Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25914 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25914 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME nata a Mede il 27/05/1978 NOMECOGNOME nato a Mussomeli, il 16/06/1991 avverso l’ordinanza del 28/11/2024 del Tribunale di Pavia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il provvedimento impugnato sia annullato con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 novembre 2024, il Tribunale del riesame di Pavia ha confermato’ il decreto emesso in data 12 novembre 2024, con il quale il pubblico ministero presso il Tribunale di Pavia aveva disposto perquisizione e sequestro probatorio dei beni indicati, nei confronti di NOME COGNOME NOME e COGNOME
NOME in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione l’indagata COGNOME tramite il difensore, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere il Tribunale aderito acriticamente per relationem alla motivazione a base del decreto di sequestro, che si rivelava generica, non indicando le ragioni del sequestro delle utenze, del pc e delle mail dell’indagata, e non avendo tenuto conto della presenza di un precedente sequestro a suo carico, disposto in occasione dell’emissione di ordinanza cautelare custodiale per altri reati.
2.2. Con un secondo motivo, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione in riferimento al nesso di pertinenza tra i beni sequestrati e il reato. Il difensore denuncia la violazione del principio di proporzionalità, per l’apprensione di beni non pertinenti al reato, essendo il decreto motivato in modo del tutto generico, in quanto riferito alle cose pertinenti al reato, e perciò senza indicazione effettiva dell’oggetto del sequestro.
2.3. In terzo luogo, la difesa lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per aver il giudice del merito confermato il decreto, nonostante questo non indicasse i criteri di selezione del materiale oggetto di perquisizione e sequestro, e i relativi tempi di restituzione, da cui è derivata l’acquisizione di materiali eterogenei, nonché della totalità dei dati informatici dell’indagato.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione l’indagato COGNOME tramite il difensore.
3.1. In primo luogo, si denunziano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla valutazione del requisito del fumus commissi delicti. Nella prospettazione difensiva, l’ordinanza motiva il sequestro in modo generico e non risponde al rilievo difensivo secondo cui la stessa era stata realizzata con dei “copia-incolla” da altra ordinanza cautelare custodiale emessa nei confronti di altro soggetto, indagato per reati diversi, e, inoltre, contenesse anche il riferimento all’emissione di analoga ordinanza nei confronti dell’indagato, quando non ne era stata emessa alcuna.
3.2. Con un secondo motivo, si deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sul rilievo che il decreto non indica le ragioni del sequestro dei beni identificati come corpo di reato, né quelle a fondamento della proporzionalità e
adeguatezza dello stesso, nonché del nesso di pertinenzialità al reato della documentazione informativa appresa e delle utenze riferibili all’indagato.
3.3. Con un terzo motivo, si censura la valutazione dei requisiti della proporzionalità e dell’adeguatezza da parte del Tribunale, che ha confermato il decreto di sequestro che si riferiva indiscriminatamente a tutto il materiale informatico dell’indagato, e non indicava preventivamente i criteri di selezione del materiale da sequestrare, o l’indicazione dei limiti temporali del sequestro. Per la difesa, l’ordinanza non si confronta con i motivi di riesame, che evidenziavano tale carenza, in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità e da quella sovranazionale, che richiedono una specifica motivazione al riguardo, anche in ordine all’impossibilità di utilizzare strumenti meno invasivi.
3.4. In quarto luogo, si denunciano la violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al fumus commissi delicti, laddove il Tribunale non ha risposto al rilievo difensivo secondo cui l’indagato è divenuto direttore dei lavori solamente dopo l’ipotizzata commissione del reato edilizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non sono fondati.
Quanto alle censure riferite all’assenza di una previa selezione dei criteri di individuazione dei beni da assoggettare a sequestro, la giurisprudenza di legittimità, in tema di sequestro probatorio di dati contenuti in dispositivi informatici o telematici, ha affermato che l’estrazione di copia integrale di tali dati realizza solo una copia-mezzo, che consente la restituzione del dispositivo, ma non legittima il trattenimento della totalità delle informazioni apprese oltre il tempo necessario a selezionare quelle pertinenti al reato per cui si procede (Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME Rv. 279949 – 01, che, in motivazione, ha precisato che il pubblico ministero è tenuto a predisporre un’adeguata organizzazione per compiere tale selezione nel tempo più breve possibile, soprattutto nel caso in cui i dati siano sequestrati a persone estranee al reato, e provvedere, all’esito, alla restituzione della copia-integrale agli aventi diritto). H inoltre aggiunto che il decreto del pubblico ministero, al fine di consentire una adeguata valutazione della proporzionalità della misura sia nella fase genetica che in quella esecutiva, deve illustrare le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e omnicomprensivo o, in alternativa, le specifiche informazioni oggetto di ricerca, i criteri di selezione del materiale informatico archiviato nel dispositivo, la giustificazione dell’eventuale perimetrazione temporale dei dati di
IL
interesse in termini sensibilmente difformi rispetto ai confini temporali dell’imputazione provvisoria e i tempi entro cui verrà effettuata tale selezione, con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti (Sez. 6, n. 17312 del 15/02/2024, Corsico, Rv. 286358 – 03), ritenendo illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280838 – 01, con riferimento al sequestro di un telefono cellulare e di un tablet). È stato altresì precisato che, in tema di sequestro probatorio, la finalizzazione dell’ablazione del supporto alla sua successiva analisi, strumentale all’identificazione e all’estrazione dei “files” rilevanti per le indagini, implica c la protrazione del vincolo, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, debba essere limitata al tempo necessario all’espletamento delle operazioni tecniche, dovendosi, tuttavia, rapportare la sua ragionevole durata alle difficoltà tecniche di apprensione dei dati, da ritenersi accresciute nel caso di mancata collaborazione dell’indagato, che non fornisca le chiavi di accesso alle banche dati contenute nei supporti sequestrati (Sez. 3, n. 36776 del 04/07/2024, COGNOME, Rv. 286923 – 01; Sez. 2, n. 17604 del 23/03/2023, COGNOME, Rv. 284393 – 01).
Si è dunque affermato che la cd. copia integrale costituisce solo una copiamezzo, cioè una copia che consente di restituire il contenitore, ma che non legittima affatto il trattenimento dell’insieme di dati appresi (Sez. 6, n. 13156 del 04/03/2020, COGNOME). Essa consente di fare, dopo il sequestro, ciò che naturalmente avrebbe dovuto essere, fatto prima, cioè la verifica di quali, tra i dati contenuti nel contenitore, siano quelli pertinenti rispetto al reato. Ne deriva che, restituito il contenitore, il Pubblico Ministero può trattenere la copia integrale solo per il tempo strettamente necessario per selezionare, tra la molteplicità delle informazioni in essa contenute, quelle che davvero assolvono alla funzione probatoria sottesa al sequestro. E l’avvenuta selezione delle cose pertinenti impone la restituzione della copia integrale, il cui trattenimento realizzerebbe, diversamente, una elusione ed uno svuotamento della portata dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen., che legittima il sequestro probatorio solo delle cose necessarie per l’accertamento dei fatti.
Ne consegue che il Pubblico Ministero: a) non può trattenere la c.d. copia integrale dei dati appresi se non per il tempo strettamente necessario alla loro selezione; b) è tenuto a predisporre una adeguata organizzazione per compiere la selezione in questione nel tempo più breve possibile, soprattutto nel caso in
cui i dati siano stati sequestrati a persone estranee al reato per cui si procede; c) restituire la copia integrale agli aventi diritto, una volta compiute le operazioni di selezione.
2.1. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata evidenzia come tali principi siano stati rispettati dal decreto di sequestro, il quale identifica specificamente le esigenze probatorie nella necessità di acquisizione di informazioni o tracce comunque pertinenti ai reati, anche custodite in sistemi informatici o telematici, con la precisazione della necessità di effettuazione di copia forense dei dispositivi, al cui esito i dispositivi stessi saranno regolarmente restituiti ag eventi di diritto. Né i ricorrenti hanno chiarito se e in che misura abbiano un interesse specifico all’esclusività dei dati eventualmente appresi e quale sia la natura di tali dati, al fine di prospettarne l’eventuale estraneità rispetto all esigenze probatorie del caso concreto.
2.2. Non emergono, dunque, elementi per ritenere che il sequestro abbia violato i criteri di adeguatezza e proporzionalità in relazione al caso di specie, in cui il livello di compromissione della riservatezza dei ricorrenti risulta pienamente giustificato – secondo la ragionevole e, dunque, insindacabile valutazione del Tribunale – nell’ambito dell’attività di indagine avente ad oggetto un’elaborata ipotesi di lottizzazione abusiva, correlata – nella prospettazione accusatoria alla cui conferma il sequestro è diretto – a fatti di corruzione, così da rendere necessario un controllo particolarmente penetrante.
2.3. Da quanto precede, deriva il rigetto delle censure sub 2.1., 2.2., 2.3., 3.2., 3..3.
Inammissibili sono, invece, le censure inerenti alla sussistenza del fumus commíssi delictí (sub 3.1., 3.4.).
Con riguardo alla valutazione di tale requisito, la prospettazione difensiva si risolve in una sostanziale critica alla motivazione del provvedimento impugnato, preclusa in questa sede dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Infatti, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi di tale disposizione, soltanto per violazione di legge e che in tale nozione vengono compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).
Anche a prescindere da ciò, può agevolmente rilevarsi come l’ordinanza impugnata abbia adeguatamente motivato sui requisiti del fumus e della finalità
probatoria, evidenziando – come visto – che il reato contestato al capo 7 agli odierni ricorrenti è strettamente correlato alle ipotesi corruttive contestate ai
capi 5 e 6 ad altri indagati e che il sequestro probatorio è finalizzato all’acquisizione di informazioni o tracce pertinenti.
Del tutto generica risulta, poi, la prospettazione relativa alla pretesa estraneità di COGNOME rispetto ai lavori, sul rilievo che il terzo pia
dell’immobile fosse già stato edificato prima dell’assunzione, da parte sua, della qualifica di direttore dei lavori stessi. La difesa non considera a tal fine
l’imputazione provvisoria, né nel suo complesso, né con specifico riferimento al capo 7), il quale richiama un’articolata attività edilizia, con successiva illegittima
sanatoria, che non sembra ridursi puramente e semplicemente all’edificazione del terzo piano di un edificio. Né contesta adeguatamente l’argomentazione
dell’ordinanza impugnata, secondo cui il quadro probatorio dovrà delinearsi compiutamente proprio attraverso il compimento di attività di indagine, quali il
sequestro probatorio oggetto di impugnazione.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/04/2025