Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22653 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22653 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VENEZIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/02/2024 del GIP TRIBUNALE di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO che ha chiesto che il ricorso ven dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente AVV_NOTAIO, conclusioni ribad anche con memoria tempestivamente depositata, con le quali si è chiesto raccoglimen del ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
Il giudice per le indagini preliminari di Venezia, con provvedimento del 02/02/2024, ha parzialmente accolto l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 263, comma 5, cod. proc. pen. da COGNOME NOME, quale indagato dei reati di cui agli artt. 110, 640-bis, 316-ter, 648-ter, comma primo, cod. pen., contro il decreto del Pubblico Ministero che aveva rigel:tato la richiesta di dissequestro di quanto a lui sequestrato di iniziativa da parte della RAGIONE_SOCIALE Finanza in data 08/02/2023, disponendo la restituzione di due dei quattro orologi in sequestro, attesa la data di acquisto degli stessi, e mantenendo invece il sequestro probatorio per altri due orologi (Patek Philippe Ellipse e Rolex Daytona) perché acquistati in epoca sospetta e coincidente con le condotte oggetto di imputazione provvisoria.
COGNOME NOME ha proposto ricorso avverso il predetto provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di Venezia, per mezzo del proprio difensore, senza articolare uno specifico motivo di ricorso, ma proponendo una serie di argomentazioni con le quali ha sostenuto la mancanza ed illogicità della motivazione adottata dal Giudice delle indagini preliminari in ordine alla necessità di mantenere il sequestro probatorio, in assenza di una specifica argomentazione che evidenzi la necessità del protrarsi del vincolo in questione.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
La difesa ha depositato memoria in data 29/04/2024 con la quale ha reiterato le proprie argomentazioni, opponendosi alle conclusioni del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile perché proposto con argomentazioni generiche e non consentite.
In via preliminare si deve osservare che la presente impugnativa risulta correttamente proposta in sede di legittimità. Infatti, è stata autorevolmente affermata l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale, ai sensi dell’art. 263, comma 5, cod. proc. pen., il giudice per le indagini preliminari decide sull’opposizione proposta dall’interessato avverso il decreto di rigetto, da parte del pubblico ministero,
della richiesta di restituzione di cose sequestrate( Sez. U, Sentenza n. 7946 del 31/01/2008, COGNOME, Rv. 238507-01). In senso conforme Sez. U, Sentenza n. 9857 del 30/10/2008, COGNOME, Rv. 242290-01 ha precisato che il ricorso in tale ipotesi è proponibile per tutti i motivi indicati dall’art. 606, comma primo, cod . proc. pen.
Tanto premesso, occorre osservare che le doglianze espresse dal ricorrente sono formulate genericamente, poiché in alcun modo sono state spiegate le ragioni per le quali i beni sequestrati non sarebbero corpo del reato, essendo questo il solo presupposto invocabile nella prospettiva della richiesta di restituzione.
In proposito, deve rilevarsi che per quanto risulta dal testo del provvedimento impugNOME, i decreti di sequestro di cui si discute appaiono sufficientemente motivati, atteso l’oggetto della contestazione provvisoria elevata e la necessità di riscontrare se i beni in questione (tra l’altro genericamente indicati nella istanza originaria) siano stati acquistati con denaro provento di reato, con particolare considerazione dell’epoca di acquisto degli stessi.
In tal senso, il provvedimento impugNOME ha esplicitamente evidenziato come la difesa avesse allegato che i due orologi in questione erano stati acquistati con risorse provenienti da RAGIONE_SOCIALE, ovvero la società che nella ipotesi di accusa è stata utilizzata dal COGNOME NOME, quale legale rappresentante della stessa, in concorso con COGNOME NOME, per monetizzare crediti di imposta fittizi da bonus energetici a loro volta ottenuti mediante false rappresentazioni di lavori ( art. 640-bis cod. pen.) ed emissioni di fatture per operazioni inesistenti, con evidente necessità di mantenere il sequestro a fini probatori, attesa l’ipotizzata provenienza da reato delle risorse utilizzate per il loro acquisto.
Va, quindi, ricordato che questa Corte, con orientamento di recente confermato anche dalle Sezioni Unite, ha sancito il principio per il quale le cose soggette a confisca obbligatoria-nella specie sono quelle sequestrate (attesa la contestazione anche ai sensi dell’art. 648-ter) – non possono essere restituite, ai sensi dell’ad 324, comma 7, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019,Bellucci, Rv. 276690-01 per la quale il divieto di restituzione previsto dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. opera, oltre che con riguardo al sequestro preventivo, anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio).
In senso conforme si era espressa anche la precedente pronunzia Sez. 3, Sentenza n. 17918 del 06/12/2016, Rena, Rv. 269628-01, in riferimento al sequestro realizzato dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa – come nel caso in esame – e per finalità esclusivamente probatorie.’NeLcaso in esanae. Pertanto, non sussiste la denunziata illegittimità del decreto di sequestro probatorio, né del provvedimento impugNOME, né vi è alcun obbligo di restituzione, anche attesa la presentazione di un motivo del tutto generico ed incentrato su un vizio della motivazione sostanzialmente ritenuta non esaustiva in ordine alla giustificazione della necessità cli mantenere il sequestro probatorio, con proposizione di una lettura alternativa ritenuta più plausibile.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, atteso il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.