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Sequestro probatorio: legittimo su smartphone e PC?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un sequestro probatorio di vari dispositivi elettronici (PC, smartphone, tablet) a carico di un indagato per accesso abusivo a sistema informatico. Il ricorso, basato sulla presunta mancanza di ‘fumus commissi delicti’ e sulla sproporzionalità della misura, è stato respinto. La Corte ha stabilito che la motivazione del sequestro era adeguata, indicando elementi concreti che suggerivano il carattere illecito degli accessi. Inoltre, ha ritenuto che il sequestro probatorio di un intero dispositivo è giustificato dalla necessità di analizzare ex post il contenuto per individuare le prove pertinenti, bilanciando l’esigenza investigativa con la successiva restituzione dei dati non rilevanti.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Probatorio di Dispositivi Digitali: La Cassazione fa Chiarezza

Nell’era digitale, i nostri dispositivi elettronici contengono l’intera nostra vita. Ma cosa succede quando diventano oggetto di un’indagine? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2534/2024, si è pronunciata su un caso emblematico di sequestro probatorio di PC e smartphone, delineando i confini tra le esigenze investigative e il diritto alla privacy dell’indagato. La decisione offre spunti fondamentali sulla legittimità e proporzionalità di questo potente strumento di ricerca della prova.

I Fatti di Causa: Accesso Abusivo e Sequestro

Il caso ha origine da un’indagine per il reato di accesso abusivo a un sistema informatico (art. 615-ter c.p.). Un soggetto, appartenente alle forze dell’ordine, era accusato di aver effettuato accessi illeciti alla banca dati SDI per due finalità distinte:

1. Su richiesta di un dirigente d’azienda, per ottenere informazioni su alcuni imprenditori.
2. Per consultare le posizioni di propri familiari e conoscenti.

A distanza di cinque anni dai fatti contestati, il Procuratore della Repubblica disponeva la perquisizione e il sequestro probatorio di tutti i dispositivi elettronici dell’indagato, inclusi PC, tablet, smartphone e SIM card. L’indagato si opponeva, presentando istanza di riesame, che veniva però respinta dal Tribunale. La vicenda giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha contestato il provvedimento di sequestro sulla base di tre argomenti principali:

Mancanza del fumus commissi delicti*: Secondo il ricorrente, gli accessi rientravano in un’attività istituzionale di monitoraggio e controllo, e quindi non erano abusivi.
* Violazione dei principi di pertinenza e proporzionalità: Il sequestro era stato definito “onnivoro”, indiscriminato e sproporzionato, poiché eseguito a 5 anni dai fatti e su tutti i dispositivi, compresi quelli di familiari, senza un criterio di selezione.
* Carenza di motivazione: L’ordinanza non spiegava perché fosse necessario un atto così invasivo quando, secondo la difesa, le prove erano già state acquisite da altri co-indagati.

La Decisione della Corte sul Sequestro Probatorio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di censura e confermando la piena legittimità del sequestro probatorio disposto.

La Sussistenza del Fumus Commissi Delicti

I giudici hanno chiarito che il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione adeguata e non apparente circa l’esistenza di sufficienti indizi di reato. Erano stati evidenziati elementi concreti che suggerivano il carattere abusivo degli accessi: i messaggi scambiati con il co-indagato per ottenere informazioni sui terzi e il fatto che le consultazioni sui familiari non potevano rientrare in alcuna attività istituzionale, dato che nessun operatore può indagare sui propri congiunti in assenza di specifiche e formali denunce.

Il Principio di Pertinenzialità nel Sequestro Probatorio Digitale

Il punto cruciale della sentenza riguarda la proporzionalità della misura. La Corte ha affermato un principio fondamentale: quando si sequestra un dispositivo elettronico, che per sua natura contiene una mole enorme di dati, è inevitabile che molti di questi non siano pertinenti al reato. Tuttavia, la pertinenza può essere valutata solo ex post, cioè dopo l’acquisizione del dispositivo.

L’esigenza di garanzia per l’indagato si sposta quindi a una fase successiva: quella dell’analisi tecnica. La procedura corretta prevede:

1. L’esecuzione del sequestro del dispositivo.
2. La creazione di una copia forense del suo contenuto.
3. L’immediata restituzione del dispositivo fisico all’avente diritto.
4. L’analisi della copia forense per estrarre solo i dati rilevanti per l’indagine, con la successiva restituzione virtuale (cancellazione) dei dati non pertinenti.

La Corte ha ritenuto ragionevole che il Pubblico Ministero cercasse tracce delle comunicazioni illecite (chat, email, screenshot) sui dispositivi privati dell’indagato, in quanto è plausibile che tali informazioni venissero salvate per memoria futura.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il sequestro, per quanto invasivo, era l’unico strumento idoneo a verificare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria. L’ordinanza del PM aveva correttamente individuato non solo i luoghi ma anche la tipologia di oggetti da cercare (messaggistica, documenti, ecc.), limitando l’attività ablativa a ciò che era pertinente. Inoltre, era stato predisposto un cronoprogramma per l’analisi dei dati, rispettato fino a quel momento, che prevedeva la restituzione del materiale non rilevante entro un termine definito (due mesi), bilanciando così le esigenze investigative con la tutela dei diritti dell’indagato. La Cassazione ha infine specificato che non era possibile limitare temporalmente la ricerca ‘al buio’, poiché informazioni probatorie avrebbero potuto essere salvate in momenti antecedenti o successivi ai fatti.

Le Conclusioni

La sentenza n. 2534/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per le indagini nell’era digitale. Il sequestro probatorio di smartphone e PC è legittimo anche se apparentemente ‘totalizzante’, a condizione che la fase successiva di analisi sia rapida, mirata e garantisca la tempestiva restituzione di tutto ciò che non è rilevante per le indagini. Viene così confermata la necessità di un bilanciamento tra il potere investigativo dello Stato e il diritto alla riservatezza del cittadino, la cui tutela si realizza non impedendo l’acquisizione della prova, ma regolamentandone scrupolosamente le modalità di analisi e conservazione.

Quando è legittimo il sequestro probatorio di dispositivi elettronici come smartphone e PC?
Il sequestro è legittimo quando esiste un fondato sospetto di reato (fumus commissi delicti) e vi è la ragionevole necessità di cercare prove pertinenti al reato all’interno dei dispositivi. La motivazione del provvedimento deve indicare elementi concreti a supporto dell’ipotesi investigativa.

È necessario che tutti i dati presenti su un dispositivo sequestrato siano pertinenti al reato?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha chiarito che la pertinenza dei dati può essere valutata solo in una fase successiva all’acquisizione del dispositivo (ex post). La procedura corretta prevede la creazione di una copia forense, la restituzione del dispositivo e la successiva analisi mirata a isolare solo i dati rilevanti.

Può un sequestro probatorio essere considerato sproporzionato se avviene molto tempo dopo i fatti?
Non necessariamente. Nel caso di specie, il sequestro è stato ritenuto legittimo nonostante fosse avvenuto 5 anni dopo i fatti contestati. La legittimità dipende dalla necessità attuale di acquisire elementi probatori, che solo il Pubblico Ministero, quale titolare delle indagini, può pienamente apprezzare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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