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Sequestro probatorio: motivazione e limiti del PM

La Cassazione ha respinto il ricorso di un’azienda contro un sequestro probatorio di computer nell’ambito di un’indagine per frode IVA. La Corte ha stabilito che il decreto era sufficientemente motivato, spiegando il reato ipotizzato e la necessità di analizzare i dati informatici per ricostruire i fatti, rigettando le accuse di genericità e carattere esplorativo.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Probatorio Informatico: la Cassazione fissa i paletti

In un’era dominata dalla digitalizzazione, il sequestro probatorio di dispositivi informatici come PC, server e smartphone è diventato uno strumento investigativo fondamentale, specialmente nei reati economici. Tuttavia, quali sono i limiti per l’autorità giudiziaria? Quando un sequestro può essere considerato legittimo e proporzionato? Con la sentenza n. 45253 del 2024, la Corte di Cassazione torna sul tema, offrendo chiarimenti cruciali sulla necessità di una motivazione adeguata del decreto di sequestro e sui diritti della difesa.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’indagine per una presunta maxi-frode IVA. Secondo l’accusa, una grande società cliente, per evadere l’imposta, avrebbe utilizzato fatture per operazioni giuridicamente inesistenti emesse da una serie di società fornitrici. Queste ultime, invece di fornire servizi di logistica come formalmente pattuito, avrebbero agito come meri “serbatoi di manodopera”, simulando contratti di appalto per nascondere una somministrazione di personale.

Nel corso delle indagini, la Procura disponeva un decreto di perquisizione e sequestro probatorio nei confronti di una delle società fornitrici, apprendendo l’intero contenuto dei suoi sistemi informatici. La società, tramite il suo legale rappresentante, impugnava il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame, lamentando la totale assenza di motivazione del decreto, il suo carattere esplorativo e la sua sproporzionalità. Il Tribunale del Riesame, tuttavia, confermava la legittimità del sequestro, spingendo la società a ricorrere in Cassazione.

Il problema della motivazione nel sequestro probatorio

Il ricorrente lamentava principalmente cinque violazioni di legge:
1. Assenza radicale di motivazione: Il decreto di sequestro era considerato nullo perché non spiegava il nesso tra i dati da sequestrare e il reato ipotizzato, limitandosi a richiamare un altro atto (un decreto di sequestro preventivo d’urgenza) non conosciuto dalla difesa.
2. Mancanza del nesso di pertinenza: Non era stato dimostrato perché i computer della società fornitrice fossero pertinenti al reato contestato alla società cliente.
3. Violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità: L’apprensione indiscriminata di un’intera massa di dati informatici, senza alcun criterio di selezione, era ritenuta eccessiva.
4. Carattere esplorativo: Il sequestro non mirava a trovare prove di un reato già delineato, ma a cercare la notitia criminis stessa nei confronti della società fornitrice.
5. Insussistenza del fumus: Mancavano elementi concreti per ipotizzare la fittizietà dei contratti.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo gli Ermellini, il ricorso contro ordinanze in materia di sequestro è ammesso solo per violazione di legge, categoria che include anche i vizi di motivazione così gravi da renderla inesistente o meramente apparente.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il decreto di sequestro probatorio era sufficientemente motivato. Esso descriveva in modo puntuale l’ipotesi di reato (simulazione di contratti di appalto per evadere l’IVA), i soggetti coinvolti, il meccanismo fraudolento e il ruolo della società ricorrente come emittente di fatture. Questo rendeva di immediata percezione il collegamento tra il reato e i beni sequestrati (gli apparecchi informatici), necessari per ricostruire la reale natura dei rapporti economici tra le società.

La Corte ha inoltre chiarito che, in materia di reati complessi che richiedono la ricostruzione del volume d’affari e l’esame dell’intera contabilità, il decreto di sequestro può legittimamente limitarsi a indicare la tipologia di documento o dato da apprendere, riservando a un momento successivo l’individuazione di ciò che è effettivamente necessario all’accertamento. Non si tratta quindi di un sequestro esplorativo, ma di uno strumento indispensabile per acquisire le prove.

Infine, per quanto riguarda la mancanza di un termine per la restituzione dei dispositivi, la Corte ha ricordato che l’interessato può sempre presentare un’istanza in caso di ritardi irragionevoli, utilizzando i rimedi previsti dal sistema processuale.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento fondamentale in materia di indagini digitali. In presenza di reati economici complessi, il Pubblico Ministero ha il potere di disporre un sequestro probatorio su interi sistemi informatici, anche senza una preventiva selezione dei file. Tuttavia, tale potere non è illimitato. Il decreto deve essere supportato da una motivazione che, seppur sintetica, delinei chiaramente il reato ipotizzato (fumus criminis) e il nesso di pertinenzialità tra i dati da acquisire e l’accertamento dei fatti. La difesa, pur di fronte a un sequestro massivo, conserva il diritto di contestare la misura e di chiedere la restituzione dei beni qualora l’analisi si protragga oltre un tempo ragionevole. La decisione bilancia così le esigenze investigative con la tutela dei diritti dell’indagato, tracciando una linea di demarcazione tra un’indagine approfondita e una ricerca di prove indiscriminata.

Un decreto di sequestro probatorio può essere motivato facendo riferimento ad un altro atto non immediatamente disponibile alla difesa?
Sì, secondo la Corte è possibile. Sebbene l’atto richiamato debba essere conosciuto o conoscibile, la sua ostensione anche in un momento successivo (come durante il procedimento di riesame) sana l’eventuale vizio, a condizione che la difesa abbia avuto la concreta possibilità di esercitare i propri diritti e non deduca uno specifico pregiudizio derivato dal ritardo.

È legittimo sequestrare interi computer e dispositivi informatici senza specificare i singoli file da cercare?
Sì, specialmente in caso di reati complessi come quelli fiscali e societari che richiedono la ricostruzione di flussi contabili e rapporti commerciali. La Corte ha affermato che il decreto può limitarsi a indicare la tipologia di dati da apprendere, riservando a una fase successiva l’analisi e l’individuazione di quelli effettivamente rilevanti per le indagini. Questo non rende il sequestro sproporzionato o esplorativo.

Cosa succede se un decreto di sequestro non indica un termine per la restituzione dei beni?
La mancata indicazione di un termine non rende nullo il decreto. La legge prevede che l’autorità giudiziaria debba restituire i beni non appena sia decorso un tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti. Se ciò non avviene, l’interessato ha il diritto di presentare un’istanza per sollecitare la restituzione e, in caso di diniego, di utilizzare gli specifici rimedi impugnatori previsti dal codice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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