Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46001 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46001 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata ad Altamura (Ba) il 5/4/1973
avverso l’ordinanza del 12/6/2024 del Tribunale del riesame di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio; udite le conclusioni dei difensori della ricorrente, Avv. NOME COGNOME e
NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17/6/2024, il Tribunale del riesame di Roma dichiarava inammissibile la richiesta presentata ex art. 324 cod. proc. pen. da NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro probatorio emesso il 20/5/2024 dal Procuratore europeo con riguardo ai delitti di cui agli artt. 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, 640-bis cod. pen.
Propone ricorso per cassazione l’indagata, deducendo i seguenti motivi:
violazione degli artt. 309, comma 9-bis, 125, comma 3, cod. proc. pen. Il Tribunale, con ordinanza interlocutoria del 6/6/2024, avrebbe rigettato la richiesta di differimento dell’udienza presentata nell’interesse dell’indagata, e motivata con la necessità di esaminare e contestualizzare le intercettazioni telefoniche ed ambientali trasmesse per la prima volta dalla Procura EPPO; tale rigetto, tuttavia, sarebbe sorretto da motivazione apparente, e non terrebbe conto del fatto che il Tribunale avrebbe dovuto verificare soltanto la non pretestuosità dei motivi dell’istanza e la loro attinenza ad esigenze di difesa sostanziale (come confermato dalla lettera dell’art. 309, comma 9-bis cod. proc. pen., per il quale il tribunale “differisce” e non “può differire”). Nessun apprezzamento nel merito, dunque, sarebbe consentito al tribunale del riesame, in quanto la norma coinvolgerebbe l’esercizio in concreto del diritto di difesa, e dunque soltanto al destinatario della misura verrebbe riconosciuto il diritto ad una breve dilazione dell’udienza, tanto che lui solo potrebbe presentare la domanda; al tribunale, invece, sarebbe rimessa soltanto l’indicazione del termine di rinvio, tra 5 e 10 giorni. Ancora, si contesta che tale ordinanza sarebbe stata poi integrata dal provvedimento qui impugnato, non solo in modo irrituale (stante la necessità di un’immediata deliberazione sull’istanza di differimento, e sua comunicazione), ma anche con motivazione apparente;
violazione degli artt. 309, comma 5, 125, comma 3, cod. proc. pen. L’ordinanza impugnata risulterebbe viziata anche con riguardo alla mancata integrazione degli atti con i decreti autorizzativi di cui all’art. 267 cod. proc. pen. con evidente travisamento del contenuto e della finalità della richiesta, infatti, il Tribunale avrebbe negato che questa fosse stata avanzata per accertare la legittimità delle autorizzazioni (e, dunque, prospettare le conseguenze di una eventuale inutilizzabilità), sostenendo – non sarebbe dato comprendere in forza di quale fonte – che la stessa fosse invece volta a valutare il fumus del reato e la pertinenzialità delle acquisizioni. Proprio il Tribunale, peraltro, avrebbe riconosciuto che le captazioni costituirebbero il fondamento giustificativo del nuovo provvedimento, così da rendere irrinunciabile la verifica della effettiva utilizzabilità – ai sensi degli artt. 267 e 271 cod. proc. pen. – dei contenuti probatori delle intercettazioni;
violazione degli artt. 309, 591, 125, comma 3, cod. proc. pen.; vizio di motivazione. Il Tribunale avrebbe dichiarato inammissibile la richiesta di riesame al di fuori dei limiti di cui all’art. 591 cod. proc. pen.: la difesa, infatti, non avre mai contestato le modalità del sequestro probatorio (emesso dal Pubblico Ministero EPPO a seguito di precedente annullamento in sede di riesame), ma il provvedimento in sé, denunciandone carenza di motivazione e violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza. Dalla lettura dell’ordinanza, inoltre, si
ricaverebbe che – in esecuzione del formale dissequestro e della nuova esecuzione di sequestro – la copia forense dei dispositivi informatici, eseguita il 15/5/2024, sarebbe stata trattenuta dall’Autorità giudiziaria, con “integrale mantenimento nella sua disponibilità del copioso ed indistinto carico di dati straordinariamente sensibili”; anche sul punto, pertanto, il Tribunale non avrebbe potuto sanzionare il gravame con la dichiarazione di inammissibilità;
la violazione di legge, infine, è dedotta quanto all’assenza o alla mera apparenza della motivazione in ordine ai presupposti e alle modalità esecutive del sequestro su dispositivi informatici. L’ordinanza avrebbe risposto con argomento viziato alle censure mosse con il gravame, evidentemente ammissibili, con le quali si evidenziava che né dagli atti, né dalla motivazione del decreto, sarebbe emersa la riferibilità di presunte irregolarità amministrative e contabili a corsi d formazione oggetto di finanziamento pubblico. Il Tribunale, peraltro, non avrebbe svolto il richiesto confronto, già sul piano astratto, tra quanto prospettato dall’accusa e quanto emergente dalle censure difensive; l’idoneità degli elementi a fondamento della contestazione provvisoria, dunque, sarebbe stata del tutto pretermessa. La motivazione dell’ordinanza risulterebbe apodittica anche in ordine alla motivazione del decreto, che non darebbe conto di alcun bilanciamento degli interessi coinvolti, si esprimerebbe in termini generici ed indicherebbe “parole chiave” (oggetto, peraltro, di un elenco aperto) di amplissima portata ed incapaci di evitare un complessivo “trascinamento” di dati del tutto diversi da quelli ricercati. Il provvedimento, per come interpretato dal Tribunale, tradirebbe dunque i principi fissati dalla giurisprudenza, con i quali – proprio in ragione del citato bilanciamento di interessi – si vieterebbe il sequestro probatorio quando di valenza meramente esplorativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta infondato.
Il primo motivo deve essere rigettato.
4.1. Questa Corte, già con la sentenza n. 51932 del 29/5/2018, ha affermato che il tenore dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. (“Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi”) comporta che il tribunale non ha il potere di sindacare la qualità delle ragioni addotte dalla difesa a fondamento della richiesta di differimento, ma deve solo considerare se le ragioni addotte rientrino nei “giustificati motivi”. Di qui discende che, a fronte di una istanza di differimento della udienza, il tribunale dovrà accertare: a) se siano stati indicate le ragioni poste
a fondamento della richiesta di differimento della udienza, b) se queste siano collegabili ad esigenze di difesa sostanziale, c) se le suddette ragioni non siano meramente pretestuose.
4.1.1. D’altronde, la ragione dell’indicazione generica dei “giustificati motivi” è il fatto che si deve solo dare atto della loro esistenza e della loro non pretestuosità. La disposizione, infatti, costituisce un’eccezionale ipotesi di dilazione di un termine di decisione che è così breve ed assistito da forte sanzione processuale solo e soltanto nell’interesse del soggetto destinatario della misura cautelare ad avere una tempestiva decisione; è, quindi, ben ragionevole che al destinatario della misura venga riconosciuto il diritto ad una breve dilazione per la realizzazione e la tutela concreta delle sue esigenze difensive, mentre l’unico ambito di piena scelta discrezionale assegnato al Tribunale consiste nella valutazione della durata della dilazione dell’udienza dai 5 ai 10 giorni, tenendo conto delle ragioni addotte dall’istante e delle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario.
4.2. Tanto premesso in termini generali, il Tribunale del riesame di Roma, investito della richiesta di differimento dell’udienza formulata ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen., ha provveduto con ordinanza del 6/6/2024, con la quale ha evidenziato che gli atti di indagine trasmessi dal Procuratore europeo “appaiono analizzabili entro il termine di fissazione dell’udienza”, precisando peraltro che “trattasi di documentazione almeno in parte già esaminata in relazione all’analogo procedimento già definito con ordinanza di annullamento (n. 284/2024 T.L.)”. In forza di ciò, il Collegio ha concluso per l’insussistenza dei giustificati motivi che costituiscono il presupposto della domanda.
4.3. Ebbene, tale motivazione non appare viziata negli unici termini proponibili in questa sede ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., ossia di radicale assenza o di mera apparenza, in quanto dà conto – con effettivo argomento – di una richiesta di differimento non sostenuta dalla necessità di soddisfare concrete esigenze difensive, e dunque, di fatto, pretestuosa.
4.4. Con riguardo, poi, alla “integrazione” dell’ordinanza del 6/6/2024 contenuta nella successiva del 12/6/2024, qui impugnata, contestata nel ricorso in termini sia formali (per tardività) che sostanziali (per apparenza di motivazione), il Collegio rileva che la richiesta di differimento è stata oggetto di decisione soltanto con il primo provvedimento, tempestivamente adottato, mentre il secondo ne contiene soltanto una specificazione a seguito di “accertamenti effettuati all’ufficio copie”, che non modifica il contenuto dell’ordinanza del 6/6/2024 e non introduce vizi nella stessa.
Il primo motivo di impugnazione, pertanto, deve essere rigettato.
Il secondo motivo di ricorso, che concerne l’omessa trasmissione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, risulta del pari infondato.
5.1. La difesa della ricorrente, all’udienza del 10/6/2024, aveva richiesto l’integrazione degli atti mediante il deposito dei decreti autorizzativi delle captazioni indicate negli atti già trasmessi. Il Tribunale – con ordinanza riprodotta nel provvedimento qui impugnato – si era espresso in termini contrari, sottolineando che la richiesta era volta “non al fine di verificare la legittimità delle intercettazioni, ma ai diversi fini di valutare il fumus del reato, la pertinenzialità delle acquisizioni e di contestualizzare le conversazioni”; così da concludere che tali esigenze difensive potevano “essere soddisfatte attraverso la lettura dei passaggi di conversazioni che il PM ha inteso richiamare, non essendo tenuto all’integrale trasmissione degli atti ma solo di quelli che pone a fondamento del sequestro”.
5.2. Ebbene, questa motivazione non pare invero censurabile, in quanto logicamente consequenziale al tenore della domanda, per come esplicitata nella richiesta scritta depositata alla stessa udienza. In particolare, la difesa aveva segnalato “l’assoluta necessità” di acquisire i decreti autorizzativi (non trasmessi al Tribunale) inerenti alle conversazioni intercettate e poste a base del nuovo decreto di sequestro, “la cui rilevanza si riflette sia sulla valutazione del fumus delicti che sui criteri di pertinenzialità della prova documentale oggetto del vasto ed indiscriminato sequestro”.
5.3. Ne consegue, dunque, che era stata la stessa difesa a sostenere la richiesta di acquisizione dei decreti con espresso riferimento a profili di merito in punto di fumus, e soltanto a questi (la necessità di accertare la legittimità delle autorizzazioni è riportata soltanto nel ricorso in esame), così che la motivazione dell’ordinanza non appare “estranea” al contenuto della domanda e, pertanto, censurabile sul punto.
Il terzo motivo di ricorso, che contesta la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di riesame, risulta infondato.
6.1. Come peraltro emerge dalla stessa doglianza, il Tribunale ha censurato in questi termini l’impugnazione alla luce della carenza di interesse riscontrata in capo all’indagata, dunque con motivazione tutt’altro che assente.
6.2. In particolare, dopo aver chiarito che il precedente decreto del 3/4/2024 era stato annullato dal Tribunale del riesame (attesa l’insufficiente motivazione quanto ai criteri della pertinenzialità e delle concrete finalità probatorie perseguite, alla luce dell’estrema “latitudine dell’oggetto del sequestro”), con ordine di restituzione dei dispositivi sequestrati, inclusa la copia forense, il Tribunale ha quindi sottolineato che tale dissequestro era stato eseguito il 20/5/2024; nell’occasione, tuttavia, non si era proceduto alla restituzione della
documentazione e della copia forense dei dispositivi informatici, in quanto il provvedimento di dissequestro era stato emesso contestualmente ad un nuovo decreto di sequestro. Come affermato dal Tribunale nell’ordinanza qui impugnata, peraltro, il risultato concreto dell’esecuzione “è stato il mantenimento del vincolo su beni difformi rispetto a quelli indicati nel decreto” del 20/5/2024, che aveva specificato, quanto ai dispositivi, le modalità di esecuzione al fine di formare la copia forense, indicando anche la tipologia di documentazione da ricercare in ragione delle ipotesi di reato formulate. Un risultato diverso da quello riportato nel decreto, dunque, come peraltro sostenuto anche nel ricorso, ma privo di effetti sul provvedimento impugnato (come su quello genetico): il Tribunale, infatti, ha congruamente riscontrato non un vizio del decreto, ma “un agire di iniziativa della P.G. non impugnabile mediante riesame”, ma solo con richiesta di restituzione al pubblico ministero, eventuale opposizione al G.i.p. e ricorso per cassazione.
6.4. Pur riscontrando, dunque, un profilo di inammissibilità della richiesta di riesame nei termini appena richiamati, il Tribunale si è peraltro poi espresso, con motivazione non certo assente od apparente, anche sul merito del provvedimento allora gravato, alla luce delle censure che erano state sollevate, ravvisandovi i necessari requisiti motivazionali; in forza di ciò, pertanto, deve essere rigettato anche il quarto motivo di ricorso, concernente, per l’appunto, il merito del decreto del 20/5/2024.
7. In particolare, è stata innanzitutto accertata l’adeguata indicazione degli elementi indiziari raccolti in relazione ai reati ipotizzati, quali l’emissione di fattur per operazioni inesistenti e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche nel settore della formazione professionale. A tale riguardo, il ricorso contesta “come non emerga affatto, né dagli atti né dalla motivazione del decreto, la riferibilità delle presunte irregolarità amministrative e contabili a corsi di formazione oggetto di finanziamento pubblico”; in tal modo, tuttavia, è introdotto un argomento di merito non consentito nel riesame del decreto di sequestro probatorio, nel quale il tribunale è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 3465 del 3/10/2019, COGNOME, Rv. 278542. Tra le molte non massimate, Sez. 5, n. 33204 del 15/4/2024, COGNOME; Sez. 3, n. 31809 del 7/6/2024, Passerin D’Entreves). Alla luce di questo principio, dunque, l’ordinanza non risulta viziata neppure nella parte in cui, pur richiamando le produzioni difensive di cui la Guardia di Finanza sembrerebbe non aver tenuto
conto (Certificazioni uniche di dipendenti e professionisti), ha sostenuto di non poterne compiere una valutazione in fatto che, di certo, non si sarebbe potuta esaurire in un “confronto sul piano astratto fra quanto prospettato dall’accusa e quanto emergente dalle censure difensive”, come invece affermato nel ricorso.
7.1. L’ordinanza ha poi sottolineato che il decreto conteneva, quanto ai dispositivi, plurime ed ampie indicazioni sulle modalità esecutive del sequestro, al fine di formare la cd. “copia fine” senza lesione dei diritti personali degli indagati e senza compiere alcuna attività investigativa meramente esplorativa. Quanto alla “indicazione del tempo di effettuazione” delle analisi, il Tribunale ne ha riconosciuto l’assenza, ma ha anche precisato che il dato poteva ricavarsi dal numero di ore occorse per effettuare la copia forense di tutti i dispositivi, eseguita nell’arco di due giorni; questa motivazione è contestata nel ricorso nei termini dell’arbitrarietà, ma in forza di un argomento di merito, non consentito in questa sede, ossia che “la selezione prevede un intervento umano ed un’applicazione di criteri selettivi del tutto differenti dell’automatico trasferimento di dati da una memoria all’altra che implicano la ripetizione delle operazioni in base alle diverse parole chiave individuate.”
7.2. Ancora, è stato sottolineato che il decreto conteneva l’indicazione proprio di queste parole chiave con le quali selezionare il materiale da apprendere: a tale riguardo, il ricorso contesta la genericità di queste indicazioni e la loro amplissima portata, così però ponendo il sindacato sul decreto di sequestro probatorio oltre i limiti consentiti, ossia coinvolgendo il merito del provvedimento e la sua natura “meramente esplorativa”, non la sua motivazione eventualmente assente o apparente.
7.3. Di seguito, è stato evidenziato che il decreto dava conto della tipologia di documentazione da ricercare, specificando che l’oggetto doveva sempre vertere sulla “ideazione, progettazione ed esecuzione dei corsi di formazione” finanziati con fondi pubblici, mentre la documentazione bancaria (corpo del reato o, comunque, cosa pertinente al reato) doveva consistere in pagamenti effettuati con modello F24.
7.4. In forza di queste considerazioni, il Tribunale ha quindi concluso che la motivazione del decreto, pur “di ampia latitudine”, non poteva ritenersi apparente, in quanto improntata “al criterio selettivo della strumentalità di quanto debba essere ricercato e sequestrato rispetto alla prova accusatoria da fornirsi nel procedimento, laddove la strumentalità costituisce un criterio più restrittivo della pertinenzialità e vale a circoscrivere e delimitare la portata dell’art. 253 cod. proc. pen.”
7.5. Ancora con riguardo alle censure difensive, l’ordinanza ha quindi riconosciuto nel decreto il rispetto dei criteri di proporzionalità ed adeguatezza,
evidenziando un contenuto del provvedimento tale da bilanciare gli interessi coinvolti e, in particolare, l’esigenza di individuare concreti elementi a fondamento dei reati oggetto di indagine ed i diritti dell’indagato (sul punto, peraltro, il ricors pone una censura del tutto generica). Con adeguato rispetto, dunque, del principio, costantemente affermato in sede di legittimità, per il quale l’obbligo di motivazione che, a pena di nullità, deve sorreggere il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possano considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondot alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita (tra le altre, Sez. 2, n. 46130 del 4/10/2023, COGNOME, Rv. 285348; Sez. 6, n. 56733 del 12/9/2018, PM/Macis, Rv. 274781).
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2024
Il onsigliere estensore
COGNOME Il Presidente