Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3219 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3219 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 05/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
udito il difensore
LAVV_NOTAIO illustra i motivi di gravame ed insiste per l’accoglimento del ricorso
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 05/06/2023 – l’unica che il ricorso intende impugnare alla luce della univoca puntualizzazione contenuta a pag. 5 del ricorso stesso – il Tribunale di Roma, nel rigettare la richiesta di riesame proposta nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, ha confermato il provvedimento di convalida del sequestro probatorio emesso in data 31 marzo 2023 dal P.M. e avente ad oggetto: a) due giubbotti rinvenuti presso il punto vendita dell’indagata Zhu Suruo e riproducenti, secondo la prospettazione accusatoria un marchio registrato di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, parzialmente alterato rispetto a quello originale registrato presso l’RAGIONE_SOCIALE.U.I.P.O., ma verosimilmente in grado di indurre in errore l’acquirente medio; b) 4.200 giacche estive simili, rinvenute nel magazzino della RAGIONE_SOCIALE
Nell’interesse di NOME, quale indagato e persona alla quale le cose sono state sequestrate in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, terza proprietaria dei beni sequestrati, è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando: a) che il Tribunale, ritenendo di non poter prendere in considerazione né la consulenza della difesa, né quella predisposta dalla RAGIONE_SOCIALE, si era affidato, per la decisione, al “notorio riscontrabile su fonti aperte”, rilevando che la RAGIONE_SOCIALE è titolare di più marchi, ma trascurando di considerare che persino la consulenza RAGIONE_SOCIALE aveva riconosciuto che, nella classe merceologica 25 dell’Abbigliamento, è registrato il solo marchio figurativo composto dalle doppie F capovolte e contrapposte; b) che la classe Cuoio e Pellami, ossia la classe 18 non interessa la vicenda oggetto del presente procedimento; c) che, pertanto, erroneamente il Tribunale, senza spiegare perché non potesse essere inteso come mero segno decorativo, aveva richiamato il marchio in metallo utilizzato per le fibbie della pelletteria dalla società RAGIONE_SOCIALE, peraltro senza indicare una fonte obiettivamente controllabile di siffatta conclusione; d) che il Tribunale non aveva considerato la rilevanza, ai fini della confondibilità, dell’applicazione sulle giacche sequestrate di un’etichetta in cartone con impresso il marchio Mitno e di altra etichetta con lo stesso marchio, cucita; e) che illogicamente si era valorizzato il fatto che il decoro presente sulle fodere delle giacche non avesse alcuna “assonanza grafica” con il marchio Mitno; f) che illogicamente si era rilevato che le etichette non erano visibili quando il capo era indossato, dal momento che lo stesso valeva per le fodere; g) che
nessuna considerazione era stata dedicata ai rilievi difensivi che, sulla scorta della consulenza tecnica del AVV_NOTAIO COGNOME aveva escluso qualunque contraffazione o situazione di confondibilità.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali e, in particolare, dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., per mancato rispetto del termine previsto da quest’ultima norma per la decisione, intervenuta diciassette giorni dopo la ricezione degli atti.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza del 19 ottobre 2023 si è svolta la trattazione orale del ricorso.
Considerato in diritto
Va premesso che, nonostante l’unicità dell’atto di impugnazione, il ricorrente NOME ha fatto valere esplicitamente un duplice autonomo, titolo di legittimazione, presentandosi sia come indagato e persona alla quale le cose sono state sequestrate in proprio, sia come legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
Sotto il primo profilo, il ricorso è inammissibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (v., fra le molte, Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, COGNOME, Rv. 281098 – 01).
Interesse che, nella specie, fa difetto, poiché titolare del diritto alla restituzione è la società proprietaria, mentre nulla sul punto viene dedotto in ricorso quanto all’interesse dell’indagato in proprio rispetto al profilo della restituzione.
Esaminando il ricorso proposto dal legale rappresentante della società, occorre preliminarmente analizzare, per ragioni di ordine logico, il secondo motivo di ricorso.
Esso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riesame di misure cautelari reali, l’inosservanza del termine perentorio di dieci giorni per la decisione, decorrente dalla data della ricezione degli atti, cui consegue l’inefficacia della misura, è certamente deducibile con ricorso per cassazione ex art. 324 cod. proc. pen., in quanto integra un error in procedendo del giudizio di impugnazione (Sez. 3, n. 41778 del 01/10/2021, Cucchetti, Rv. 282631 – 01). E, tuttavia, occorre considerare che, in tema di riesame di provvedimenti di sequestro, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, che ha novellato l’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, bensì il diverso termine indicato dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria, per cui, nel caso di trasmissione frazionata degli atti, il termine perentorio di dieci giorni, entro cui deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura, decorre dal momento in cui il tribunale ritiene completa l’acquisizione degli atti. (Sez. 6, n. 47883 del 25/09/2019, NOME COGNOME, Rv. 277566 – 01).
Il primo motivo del ricorso, al netto di considerazioni che sono dichiaratamente finalizzate ad illuminare la ritenuta superficialità di trattazione del procedimento cautelare, ma che non si traducono in censure correlate a vizi della decisione assunta, è inammissibile per manifesta infondatezza.
Va ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (v., fra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 – 01).
Ciò posto, fermo restando che il provvedimento con il quale è disposto il sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548 – 01), si osserva che, in sede di riesame, il tribunale è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con
riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Pirlo, Rv. 278542 – 01).
È certamente esatto che, secondo una prospettiva garantistica cha ha trovato risalente recepimento nella giurisprudenza di questa Corte, la decisione sulla astratta configurabilità del reato ipotizzato, non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente “prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, infatti, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va quindi compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657 – 01).
Ora, in questa prospettiva, il carattere strumentale del sequestro rispetto alle finalità di compiuto accertamento dei fatti e il circoscritto ambito del sindacato di legittimità impongono di arrestarsi di fronte ad una motivazione che, all’esito di una valutazione dei dati disponibili e fermi gli accertamenti successivi, ha colto il carattere confusorio della contraffazione.
Al riguardo, va rilevato, alla luce delle censure prospettate, che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 474 cod. pen., l’alterazione di marchi comprende anche la riproduzione solo parziale del marchio, idonea a far sì che esso si confonda con l’originale e da verificarsi mediante un esame sintetico – e non analitico – dei marchi in comparazione, che tenga conto dell’impressione di insieme e della specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato, soprattutto se si tratta di un marchio celebre (Sez. 5, n. 33900 del 08/05/2018, Cortese, Rv. 273893 – 01: la menzione nella massima ufficiale anche dell’art. 473 cod. pen. non incide, ai fini che qui rilevano sul significato della nozione).
D’altra parte, l’esistenza di marchi aggiuntivi, in sé, non è decisiva, occorrendo valutare se essa sia idonea ad escludere il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti, assumendo, a tal fine, rilievo determinante verificare la posizione sul prodotto di tali elementi rispetto a quella del marchio altrui – nella prospettiva di un’immediata e contestuale leggibilità di entrambe le indicazioni, che garantisca ai terzi la possibilità di apprezzare il carattere non
autentico del marchio (Sez. 2, n. 22040 del 19/02/2019, Caccuri, Rv. 276103 O).
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 19/10/2023.