Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47725 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47725 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Prato il 14.6.1061, contro l’ordinanza del Tribunale di Prato del 9.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e del decreto di sequestro, con restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9.2.2024 il Tribunale di Prato ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME ed ha di conseguenza confermato il decreto di sequestro penale emesso dal Pubblico Ministero avente ad oggetto un telefono cellulare (snnartphone) ed una scheda SIM, oltre ad una carta di debito BBBVA collegata ad un IBAN ed al contratto di attivazione del relativo conto corrente;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge e mancanza assoluta di motivazione in ordine alla necessità del sequestro: rileva che, a fronte dell’eccepita mancanza di motivazione del decreto di perquisizione e sequestro, il Tribunale ha cercato di individuare le ragioni di natura probatoria che giustificavano l’adozione della misura; ribadisce, tuttavia, che il decreto si era limitato ad affermare che si sarebbe trattato di ” corpo del reato o di cose ad esso pertinenti” non evincendosi, dal contesto del provvedimento, quali sarebbero state le esigenze investigative tali da rendere indispensabile l’apprensione di quanto indicato dal PM; sottolinea come, in tal modo, il Tribunale non si sia limitato ad integrare una motivazione incompleta ma abbia invece corredato il provvedimento impugnato di una motivazione radicalmente inesistente.
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni scritte, a valere come memoria, insistendo per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e dello stesso decreto di sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con l’unico motivo la difesa ha dedotto, infatti, violazione di legge in punto di assenza di motivazione del provvedimento del PM in ordine alle esigenze investigative che avrebbero giustificato l’apprensione di quanto acquisito dalla PG all’esito delle operazioni di perquisizione ed alla luce della impossibilità, per il Tribunale del Riesame, con una motivazione propria di ovviare ad una siffatta radicale ed originaria carenza del decreto.
A tal proposito, infatti, rileva che il provvedimento del PM, nell’elencare le cose da ricercare nell’abitazione, nei veicoli o in altri luoghi riferibili all’indagato si era limitato a segnalare che si sarebbe trattato di “… corpo di reato ovvero cosa pertinente al reato e come tale fonte di prova in ordine all’attività delittuosa posta in essere dall’indagato”, senza indicare le esigenze probatorie che ne
giustificavano la apprensione, violando così l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte nel suo massimo consesso (cfr., Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548 – 01).
2.1 E’ pacifico che il Tribunale del riesame, chiamato a decidere su un sequestro probatorio, a fronte dell’omessa indicazione, nel decreto, delle relative esigenze probatorie che non siano state chiarite dal pubblico ministero nemmeno nel contradditorio camerale, non può integrare e porre rimedio a tale carenza di motivazione individuando, di propria iniziativa, le specifiche finalità del sequestro, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero in quanto titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2 , n. 49536 del 22/11/2019, Vallese, Rv. 277989 – 01, resa in una fattispecie in cui la Corte, evidenziata l’assenza di motivazione dell’originario decreto e l’avvenuta integrazione della motivazione da parte del tribunale del riesame, ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata); conf., Sez. 2 , n. 39187 del 17/09/2021, COGNOME, Rv. 282200 – 01).
2.2 Se non ché, nel caso in esame, il provvedimento del PM era ampiamente argomentato quanto alle premesse da cui era scaturita la necessità della perquisizione e del sequestro: in particolare, il PM aveva dato conto della denuncia-querela presentata da tale COGNOME COGNOME che, recatosi in data 16.11.2023 presso la Stazione dei CC di Grassina, aveva esposto di essere stato vittima di una truffa ad opera di persona qualificatasi come NOME COGNOME che, alla fine di settembre 2023, aveva offerto in vendita un motociclo sul sito internet subito.it ; contattato attraverso il numero telefonico fornitogli (342.1965674), il COGNOME‘COGNOME si era incontrato con il predetto “Catani” per visionare il mezzo accordandosi verbalmente sulle condizioni di vendita; aveva consegnato un acconto di 1.000 euro versati sull’IBAN fornitogli dal suo interlocutore che, tuttavia, il giorno successivo non si era presentato in agenzia per formalizzare il passaggio di proprietà e, contattato telefonicamente, aveva prima accampato delle scuse per poi invitare il COGNOME a rivolgersi allo zio (che aveva la materiale disponibilità scooter); il querelante aveva inoltre riferito di avere invitato il COGNOME a restituire l’acconto che l’odierno ricorrente aveva anche prima finto di aver restituito attraverso un bonifico eseguito con un BIC errato per poi, da quel momento, rendersi irreperibile per il COGNOME il quale, tuttavia, il 2.10.2023, aveva notato un nuovo annuncio di vendita dello stesso scooter ed aveva scoperto che il COGNOME aveva fatto 860 offerte di vendita del mezzo.
Intrapresi i primi accertamenti, era emerso che l’utenza dello “zio” era inesistente mentre quella fornita dal COGNOME era effettivamente a intestata al nome di NOME COGNOME come era a costui intestato uno scooter delle caratteristiche simili a quello offerto in vendita; il COGNOME, inoltre, era stato riconosciuto dal COGNOME cui era stato mostrato in foto.
Sulla scorta di tali premesse, il PM aveva perciò disposto la perquisizione ed il sequestro de: “il motoveicolo marca Piaggio Beverly …; la documentazione bancaria relativa al c/c abbinato all’IBAN …; il telefono cellulare abbinato alla SIM …; i terminali informatici, tablet, pc e cellulari utilizzati dall’indagato per pubblica l’annuncio di cui sopra e/o che siano stati utilizzati per contattare la persona offesa”.
Ed è proprio dalla complessiva lettura del provvedimento del PM che emerge, perciò, il nesso funzionale tra gli obiettivi della perquisizione e del sequestro rispetto alle esigenze probatorie legate alla necessità di comprovare in maniera definitiva la riferibilità della condotta denunziata dalla persona offesa all’odierno ricorrente; in altri termini, laddove il Tribunale ha fatto presente che l’iniziativa del PM era finalizzata a “… verificare se alla titolarità forma corrispondesse l’effettivo utilizzo dei beni in questione da parte del CATANI …” e che “… solo la materiale messa a disposizione delle res in capo agli inquirenti è idonea a consentire tale accertamento”, non ha fatto altro che rendere maggiormente esplicita l’esigenza di natura investigativa già tuttavia chiaramente desumibile dal tenore del provvedimento impugnato.
Non è improprio allora richiamare la giurisprudenza che, prima ancora dell’intervento delle SS.UU. “Botticellí”, aveva sottolineato che la motivazione del provvedimento impositivo del vincolo reale deve essere modulata in relazione al caso concreto e deve, in particolare, essere rafforzata ogni qual volta il nesso tra il bene e il reato per cui si procede sia indiretto, potendo invece farsi ricorso ad una formula più sintetica nei casi, cui certamente appartiene quello di cui si discute, in cui la funzione probatoria del sequestro sia di immediata evidenza (cfr., Sez. 2, n. 11325 del 11/02/2015, COGNOME, Rv. 263130 – 01).
Le stesse Sezioni Unite “Botticelli”, d’altra parte, hanno spiegato che non è possibile fissare in astratto “… quale sia il grado od il quantum del compendio argonnentativo del provvedimento idoneo a far ritenere adempiuto un siffatto obbligo, né è possibile stabilire, sempre a priori, il grado di idoneità di una motivazione con formula sintetica (…) in luogo di altra più diffusa (…), dovendo comunque ricordarsi che, già per le sentenze, la cui componente motivazionale avrebbe in sé connotati di maggior diffusività da rapportare, se non altro, al diverso momento processuale, è lo stesso legislatore ad avere stabilito come
idonea ad integrare il requisito una concisa esposizione dei motivi” (cfr., dalla motivazione delle Sezioni Unite).
Si è anche chiarito, più di recente, che l’obbligo di motivazione che, a pena di nullità, deve sorreggere il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possano considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo reale deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione ch le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, che sia necessario descrivere i fatti né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita (cfr., Sez. 2 , n. 46130 del 04/10/2023, Santandrea, Rv. 285348 – 01).
In sostanza, il provvedimento qui impugnato non è censurabile sotto il profilo della violazione di legge, unico vizio deducibile in questa sede, atteso che i giudici del riesame non hanno né “integrato” né tantomeno supplito ad una motivazione radicalmente ed originariamente inesistente essendosi limitati a prendere atto di quanto univocamente emergente dal provvedimento del PM in merito al necessario collegamento tra le res e la necessità investigativa che era quella di riferire in maniera definitiva la vicenda all’odierno ricorrente; né, va detto, il ricorso può contestare, in questa sede, il fatto che si tratterebbe di un accertamento da ritenersi “superfluo” alla luce degli elementi già acquisiti, essendo questa una valutazione che spetta solo ed esclusivamente al pubblico ministero.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14.11.2024