Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23519 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23519 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Frascati il 27/12/1984
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del TRIB. LIBERTA di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; sentito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Roma, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 gennaio 2025 il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico ministero nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1.1. Quanto al fumus commissi delicti, dall’esame delle conversazioni intercettate i giudici della cautela hanno tratto indicatori concreti circa coinvolgimento del COGNOME in ripetute cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in favore di NOME COGNOME nel mese di giugno 2023.
Quanto al rapporto di pertinenzialità, il Tribunale ha sottolineato come il vincolo reale sia stato impresso su materiale evidentemente destinato al confezionamento del narcotico, e su smartphone che con elevata probabilità sono stati utilizzati per concludere le singole transazioni illecite.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge processuale penale, lamentando l’inutilizzabilità delle attività di indagine, poiché compiute oltre i termine di durata di cui all’art. 405 cod. proc. pen..
Osserva al riguardo che NOME COGNOME fu iscritto nel registro delle notizie di reato il 21 ottobre 2022, e che quindi la richiesta di proroga ex art. 406 cod. proc. pen., poiché avanzata il 3 maggio 2023, deve ritenersi tardiva.
La conseguente inutilizzabilità, che si desume dal tenore letterale dell’art. 407, comma 3, cod. proc. pen., travolge pertanto quelle attività di indagine per effetto delle quali si è giunti alla identificazione del COGNOME che era risultato i contatto con l’COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione della legge processuale penale, in relazione all’art. 355 cod. proc. pen., in quanto la polizia giudiziari sottoponeva a sequestro anche due orologi e del denaro contante, in alcun modo menzionati nel decreto di sequestro.
Decreto che non fu poi convalidato dal Giudice per le indagini preliminari, il quale, senza disporre la restituzione all’avente diritto, dispose il sequestro preventivo, ma in relazione al diverso reato di cui all’art. 648-ter cod. proc. pen. (titolo di reato per il quale, nel frattempo, il COGNOME era stato iscritto ex art. 335 cod. proc. pen.).
In tal modo, il decreto di sequestro si è trasformato nel mezzo di ricerca di un altro reato.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione della legge processuale penaíe, in relazione all’art. 263 cod. proc. pen.; il decreto di sequestro probatorio, in relazione agli orologi ed al denaro contante, non contiene alcuna specifica motivazione quanto al rapporto di pertinenzialità.
Né le ragioni probatorie potevano essere integrate dal Tribunale del riesame, che anzi ha modificato la struttura stessa del provvedimento impugnato.
Anche il riferimento del Tribunale alla previsione di cui all’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. è errato in quanto la giurisprudenza ha chiarito che il divieto di restituzione deve essere inteso limitatamente alle cose intrinsecamente pericolose, non ai casi in cui la confisca consegue alla pronuncia di una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
Il ricorrente, infine, ha fatto pervenire una memoria, con la quale, attraverso ampi riferimenti giurisprudenziali, ha inteso replicare alle conclusioni della parte pubblica.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., poiché proposto per la prima volta con il ricorso per cassazione, oltre che manifestamente infondato, poiché l’iscrizione nel registro delle notizie di reato è stata effettuata il 9 novembre 2022, come del resto emerge dall’esame degli atti.
1.2. Quanto alle restanti doglianze, costituisce ius receptum il principio secondo cui spetta al pubblico ministero la qualificazione giuridica del sequestro operato dalla polizia giudiziaria, che ha poteri di sequestro in via di urgenza sia ai fini probatori che ai fini preventivi (Sez. 4, n. 21000 del 26/04/2016, COGNOME, Rv. 266863 – 01; Sez. 3, n. 26916 del 14/05/2009, COGNOME, Rv. 244241 – 01): di conseguenza, nel caso del sequestro probatorio il pubblico ministero dovrà procedere direttamente alla convalida, mentre invece nel caso del sequestro preventivo la dovrà richiedere al giudice.
Nella specie il sequestro disposto d’urgenza dalla polizia giudiziaria, in relazione al denaro ed agli orologi (su cui si appunto le doglianze del ricorrente), è stato qualificato come preventivo dal Pubblico ministero (prima) e dal Giudice per le indagini preliminari (poi).
In applicazione dell’art. 321, comma
3-bis, cod. proc. pen., quindi, il Pubblico
ministero ha chiesto la convalida, non ritenendo di disporre la restituzione delle cose sequestrate in via preventiva, nonché l’emissione del provvedimento di
sequestro.
All’esito, il Giudice per le indagini preliminari non ha convalidato il sequestro per il mancato rispetto del termine di cui al comma
3-ter della stessa disposizione,
ma ha emesso un autonomo decreto di sequestro preventivo, sempre ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., come riconosce lo stesso ricorrente (p. 6).
Pertanto, il vincolo sul denaro e sugli orologi, di cui ci si duole, autonomamente imposto dal provvedimento di sequestro emesso dal Giudice per
le indagini preliminari, per cui il ricorrente non vanta alcun interesse ad impugnare il decreto del pubblico ministero che ha disposto la perquisizione ed il sequestro
(cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 37590 del 12/10/2021, COGNOME non mass.; Sez. 2, n.
37589 del 12/10/2021, COGNOME, non mass.; conf., in relazione al ricorso proposto avverso il decreto del pubblico ministero non convalidato dal giudice per le indagini
preliminari, Sez. 2, n. 23295 del 24/02/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n.
50740 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 277784 – 01; Sez. 3, n. 5770 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 258936 – 01; Sez. 6, n. 651 del 05/03/1993, COGNOME, Rv. 193987 – 01).
Che il ricorrente abbia impugnato espressamente il decreto del pubblico ministero lo si evince non solo dall’esplicito riferimento, ma anche dal tenore complessivo delle censure, nonché dalle argomentazioni dello stesso provvedimento impugnato, che a tali censure ha inteso offrire risposta.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.