Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 804 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 804 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 05/07/1967
avverso l’ordinanza del 06/04/2023 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 06/04/2023, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’istanza di riesame proposte da NOME COGNOME avverso il decreto di: perquisizione e contestuale sequestro, emesso dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Bologna il 15/03/2023, in relazione all’ipotesi di reato di cui all’art. 473 cod. pen. Il decreto di perquisizione, disposto ex art. 252 cod. proc. pen., era finalizzato a rintracciare corpi di reato o cose pertinenti al reato e, in particolare, “orologi e altri manufatti con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti; documenti contabili concernenti la messa in vendita di tali oggetti, anche su supporto informatico; files contenenti loghi e marchi illecitamente riprodotti”. All’indagato venivano sequestrati, tra l’altro, computer, macchinari laser e intagliatori, cartoni contenenti plexiglass, adesivi e pirografie con loghi contraffatti.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure a un unico motivo di ricorso, qui enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., per avere il Tribunale omesso di replicare alle censure del ricorrente in ordine alla mancata motivazione del decreto di sequestro del Pubblico ministero, sia in relazione alla condotta concretamente contestata, sia al fumus commissi delicti e al nesso di pertinenzialità tra gli oggetti sequestrati e l’ipotizzato reato. A parere della difesa, tanto nel provvedimento di sequestro probatorio quanto nell’ordinanza del Tribunale oggi impugnata, non viene descritta alcuna condotta di contraffazione, né viene indicata la ragione per cui è stata ritenuto indispensabile il sequestro dei beni appresi ai fini di ulteriori indagini.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
L’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato. Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 18216 del 26/02/2020, COGNOME COGNOME e al., n.m.), ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro l’ordinanza emessa dal Tribunale, all’esito della richiesta di riesame in tema di misure cautelari reali, può essere proposto solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”. Ne consegue che i vizi motivazionali denunciabili devono assumere caratteri così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093); non rientra, invece, nella nozione di violazione di legge l’illogicil:à manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME e altri, Rv. 242916).
Nel caso di specie, non può ritenersi né che la motivazione sia assente né che essa assuma i caratteri della mera apparenza: del resto, come chiarito dalla giurisprudenza citata, affinché ricorrano fattispecie del genere è necessario che la motivazione stessa sia del tutto priva dei pur minimi requisiti per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato (cfr., Sez U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710).
Tale non è il caso della motivazione dell’impugnato provvedimento, nella cui prima parte (relativa al congiunto esame delle istanze di riesame dell’odierno ricorrente e del coindagato COGNOME, non ricorrente in questa sede) il Tribunale ha, innanzitutto, replicato esaustivamente alla doglianza dell’Imperi°, relativa al mero richiamo per relationem, da parte del Pubblico ministero, a una nota della Guardia di finanza non allegata al provvedimento di sequestro. A tal proposito, i Giudici del riesame hanno sottolineato la mancata decisività di tale eccezione, posto che il fumus commissi delicti (su cui si tornerà a breve) emergeva dal testo stesso dell’impugnato decreto del Pubblico ministero’ indipendentemente dalla predetta nota non allegata ai provvedimenti impositivi dei vincoli reali.
Anche la censura relativa alla condotta concretamente contestata (secondo la difesa, carente di specifica motivazione) è stata correttamente disattesa, avendo il Tribunale chiarito come il Pubblico ministero abbia indicato 1) il fatto storico non contestato dal ricorrente- della realizzazione e della vendita di orologi da parete realizzati mediante tecniche di intaglio o con serigrafie su vecchi vinili 2) il tempo e il luogo di commissione dell’ipotizzato reato 3) nonché l’indicazione dei beni da ricercare (oggetti e dati -anche informatici- inerenti alla realizzazione e messa in vendita di loghi e marchi illecitamente riprodotti sui predetti orologi da parete), ritenuti utili ai fini dell’indagine, funzionali, cioè, ad accertare l’ipotesi reato.
Con riguardo al fumus commissi delicti e al nesso di pertinenzialità, approfonditi dal Tribunale più dettagliatamente nella seconda parte dell’impugnata ordinanza (dedicata alla più specifica istanza del coindagato), il Tribunale ha fornito sufficienti argomenti circa il rapporto di congruenza tra gli elementi rappresentati
dal Pubblico ministero e l’ipotesi di reato in concreto rappresentata, evidenziando una serie di indici fattuali di possibile contraffazione dei beni sequestrati; segnatamente, tali beni, riproduttivi di loghi e marchi registrati, sono -secondo il Tribunale- 1) “non ufficiali” 2) distribuiti senza licenza, 3) sprovvisti di adesivi anticontraffazione previsti per la produzione originale, 4) confondibili col prodotto originale, come dimostrato dal raffronto delle immagini fotografiche riportate dalla perizia tecnica.
In tal modo, i Giudici del riesame hanno fatto buon governo degli orientamenti sviluppati da questa Corte in tema di sequestro probatorio di prodotti recanti marchi contraffatti (nel qual caso, il controllo del giudice del riesame deve necessariamente essere esteso alla verifica degli indici fattuali che rivelino nei beni sequestrati l’avvenuta contraffazione o alterazione: cfr. Sez. 5, n. 57108 del 15/10/2018, COGNOME, Rv. 274405 – 01: fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto meramente apparente la motivazione del provvedimento impugnato che, in relazione agli indici di contraffazione, si era basato sul mero riferimento alle valutazioni della polizia giudiziaria che aveva effettuato il sequestro e alle operazioni svolte dal “generai manager” per la protezione del “brand” contraffatto, senza che fosse neppure allegata la documentazione fotografica a riscontro della contraffazione stessa).
Non ha pertanto fondamento alcuno l’eccezione difensiva secondo cui “non è dato sapere quale sia la condotta che possa realizzare fenomeni contraffattivi attraverso i beni appresi in sequestro” (p. 3 del ricorso). Dei beni sequestrati al ricorrente (vinili, computer, adesivi, materiali vari riproduttivi di loghi contraffatti) il Tribunale ha invece indicato la relazione di immediatezza, o immanenza che dir si voglia, col reato in contestazione (art. 473 cod. pen.), atteso c:he, tra i materiali sequestrati, vi erano supporti (informatici e non) idonei a contenere loghi e marchi illecitamente riprodotti (sulla relazione di immediatezza tra la “res” sequestrata ed il reato di contraffazione di marchi e segni distintivi, cfr. Sez. 2, n. 23212 del 09/04/2014, COGNOME, Rv. 259579 – 01; v., inoltre, Sez. 2, n. 4155 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262379 – 01: «il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo di reato, deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti, a meno che la finalizzazione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente rispetto alla natura delle cose inquadrabili in quel concetto»: fattispecie in materia di contraffazione di marchi di orologi, nella quale la Corte, nell’annullare il provvedimento di sequestro probatorio di una somma di denaro, costituente corpo di reato, in quanto privo di motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, ha osservato che il denaro, anche nelle ipotesi in cui integri il corpo dei reato, è privo di connotazioni identificative e
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dimostrative, salvo che proprio quelle banconote o monete, ad esempio perché contrassegnate o sospettate di falsità, occorrano al processo come elemento di tipo probatorio).
Correttamente, dunque, il Tribunale ha escluso l’ipotesi di un decreto generico ed esplorativo, avendo il Pubblico ministero specificamente indicato gli oggetti da ricercare, ritenuti utili ai fini dell’indagine (“dati informatici di intere eventualmente contenuti in apparecchi cellulari, tablet o altri supporti informatici rinvenuti”), funzionali ad accertare l’ipotesi di reato.
Il Collegio ritiene, di conseguenza, che siano stati correttamente applicati al caso di specie i criteri indicati da questa Corte, posto che la motivazione dell’impugnato provvedimento (così come il decreto di sequestro probatorio) h a dato conto sia della condotta concretamente contestata, sia della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n.36072 del 19/04/2018, Rv. 273548 – 01; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226711- 01), sia della pertinenzialità dei beni e cose sequestrate all’accertamento dell’ipotesi di reato (Sez. 6, n. 5930 del 31/01/2012, COGNOME Rv. 252423 – 01).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, cfr. Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22/09/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente