Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26870 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26870 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Paolisi il 16/01/1953
avverso l’ordinanza del 03/04/2025 del Tribunale del Riesame di Benevento;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del l’Avvocato Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta le memorie del difensore del ricorrente, anche in replica alla requisitoria dell’Avvocato Generale, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Benevento ha confermato il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero
presso il Tribunale di Benevento in data 28 gennaio 2025 nei confronti del ricorrente.
Tale decreto si fonda sulle imputazioni provvisorie di cui ai capi c) e d) descritte nei seguenti termini:
il COGNOME, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME quali amministrator i di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, della quale è stata dichiarata la liquidazione giudiziale con sentenza n. 43 del 19 giugno 2024 del Tribunale di Benevento, nella veste di consulente fiscale della predetta società, avrebbero commesso il reato di cui all’art. 322, comma 1, lett. b), del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, sottraendo, distruggendo, falsificando, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili o tenendoli in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari;
in concorso con gli stessi soggetti, il ricorrente avrebbe poi commesso il delitto di cui agli artt. 48 e 480 cod. pen., poiché, mediante più azioni esecutive di un unico disegno criminoso, con l’inganno avevano indotto in errore il pubblico ufficiale della Camera di Commercio Irpinia Sannio, determinandolo a commettere il delitto di falsità ideologica in certificato amministrativo, consistente nella falsa certificazione inerente i ruoli sociali e la carica di amministratore legale della società oggetto di liquidazione giudiziale. In particolare, è contestato al ricorrente, quale consulente fiscale e intermediario della predetta società, di aver depositato, attraverso invio telematico, nelle date del 23 novembre 2023 e del 18 gennaio 2024, presso tale Camera di commercio, una serie di certificazioni che avevano indotto in errore il pubblico ufficiale sulla loro validità (ovvero, il verbale di assemblea ordinaria del 27 ottobre 2023 con il quale il COGNOME, legale rappresentante della società, era sostituito da tale NOME COGNOME cittadina extracomunitaria irreperibile e sostanzialmente inesistente sul territorio italiano; l’ atto di cessione quote del 23 novembre 2023 con cui NOME COGNOME cedeva la sua quota societaria pari al 20% del capitale al COGNOME già titolare di una quota pari all’80%; l’ atto di cessione del 18 gennaio 2024 con il quale questi cedeva la sua quota del 100% del capitale sociale alla predetta NOME).
Avverso la richiamata ordinanza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con il proprio difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME denunciando violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 247, 253, 259 e 274 dello stesso codice per inosservanza dei principi di pertinenzialità, proporzionalità e adeguatezza del
provvedimento ablativo, nonché delle disposizioni in tema di perquisizione informatica e custodia del materiale sottoposto a sequestro.
Mediante l’articolata censura espone che era stato e ffettuato il sequestro di ampio materiale informatico senza che nel decreto di perquisizione fossero indicati i dati da estrapolare, le applicazioni da perquisire, le modalità di selezione dei dati rilevanti e perimetrata la ricerca sul piano temporale.
Soggiunge, inoltre, che il relativo onere motivazionale non potrebbe essere soddisfatto, come assunto dalla decisione impugnata, dalla formulazione dei capi di imputazione provvisori.
Lamenta, infine, che, a fronte di alcune disposizioni contenute nel decreto di perquisizione sulle modalità con le quali procedere sui dispositivi informatici, non era stato chiarito dove era stato custodito il telefono sequestrato f ino al conferimento dell’incarico al consulente tecnico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato, per le ragioni di seguito indicate.
2.Occorre premettere che, come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte, il decreto di sequestro probatorio, anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, PM in proc. COGNOME e altri, Rv. 273548).
In particolare, come è stato in seguito puntualizzato, in tema di sequestro probatorio, l’acquisizione indiscriminata di un’intera categorie di beni, nell’ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole “res” strumentali all’accertamento del reato, è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e omnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare “ex ante” l’oggetto del sequestro (Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279949 -02).
2.1. Il decreto del Pubblico Ministero che ha disposto la perquisizione a carico del ricorrente a fronte della quale è stato effettuato il sequestro probatorio motiva, dopo una puntuale descrizione degli elementi posti a
sostegno della prospettazione accusatoria provvisoria, in maniera dettagliata in ordine ai dati da acquisire, avendo riguardo alle esigenze investigative perseguite.
In particolare, tale decreto pone in rilievo la necessità, innanzi tutto, di ricercare e acquisire il corpo del reato, ossia i certificati alterati e falsificati (oggetto del capo d dell’imputazione provvisoria), come i verbali di assemblea ordinaria e gli atti di cessione di quote, l’atto di cessione di ramo d’azienda e la tracciabilità del profitto della vendita del ramo d’azienda, i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, i libri sociali, le dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA, relative agli ultimi esercizi finanziari della società in liquidazione.
Inoltre, lo stesso decreto evidenzia la necessità di ricercare e acquisire ogni documento utile, sia in forma fisica che digitale, idoneo a comprovare le attività delittuose che -sempre secondo la prospettazione accusatoria -avrebbero posto in essere l ‘ indagato, le modalità concrete delle stesse, anche al fine di verificare eventuali ulteriori condotte di terzi relativamente alla gestione dei beni sottratti alla solvibilità dei creditori, ed oggettivamente costituente fonte di prova utile per l’acquisizione di elementi di riscontro alle ipotesi delittuose per le quali si procede.
Sotto altro e concorrente aspetto, il medesimo decreto delinea nel dettaglio le modalità con le quali deve essere eseguita la perquisizione informatica e la successiva acquisizione dei dati.
Segnatamente, il provvedimento in questione dispone che deve essere compiuta la perquisizione informatica dei personal computer, hard disk e/o supporti informatici mobili simili nella diretta e/o indiretta disponibilità degli indagati nonché dei server ove esistenti e, ove non sia possibile, di tutti i personal computer, hard disk e/o supporti informatici fissi o mobili, individuati dalla polizia giudiziaria con modalità tali da escludere la perdita dei dati utili per le indagini o il danneggiamento dei sistemi, assicurando la conservazione dei dati originali per impedirne l’alterazione.
Lo stesso decreto chiarisce che deve essere effettuata l’analisi immediata del materiale informatico, se tecnicamente possibile, già in sede di perquisizione e il conseguente sequestro di quanto rinvenuto come corpo del reato, profitto o cose pertinenti dello stesso, in quanto prova utile per la prosecuzione delle indagini.
Il decreto precisa, inoltre, che, in omaggio al principio di proporzionalità, il sequestro integrale dei dispositivi fisici detenuti dagli indagati, finalizzato al compimento di una copia forense su cui operare la selezione dei dati funzionali
alle indagini, è consentito solo ove non ne sia possibile l’analisi immediata per le caratteristiche tecniche dell’apparato, per la presenza di elevate o complesse misure di sicurezza, in caso di sistemi o software di cifratura di dati, che possono compromettere le analisi ed acquisizioni, per la mole dei dati da esportare, ed altre situazioni che non consentano di eseguire subito in condizioni di sicurezza le attività tecniche.
A fronte delle dettagliate argomentazioni del ripercorso decreto di perquisizione in forza del quale è stato effettuato il sequestro, va considerato, atteso che le censure del ricorrente si muovono, in primis e soprattutto lungo il perimetro della proporzionalità della misura, quanto segue.
Innanzi tutto, la circostanza che i documenti costituenti il corpo del reato siano stati acquisiti in forma cartacea nel corso della perquisizione non preclude la possibilità di acquisirli anche nel formato informatico disponibile, potendo essere contenute, in tesi, informazioni differenziate negli uni e negli altri.
Quanto, poi, all’assunto per il quale si sarebbe proceduto, sia mediante le copie forensi effettuate nell’immediatezza sia, soprattutto, attraverso il sequestro di un hard disk e di un cellulare, a ricercare in maniera indiscriminata e sproporzionata una serie di dati anche non correlati ai fatti di reato, va considerato che, in linea con le indicazioni ritraibili dalla motivazione di Sez. U n. 40963 del 20/07/2017, COGNOME, Rv. 270497, questa Corte ha chiarito che l’estrazione di copia integrale dei dati contenuti realizza una copia-mezzo, dalla quale devono poi essere ritratti solo quelli che sono necessari a selezionare le informazioni pertinenti al reato per cui si procede (Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, COGNOME, Rv. 279949).
Inoltre, è stato puntualizzato che il sequestro di un intero “personal computer”, piuttosto che l’estrapolazione con copia forense di singoli dati, è legittimo se è giustificato dalle difficoltà tecniche di estrapolare, con riproduzione mirata, i dati contenuti nella memoria (Sez. 5, n. 38456 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 277343).
Ora, dal verbale di perquisizione e sequestro risulta che per la maggior parte dei dispositivi si è subito proceduto, alla presenza del consulente tecnico informatico nominato dal Pubblico Ministero , all’estrazione d i una copia forense volta alla ricerca della prova che è la finalità del sequestro in esame.
Solo due dispositivi sono stati invece oggetto di sequestro e, deve ritenersi, che ciò sia avvenuto nel rispetto delle puntuali indicazioni date nel
decreto del Pubblico Ministero, ossia per ragioni di sicurezza dei dati stessi ovvero per la difficoltà di estrarre nell’immediatezza i relativi dati.
Vi è infatti che tutte le operazioni si sono svolte alla presenza del consulente informatico della Procura e che, in realtà, rispetto al sequestro dei due dispostivi, alcuna specifica censura, a parte quella generica sulla pertinenzialità e sulla proporzionalità, è stata operata.
Peraltro, come si è osservato nella giurisprudenza di questa Corte, ciò che è davvero cruciale, stante la finalizzazione dell’ablazione del supporto alla sua successiva analisi, strumentale all’identificazione e all’estrazione dei “files” rilevanti per le indagini, è che la protrazione del vincolo, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, sia limitata al tempo necessario all’espletamento delle operazioni tecniche, dovendosi, tuttavia, rapportare tale ragionevole durata alle difficoltà tecniche di apprensione dei dati (Sez. 3, n. 36776 del 04/07/2024, COGNOME, Rv. 286923; Sez. 2, n. 17604 del 23/03/2023, Casale, Rv. 284393).
Sotto tale aspetto, le censure si palesano manifestamente infondate poiché l’immediato inizio delle operazioni di esame e di estrapolazione dei dati da parte del consulente informatico esclude, in assenza di elementi ulteriori, che vi sia allo stato un’irragionevole protrazione delle operazioni.
Né, infine, possono essere considerate in questa sede ulteriori doglianze, pure mosse dalla difesa del ricorrente, sulla restituzione delle copie forensi e sulla disposta secretazione delle stesse, nonché sulla custodia del cellullare prima dell’inizio delle operazioni, trattandosi di questioni afferenti alla fase esecutiva demandate al Giudice per le indagini preliminari.
Il ricorso deve dunque essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025