudicando ed in procedendo».
3.1. Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Firenze, a fronte di un decreto di sequestro probatorio che sarebbe stato «del tutto privo di motivazione in ordine al denaro rinvenuto nella disponibilità» del COGNOME, avrebbe confermato lo stesso decreto con una motivazione anapodittica e non conforme al principio di diritto secondo cui il decreto di sequestro probatorio, anche quando ha oggetto cose che costituiscono corpo del reato, deve contenere una motivazione che dia conto specificamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti.
Il COGNOME deduce che il decreto che era stato da lui impugnato davanti al Tribunale di Firenze era privo dell’indicazione di quale fosse la rilevanza del denaro da apprendere ai fini dell’accertamento dei fatti, con la conseguenza che, anche a volere considerare lo stesso denaro quale corpo del reato, la rappresentata assoluta mancanza di motivazione avrebbe dovuto comportare la dichiarazione di nullità dello stesso decreto, «non sanabile in sede di riesame».
3.2. Il ricorrente rappresenta che, in tale sede di riesame, il pubblico ministero aveva giustificato l’apprensione del denaro con l’esigenza di «comprendere l’impiego ed il trasferimento delle somme di denaro e la loro provenienza».
Secondo il COGNOME, tali giustificazioni sarebbero tuttavia del tutto apparenti e «non conformi ai parametri motivazionali di un provvedimento cautelare probatorio» e il Tribunale di Firenze, col recepirle, oltre a violare il divieto «sanare» un provvedimento del tutto privo di motivazione sul punto, si sarebbe «re partecipe della summenzionata fictio motivazionale».
Il COGNOME asserisce in proposito che le stesse giustificazioni sarebbero «non soddisfattive delle esigenze probatorie in ordine alla loro funzionalità all’accertamento dei fatti oggetto di indagine».
Il ricorrente deduce in particolare che, nei casi di sequestro probatorio di denaro, tale misura potrebbe essere disposta solo in presenza di un’adeguata motivazione che dia conto del fatto che la prova del reato si desume «non dall’esistenza del denaro in sé, ma dalle singole banconote nella loro materialità».
Tenuto conto di ciò, il COGNOME deduce che la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe meramente apparente in quanto «non spiega, in concreto, per quale ragione sarebbe necessario mantenere in sequestro proprio le banconote che sono state sequestrate al fine di accertare come si sono svolti i fatti di cui all’imputazione provvisoria».
In particolare, con l’affermare che i controlli che l’organo inquirente avrebbe dovuto svolgere attenevano alla «contabilità dei locali», il Tribunale di Firenze avrebbe in effetti reso palese che «nessuna attività investigativa deve essere svolta sulle banconote in sequestro», a ulteriore conferma del carattere apparente della motivazione dell’ordinanza impugnata.
I ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono affidati a un unico motivo, con il quale i ricorrenti deducono anch’essi, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., la violazione dell’art. 125, comma 3, dello stesso codice, per la mancanza della motivazione del decreto di sequestro prescritta dall’art. 253 cod. proc. pen.
I ricorrenti lamentano anch’essi che il Tribunale di Firenze, a fronte di un decreto di sequestro probatorio che sarebbe stato «del tutto privo di motivazione in ordine al denaro rinvenuto nella disponibilità» della COGNOME e del COGNOME, avrebbe confermato lo stesso decreto con una motivazione anapodittica e non conforme al principio di diritto secondo cui il decreto di sequestro probatorio, anche quando ha oggetto cose che costituiscono corpo del reato, deve contenere una motivazione che dia conto specificamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti.
La NOME e il COGNOME sviluppano argomentazioni che sono sovrapponibili (nella gran parte anche letteralmente) a quelle del ricorso di NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi dei ricorsi – i quali, lamentando lo stesso vizio, devono essere esaminati congiuntamente – non sono fondati.
Tutti e tre i ricorrenti lamentano anzitutto che il decreto di sequestro probatorio del pubblico ministero sarebbe stato nullo in quanto non sorretto da idonea motivazione in ordine alla concreta sussistenza del presupposto della finalità perseguita dallo stesso provvedimento in funzione dell’accertamento dei fatti, motivazione che si dovrebbe ritenere necessaria anche nel caso in cui il decreto abbia a oggetto cose che costituiscono corpo di reato.
Secondo gli stessi ricorrenti, inoltre, tale lamentata mancanza di motivazione non sarebbe «sanabile in sede di riesame».
Con riguardo a tale prima doglianza, si deve anzitutto senz’altro ribadire il principio, ripetutamente affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui il decreto di sequestro probatorio, anche qualora abbia a oggetto cose che costituiscono corpo di reato, deve contenere, a pena di nullità, un’idonea motivazione che dia conto specificamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 27354801; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01).
Quanto, poi, al quesito se, nell’ipotesi di omessa motivazione che infici di nullità il provvedimento impositivo del sequestro, la stessa nullità possa essere sanata dal tribunale del riesame, quest’ultima sentenza COGNOME delle Sezioni unite ha precisato che, «a fronte dell’omessa individuazione nel decreto di sequestro delle esigenze probatorie e della persistente inerzia del Pubblico Ministero pure nel contraddittorio camerale del riesame, il tribunale non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questi radicalmente e illegittimamente pretermesse» (corsivo aggiunto. La massima sul punto è Rv. 226712-01).
Da tale argomentazione risulta pertanto emergere che, se il tribunale del riesame non si può ritenere legittimato a identificare e ad allegare le ragioni probatorie che, in funzione dell’accertamento dei fatti, siano idonee a giustificare in concreto l’applicazione della misura del sequestro, non si può invece escludere che tali identificazione e allegazione vengano operate dal pubblico ministero, quale organo al quale spetta il potere di iniziativa in materia, nel contraddittorio camerale del riesame.
Tale possibilità è stata anche in seguito riconosciuta dalla Corte di cassazione, la quale ha affermato i principi, di analogo contenuto, secondo cui: «il decreto di sequestro probatorio di cose costituenti corpo di reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione, integrabile esclusivamente dal pubblico ministero in sede di contraddittorio camerale de libertate, in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti» (Sez. 3, n. 37187 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260241-01; corsivo aggiunto); «nel caso in esame non può trovare alcuna applicazione il principio enunciato dalle Sezioni Unite (SEZ. Un. 28 gennaio 2004, COGNOME, C.E.D. Cass., n. 226713) in tema di radicale assenza di motivazione del provvedimento di sequestro probatorio del corpo di reato, essendo pacifico che nell’udienza di fronte al tribunale del riesame il p.m. ha ampiamente indicato sia nella discussione orale che attraverso il preventivo deposito di note scritte, la motivazione posta a base dell’adottato provvedimento di sequestro probatorio» (Sez. 2, n. 25966 del 28/04/2004, Palmi, Rv. 229708-01; corsivo aggiunto).
Nel caso in esame, risulta che la motivazione del decreto di sequestro probatorio in ordine al presupposto della finalità in concreto perseguita per l’accertamento dei fatti è stata integrata dal pubblico ministero in sede di contraddittorio camerale del riesame («appaiono necessarie le attività indicate dal magistrato requirente, ovvero quelle destinate a comprendere l’impiego ed il trasferimento delle somme di denaro e la loro provenienza»; pag. 4 dell’ordinanza
impugnata), come è stato indicato anche nel ricorso del Kamani («l’organo requirente provvedeva in sede di riesame a giustificare detta apprensione quale esigenza di comprendere l’impiego ed il trasferimento delle somme di denaro e la loro provenienza»; pag. 3).
Da ciò discende che: a) contrariamente a quanto è sostenuto dai ricorrenti, tale integrazione del titolo “cautelare” in ordine alle specifiche finalità probatori di esso si deve ritenere consentita, in quanto è stata operata non d’iniziativa del tribunale del riesame ma dal pubblico ministero nel contraddittorio del procedimento di riesame; b) i ricorrenti non si possono dolere, in questa sede, della mera carenza della motivazione del decreto di sequestro, la questione essendo ormai piuttosto quella di stabilire se le eventuali lacune della stessa motivazione siano state o no adeguatamente colmate, da parte del pubblico ministero, nel contraddittorio camerale.
Tale è, in effetti, la questione che costituisce l’oggetto della seconda doglianza dei ricorrenti.
3. Passando, perciò, a tale ulteriore doglianza, si deve evidenziare che, con riguardo alla motivazione in ordine alla finalità di accertamento dei fatti perseguita mediante il sequestro probatorio di denaro unica questione che è stata devoluta come oggetto dei ricorsi -, la Corte di cassazione ha chiarito come, attesa, evidentemente, la fungibilità del suddetto bene/denaro: «la prova del reato non discende dalla res sequestrata, ma dagli atti di indagine circa il suo rinvenimento» (Sez. 6, n. 19771 del 09/04/2009, COGNOME, Rv. 243670-01); «l denaro, , anche nelle ipotesi in cui lo stesso integri “corpo di reato”, non è, di per sé, di alcuna necessità dimostrativa, in quanto privo di connotazioni di tipo “identificativo”: le banconote o le monete, in quanto tali, non servono a dimostrare alcunché (ciò che conta è, infatti, la documentazione del possesso di quella somma, e non la somma in sé e per sé considerata), almeno che proprio “quelle” banconote o “quelle” monete (ad esempio perché previamente contrassegnate o perché sospettate di falsità) occorrano al processo come elemento di tipo probatorio» (Sez. 2, n. 4155 del 20/01/2015, Cheick, Rv. 262379-01); «la fungibilità richiede che vi sia una specifica motivazione sul nesso di pertinenzialità, nel senso che la prova del reato debba discendere non dal semplice accertamento dell’esistenza di un quantitativo di denaro che costituisca corpo di reato, ma dal denaro stesso nella sua materialità, ad esempio per particolari caratteristiche delle banconote o per le modalità della loro conservazione» (Sez. 3, n. 36921 del 27/05/2015, COGNOME, Rv. 265009-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro probatorio avente a oggetto merci di contrabbando nonché denaro custodito in buste di plastica chiuse da elastici e
perciò ritenuto, per le modalità di conservazione, astrattamente riconducibile alle operazioni illecite ipotizzate).
Nel caso in esame, la motivazione del sequestro, come integrata su iniziativa del pubblico ministero nel contraddittorio camerale, appare rispondere a tali principi, atteso che essa evidenzia che ciò che interessa ai fini della prova non è il denaro in sé e per sé, ma le modalità della sua conservazione («in fascette, ciascuna delle quali riportante appunti inerenti nomi di banche o di locali»), le quali erano quindi tali da fare sì che il denaro sequestrato occorresse al procedimento al fine di potere eseguire i corrispondenti controlli sulla contabilità dei locali ristorazione che erano controllati dagli indagati.
Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetti ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 17/10/2024.