Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30244 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30244 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TAURIANOVA il 10/04/1964
avverso l’ordinanza del 01/04/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, come da requisitoria già depositata.
udito il difensore l’avvocato COGNOME chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del riesame, decidendo in sede di giudizio di rinvio, ha nuovamente rigettato la richiesta di riesame, presentata nell’interesse di NOME COGNOME personalmente e nella qualità di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, avverso il decreto di perquisizione e sequestro probatorio adottato nei suoi confronti per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale e truffa ai danni dello Stato.
1.1. Il giudizio di rinvio era stato disposto dalla Quinta Sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 8376 del 2025 che aveva annullato la precedente ordinanza di rigetto del riesame avverso il detto sequestro probatorio.
In particolare, con la sentenza rescindente, la Corte di Cassazione – con riferimento alle imputazioni elevate nei confronti del ricorrente quale legale rappresentante di una delle società affittuarie di impianti a biomasse della RAGIONE_SOCIALE sottoposta alla procedura di concordato preventivo dal 2013 – aveva evidenziato che Tribunale, con riferimento all’assunta regolarità – sostenuta da parte della difesa – della stipulazione del contratto di affitto dell’impianto Taurianova in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (il cui legale rappresentante ed amministratore è il ricorrente) – aveva reso una motivazione assertiva senza affrontare specificamente detto tema.
Inoltre, la sentenza rescindente aveva rilevato che il Tribunale non si era confrontato con la doglianza difensiva secondo cui il contratto in questione non sarebbe intervenuto all’insaputa degli organi della procedura fallimentare, avendo il giudice delegato disposto la comunicazione dei contratti di affitto di azienda in argomento ai creditori, che nulla avrebbero eccepito in merito alla revoca del concordato, dovendosi accertare – affermava, dunque, la sentenza rescindente se gli organi della procedura fossero stati, ex post, messi al corrente della conclusione dei contratti.
La sentenza rescindente – quanto agli ulteriori aspetti delle intervenute desistenze, anche da parte del ricorrente, rispetto alle originarie istanze di fallimento in relazione a crediti vantati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE – aveva evidenziato che trattandosi di aspetto inerente alla valutazione della buona fede del ricorrente avrebbe potuto essere oggetto di disamina una volta acclarate le altre circostanze suindicate afferenti ai rapporti tra i contratti di affitto e la procedura fallimenta
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha eccepito il difetto di motivazione e la violazione di legge in relazione alle norme della legge fallimentare (ora del Codice
della crisi di impresa), in tema di bancarotta evidenziando che il giudice del rinvio non si è uniformato alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne i punti oggetto dell’annullamento, ovvero la liceità dell’operazione di affitto degli impianti e la buona fede del ricorrente.
In particolare, la difesa ha dedotto che l’ordinanza impugnata pur rilevando che non fosse prevista una previa autorizzazione delle stipulazioni dei contratti di affitto (nella specie, quello di cui alla lettera c delle imputazioni provvisorie) e che vi potessero essere ragioni valide per le operazioni effettuate (sotto il profilo fiscale e bancario) – afferma che solamente la discrasia tra canoni di affitto corrisposti e incentivi percepiti è talmente rilevante da indurre a ritenere del tutto fondata e meritevole di approfondimento la tesi accusatoria.
Tale ultima circostanza escluderebbe la consapevolezza da parte del COGNOME dell’operazione non avendo egli alcun rapporto con la RAGIONE_SOCIALE, non essendo né socio, né ricoprendo cariche sociali; né l’operazione di cui al citato contratto di affitto ha comportato vantaggi per il ricorrente, che dimora ed opera a Taurianova, lontano circa mille chilometri dalla sede della RAGIONE_SOCIALE.
La difesa ha, poi, dedotto la contraddittorietà e la illogicità della motivazione lì dove si afferma il difetto della prova di un vantaggio per il ricorrente derivante dal contratto in questione (come indicato in una informativa della Guardia di finanza del 26 novembre 2024), l’insussistenza di elementi che consentono di affermare che il ricorrente avesse più di una generica consapevolezza dell’insolvenza della società, il difetto di prova che egli sapesse che le operazioni di affitto di ramo d’azienda non fossero state approvate dagli organi della procedura, che il ricorrente ha preso parte ad operazioni economiche in sé lecite se estrapolate dal contesto che lo stesso poteva non conoscere e che non vi sono elementi, al di là dell’oggettivo coinvolgimento nelle operazioni, per attribuire il reato all’odierno indagato.
Inoltre, la difesa ha censurato l’ordinanza nella parte in cui afferma, apoditticamente, che il fatto che nessun creditore abbia depositato istanza di risoluzione del concordato, a seguito del deposito della relazione del 14 dicembre 2018 da parte dei Commissari giudiziali, sia stato il frutto di una scelta puramente economica della convenienza del fallimento rispetto al concordato, mentre, ad avviso del ricorrente la circostanza che nessun creditore abbia agito per la revoca del concordato – che richiede un giudizio ad hoc che presuppone l’iniziativa dei creditori, unici soggetti legittimati a promuoverlo – depone per la buona fede del ricorrente e l’assenza in capo allo stesso del fumus del reato contestato.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la nullità del procedimento di rinvio in ordine alla omessa valutazione della memoria difensiva depositata il 26 marzo 2025.
In particolare, si è eccepito che il Tribunale del riesame non ha valutato la memoria indicata in relazione a una pluralità di profili, e nella quale si è evidenziato che i contratti di affitto per loro stessa natura non attuavano alcun effetto traslativo della proprietà degli impianti produttivi, rimanendo la piena ed esclusiva proprietà dei rami aziendali in capo alla concedente, a fronte della corresponsione di un canone da parte delle affittuarie; che le parti avevano espressamente dato atto che la concedente si trovava nella fase esecutiva del concordato preventivo e che la finalità era quella di incrementare la produttività del valore degli impianti allo scopo di tutelare i creditori della concedente e ciò risulterebbe dalle premesse dei contratti di affitto; che attraverso l’affitto dei rami di azienda, per effetto dell’applicazio dell’art. 2112 cod. civ., sono stati garantiti il mantenimento di tutti i liv occupazionali, che per effetto di alcune clausole pattuite (art. 5,9,10,13 del contratto), sono stati protetti e garantiti gli interessi della società concordante, che con riferimento al contratto RAGIONE_SOCIALE il canone annuo era pari a 300.000,00 e il prezzo per l’opzione di acquisto di euro 5.000.000,00.
Pertanto, secondo il ricorrente, la memoria evidenziava che la regolamentazione degli obblighi e dei doveri posti a carico delle Società affittuarie era da ritenersi coerente con la normativa codicistica e con la prassi applicativa nonché orientata alla protezione dei diritti della concedente.
Inoltre, nella memoria si rappresentava che tutte le parti avevano sottoscritto una “Dichiarazione di assunzione di obbligazione in solido” in forza della quale le società affittuarie si impegnavano, tra l’altro, in via solidale con la concedente al pagamento dei debiti verso le banche, compartecipando al mantenimento delle medesime condizioni esistenti prima della stipula degli affitti, assumendosi altri impegni contrattuali consistiti nel mettere a disposizione della concedente i flussi di cassa liberi, attraverso modalità indicate nella medesima Dichiarazione; sicché da tale Dichiarazione di assunzione di obbligazione in solido, discenderebbe, ad avviso della difesa, la piena compartecipazione delle società affittuarie alle vicende del concordato preventivo della società concedente e la esclusiva funzionalizzazione dei contratti di affitto all’adempimento delle obbligazioni concordatarie.
Si aggiunge, infine, che i contratti di affitto erano stati redatti mediante att notarile e trascritti al Registro delle Imprese, tanto che i commissari giudiziali ne sono venuti a conoscenza tramite una mera visura.
In conclusione, il ricorrente ha evidenziato che gli affitti degli impianti sono avvenuti “sotto l’ombrello del Giudice Delegato” il quale, al contrario di quanto ritento dall’ordinanza censurata, li ha ritenuti legittimi tanto da non trasmettere i relativi atti al Pubblico ministero, evidentemente non riscontrando alcuna attività distrattiva.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Tanto premesso – posto che la decisione di annullamento della originaria ordinanza ha riguardato lacune argomentatíve in relazione allo specifico profilo della regolarità della stipulazione del contratto di affitto, del quale si è dispos l’approfondimento motivazionale alla luce delle doglianze difensive circa l’insussistenza del fumus del reato – va rilevato che l’ordinanza ora impugnata, ha, con motivazione puntuale ed esaustiva, rigettato nuovamente la richiesta di riesame del sequestro probatorio, in conformità alle indicazioni dettate con la pronuncia rescindente.
Inoltre, l’ordinanza riporta il decreto del 19 dicembre 2018 del Giudice delegato nel quale, alla luce della sopra indicata relazione, si dà atto che la società concordante ha posto in essere atti estranei al piano e alla proposta concordataria potenzialmente lesivi degli interessi dei creditori in totale assenza di comunicazione agli organi della procedura e ai commissari giudiziali.
2. Più specificamente, con riferimento alla regolarità della stipulazione del contratto di affitto i giudici del riesame – dopo aver dato atto dei rilievi difens indicati nella memoria del 26 marzo 2025, reiterati con il ricorso in esamerhanno valutato gli esiti della relazione del 12 dicembre 2018, nella quale i commissari giudiziali della procedura del concordato preventivo della C&T s.p.a affermano che: 1) effettuata una visura camerale, hanno rilevato come siano stati stipulati dalla società concordante, senza che ne fosse stata data loro anche solo notizia, tra il 3.9.2018 ed 14.9.2018, cinque contratti di affitto di azienda con le seguenti società: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.; 2) la società concordante ha concesso in affitto a terzi la propria intera azienda ad eccezione di un unico impianto; 3) che le società affittuarie risultano riconducibili direttamente o indirettamente alle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le quali sono socie in ragione del 50% ciascuna della società concordante; 4) gli amministratori delle società affittuarie sono i medesimi amministratori della società concordante; 5) le operazioni di affitto di azienda non erano previste dal piano di concordato e sono state compiute nella pendenza di un concordato inadempiuto; 6) che non risulta che gli istituti bancari creditori abbiano previamente acconsentito alla stipula dei suddetti contatti di affitto; 7) a prescindere dalla congruità dei canoni e dalle motivazioni fornite in ordine a tali contratt (recupero di un’ampia gestione di disponibilità di risorse di liquidità), l’affidamento a terzi dell’azienda non ha mai costituito una modalità di adempimento del piano concordatario, evidenziando che la durata dell’affitto pari a nove anni è stata maggiore della durata del piano di concordato (la cui esecuzione sarebbe dovuta avvenire non oltre l’anno 2023). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il provvedimento censurato dà altresì conto che nella successiva relazione del 3 luglio 2019, i commissari giudiziali hanno rappresentato che la società concordante nel 2013 aveva chiesto di essere autorizzata a sostenere i costi relativi alla realizzazione di nuovi 10 impianti da 1MWe fino alla concorrenza di 13 milioni di euro con parere favorevole dei commissari giudiziali, ma soltanto a condizione che la società concordante gestisse tali nuovi impianti, in modo che i flussi positivi prodotti dalla gestione potessero essere posti a disposizione dei creditori, come indicato nel piano concordatario; che, ancora, la società concordante fornisse una
rendicontazione mensile per ciascun impianto, indicando i contratti stipulati e i costi a qualsiasi titolo sostenuti per la realizzazione di ogni nuovo impianto da 1MWe e che desse in ogni caso preventiva comunicazione di ogni operazione relativa alla realizzazione di ogni nuovo impianto comportante un esborso superiore a 100.000 euro. E si evidenzia che tale istanza fu accolta dal Giudice delegato alle condizioni indicate.
Alla luce di tali indicazioni, l’ordinanza censurata lin primo luogo, ha rilevato come sia sempre stata esclusa la possibilità di procedere ad un affitto degli impianti da 1MWe di nuova costruzione, in quanto l’affidamento a terzi della azienda non era una modalità di adempimento del piano concordatario omologato e, pur rilevando che l’omologazione del concordato preventivo segna il pcsaggio dal regime di -spossessamento al riacquisto della piena capacità di agirè évidenzia, ‘alla luce di una giurisprudenza di merito e legittimità che richiama» che il debitore deve, comunque, indirizzare l’attività d’impresa, sotto la sorveglianza degli organi della procedura, alla realizzazione del piano conformandosi agli obblighi assunti verso i creditori e ai vincoli relativi alle modalità di esecuzione previsti nella propost omologata.
Sulla base di tali premesse i giudici del riesarn’ affernn o che nella fattispecie vi è stata una deviazione dalle modalità di esecuzione del piano di concordato omologato senza alcuna previa comunicazione della volontà di distaccarsi dalle modalità esecutive, che gli istituti bancari creditori sono stati notiziati della stip di questi contratti di affitto solo successivamente alla loro stipulazione e dopo che i commissari giudiziali avevano accertato l’avvenuto compimento di tali operazioni.
Inoltre, nell’ordinanza si evidenzia, altresì, che tali contratti – la durata dei qu è di gran lunga maggiore della durata prevista per l’esecuzione del piano concordato – presentano alcune criticità rilevanti ai fini un’eventuale dichiarazione di fallimento
In particolare, si è rilevato che il pagamento dei canoni di affitto è stato previsto in due rate semestrali posticipate con decorrenza della prima dal 30 giugno 2019 comprensiva del canone dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2018, sicché l’ordinanza impugnata ha rilevato come sia stata concessa alle società affittuarie una dilazione di pagamento senza alcuna apparente ragione, potendo queste ultime condurre in affitto i rami di azienda per 9 mesi senza corrispondere alcunché alla RAGIONE_SOCIALE; che si è stabilito che i costi relativi alle attività manutentive per il ripris della piena efficienza produttiva dei beni affittati restano a carico della concordante senza indicare quali sia l’onere finanziario che la società deve sopportare a tale titolo.
L’ordinanza ha, poi, evidenziato che, in caso di fallimento della concordante, il curatore difficilmente potrebbe subentrare nei contratti di affitto di rami di azienda, considerate le suddette criticità e il fatto che tali contratti non prevedono un diritt di ispezione a favore della concedente, né hanno una durata compatibile con le procedure concorsuali; inoltre, nel caso di recesso della concordante da tali contratti, la procedura fallimentare sarebbe esposta all’obbligo di pagamento di un indennizzo prededucibile con evidente pregiudizio per i creditori.
L’ordinanza, tra le criticità evidenziate, ha dato rimarcato la circostanza che la prestazione di fideiussioni, da parte delle società affittuarie, in favore dei credito bancari, non costituisce un elemento di particolare rilievo, atteso che le stesse non appaiono «così patrimonializzate» da poter garantire un credito tanto elevato, ovvero pari a circa 50.000.000 di euro.
Alla luce di tali considerazioni, il provvedimento censurato afferma che i contratti di affitto in questione non possono dirsi avvenuti nel rispetto del piano di risanamento esaminato dal Tribunale all’atto dell’ammissione alla procedura, sicché si evidenzia nuovamente che la società debitrice concordante si è mossa violando le previsioni del piano concordatario, rilevando, peraltro, che finché permane lo squilibrio economico finanziario il debitore non può che porre atti di ordinaria amministrazione; che si tratta di operazioni non comunicate agli organi della procedura, ma scoperte dai commissari giudiziali in sede di visura; che i contratti stipulati sono consistiti in operazioni mai autorizzate, percepite come potenzialmente lesive degli interessi dei creditori, tanto è vero che i commissari hanno prontamente relazionato al giudice delegato, il quale li invitava ad inoltrare ai creditori insoddisfatti la relazione per esercitare il diritto al ricorso pe risoluzione della procedura.
Va rilevato che in relazione a tale specifico profilo, l’ordinanza impugnata rispondendo alla doglianza difensiva sul punto – afferma che la circostanza secondo la quale i creditori non abbiano fatto richiesta di risoluzione della procedura non incide sulla lesività dei contratti stessi potendo ritenere più conveniente l’ipotesi de fallimento, ciò in quanto, ad avviso dei giudici del riesame, i contratti costituivano uno strumento per attuare la distrazione dei beni, realizzata con modalità tali da non indicare la necessità da parte del giudice delegato di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica, ciò anche alla luce dei correttivi da parte degli indagati al fine di rendere accettabile questi contratti ai creditori.
In conclusione, il Tribunale del riesame ha affermato che deve escludersi in modo certo che l’operazione al proprio vaglio sia avvenuta sotto «l’ombrello del Giudice Delegato o nell’ambito della procedura concorsuale» come sostenuto dalla difesa e
inoltre, evidenzia come non sia corretto affermare che a seguito delle operazioni oggetto del capo di imputazione provvisorio vi sia stata acquiescenza dei creditori, in quanto dagli atti emerge che sono state apportate modifiche al concordato e che le società affittuarie solo successivamente alla relazione dei Commissari giudiziali e al decreto del 2018 del giudice delegato hanno stabilito di obbligarsi in solido con la concedente al pagamento dei debiti verso le banche nei modi e nei termini della proposta di concordato omologata, destinando a tal fine il free cash flow generato nel corso dell’attività, così partecipando al mantenimento delle medesime condizioni esistenti prima della stipula dei contratti di affitto.
In relazione a tale specifico profilo, il Tribunale del riesame ha ritenuto del tutt ragionevole ipotizzare che l’assunzione di responsabilità solidale con la concedente sia stats . proprio funzionale ad evitare la risoluzione del concordato, nel momento in cui gli organi della procedura e dei creditori hanno scoperto la scelta gestoria effettuata dagli amministratori.
Con l’ordinanza censurata il Tribunale ha, dunque, rigettato la richiesta di riesame del sequestro probatorio ritenendo, anche alla luce della circostanza secondo la quale all’esito delle operazioni non sono stati corrisposti canoni per 11 milioni di euro, che – pur in assenza della necessità di un’autorizzazione alle operazioni e pur potendo sussistere delle ragioni sottese alle operazioni effettuate sotto il profilo fiscale e bancario – la discrasia tra il canone di affitto corrisposto incentivi percepiti è talmente rilevante, ragione per cui sussistono le condizioni per approfondire l’ipotesi accusatoria, giustificandosi in tal modo il sequestro probatorio.
L’ordinanza si è, altresì, soffermata sull’ulteriore profilo relativo al fatto che trattandosi di operazioni in contrasto con le prescrizioni del giudice delegato, in relazione ai nuovi impianti si è realizzata una situazione fluida per cui non possono assumere valore dirimente il momento in cui le comunicazioni sono avvenute in quanto, in ogni caso, vi è il dato secondo il quale gli organi della procedura e la GSE hanno appreso dell’esistenza dei contratti in momenti successivi.
2.1. L’approfondimento motivazionale, poi, ha riguardato anche l’ulteriore aspetto della consapevolezza da parte dell’indagato dell’operazione in questione, in considerazione della compagine societaria, in quanto l’ordinanza censurata ha rilevato che, stante la sussistenza del fumus commissi delicti, il decreto di sequestro non può essere annullato in relazione all’indagato, sussistendo un oggettivo coinvolgimento dello stesso nelle operazioni in questione, esulando l’indagine della sussistenza dell’elemento soggettivo nel caso di riesame del sequestro probatorio.
Il Tribunale, pertanto, – pur affermando che il fatto di aver rinunciato al ricorso per fallimento da parte della RAGIONE_SOCIALE non costituisca prova della
consapevolezza della insolvenza di RAGIONE_SOCIALE, e pur rilevando che non è emerso un rilevante vantaggio per il Longo, tale da giustificare la desistenza dal ricorso per fallimento in relazione al credito della predetta società – ha concluso per la necessità del sequestro proprio al fine di accertare, considerato anche che nella società RAGIONE_SOCIALE il ricorrente possiede una compartecipazione del solo 5%, se sussista, sul piano soggettivo, la consapevolezza dell’operazione distrattiva, che risulta certa sul piano del coinvolgimento oggettivo del COGNOME.
3. Alla luce delle esposte considerazioni, deve affermarsi che l’ordinanza impugnata ha adempiuto alle indicazioni della sentenza rescindente, facendo corretta applicazione dei principi affermati da Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278542 – 01, secondo cui deve «ricordarsi che, in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il fumus comnnissi delicti in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulterior indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilit dell’autorità giudiziaria (ex plurimis, Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Rv. 267007; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Rv. 263053). Ciò vale evidentemente anche con riferimento all’elemento soggettivo del reato, il cui accertamento nel merito si fonda, come quello sull’elemento oggettivo, proprio sulle ulteriori indagini cui il sequestro probatorio è preordinato. Infatti, richiedere l’esistenza ex ante della prova dell’elemento soggettivo del reato al fine di consentire il sequestro probatorio significherebbe vanificare la portata di tale strumento, che è invece finalizzato proprio alla ricerca della prova» (in senso conforme, sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, P.m. in proc. COGNOME e altri, Rv. 267007 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va, dunque, affermato che non è riscontrabile alcun vizio di violazione di legge nell’ordinanza censurata, la quale, in conformità ai principi sopra enunciati, ha dato pienamente conto della non regolarità dei contratti di affitto degli impianti e ha affrontato i temi posti nella memoria del 26 marzo 2025, nel contesto della complessiva motivazione.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, dunque, rigettato. Consegue alla pronuncia di rigetto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2025.