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Sequestro probatorio: la proporzionalità temporale

La Corte di Cassazione si pronuncia sul sequestro probatorio di dispositivi informatici. Ha rigettato il ricorso di un indagato che chiedeva la restituzione di due smartphone e una casella email, sequestrati da poco più di un mese. La Corte ha ritenuto che il breve lasso di tempo trascorso fosse compatibile con le esigenze investigative, confermando la legittimità del mantenimento del sequestro e l’applicazione del principio di proporzionalità.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Probatorio di Dispositivi Elettronici: La Cassazione e il Principio di Proporzionalità Temporale

Il sequestro probatorio di dispositivi informatici come smartphone e computer è una pratica sempre più comune nelle indagini penali. Tuttavia, per quanto tempo possono essere trattenuti? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 30787/2025) offre chiarimenti cruciali sul bilanciamento tra le esigenze investigative e il diritto dell’indagato alla restituzione dei propri beni, applicando il fondamentale principio di proporzionalità.

Il Caso: Sequestro di Smartphone e la Richiesta di Restituzione

La vicenda riguarda un indagato, coinvolto in un complesso procedimento penale per reati legati all’accesso abusivo a sistemi informatici e alla rivelazione di segreti d’ufficio (artt. 326 e 615-ter cod. pen.). Nell’ambito delle indagini, l’autorità giudiziaria aveva disposto il sequestro probatorio di due smartphone e di una casella di posta elettronica di sua proprietà.

Trascorsi poco più di un mese dal sequestro, avvenuto il 24 ottobre 2024, l’indagato presentava un’istanza per ottenere la restituzione dei suoi dispositivi. La richiesta veniva rigettata dal Pubblico Ministero e, successivamente, anche il G.i.p. del Tribunale di Milano respingeva l’opposizione dell’indagato con un’ordinanza del 17 gennaio 2025.

L’Ordinanza del Tribunale e i Motivi del Ricorso

L’indagato decideva di impugnare l’ordinanza del G.i.p. davanti alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente due vizi:
1. Violazione del principio di proporzionalità: Secondo la difesa, il mantenimento del vincolo probatorio doveva essere contemperato con il diritto alla restituzione dei dispositivi. La motivazione del G.i.p., basata sulla generica complessità delle indagini, era ritenuta insufficiente.
2. Mancanza di un termine finale: Il provvedimento di sequestro non indicava una data entro cui le operazioni di analisi dei dati si sarebbero concluse, comprimendo sine die (senza un termine) i diritti dell’indagato.

La difesa sosteneva che il Pubblico Ministero ha l’onere di organizzarsi per estrarre i dati rilevanti in tempi ragionevoli, creare una copia forense (la cosiddetta “copia-mezzo”) e restituire gli originali.

La Decisione della Cassazione e il giusto equilibrio nel sequestro probatorio

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Prima di entrare nel merito, la Corte ha chiarito due importanti aspetti procedurali.

Questioni Procedurali: Rito e Ambiti del Ricorso

In primo luogo, ha specificato che il ricorso contro l’ordinanza che decide sulla restituzione di beni sequestrati si svolge con un rito “non partecipato” (in camera di consiglio senza la presenza delle parti), come previsto dall’art. 611 cod. proc. pen., respingendo la richiesta di trattazione orale della difesa. In secondo luogo, ha confermato che questo tipo di ordinanza è ricorribile in Cassazione per tutti i motivi previsti dall’art. 606 cod. proc. pen., inclusi i vizi di motivazione, e non solo per violazione di legge.

Le Motivazioni: Il Principio di Proporzionalità nel Sequestro Probatorio

Nel merito, la Corte ha riconosciuto la correttezza della tesi difensiva in linea di principio: un sequestro probatorio non può durare indefinitamente. La giurisprudenza consolidata impone che la durata del vincolo sia predeterminata e adeguata, limitata al tempo strettamente necessario per estrapolare i dati utili all’indagine.

Il Pubblico Ministero deve specificare le ragioni del sequestro, i criteri di selezione del materiale e i tempi previsti per l’analisi e la successiva restituzione. Tuttavia, la Corte ha applicato questo principio al caso concreto, valorizzando un elemento fattuale decisivo: il tempo trascorso.

Il sequestro era avvenuto il 24 ottobre 2024 e la richiesta di restituzione era del 3 dicembre 2024. Secondo la Corte, un lasso temporale di “poco più di un mese” è del tutto logico e coerente con i tempi ordinariamente necessari per le attività di selezione e copia di materiale informatico. Data l'”assoluta brevità” del periodo, la motivazione del G.i.p., che si era limitato a una generica affermazione di “compatibilità” tra i tempi delle indagini e l’interesse alla restituzione, è stata considerata sufficiente e non censurabile.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante punto di equilibrio. Se da un lato riafferma con forza che il sequestro probatorio di dispositivi digitali non può essere illimitato nel tempo, dall’altro chiarisce che la valutazione sulla sua proporzionalità dipende strettamente dalla durata concreta del vincolo. Per periodi brevi, come un mese, una motivazione generica da parte del giudice può essere ritenuta adeguata. Se il tempo si protrae, invece, scatta per il Pubblico Ministero l’onere di fornire una giustificazione più dettagliata, specificando il tempo residuo necessario per completare le analisi e restituire i beni. Questa decisione, dunque, ancora una volta sottolinea come il fattore tempo sia un elemento cruciale per bilanciare efficacemente le esigenze della giustizia con i diritti fondamentali dell’individuo.

Quanto tempo può durare un sequestro probatorio di un dispositivo elettronico?
Non esiste un termine fisso. La sua durata deve essere strettamente necessaria per compiere le attività di analisi ed estrazione dei dati. La valutazione della sua ragionevolezza dipende dalle circostanze del caso, ma la Corte ha ritenuto congruo un periodo di poco più di un mese.

È possibile chiedere un’udienza orale per un ricorso in Cassazione contro il diniego di restituzione di beni sequestrati?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questo tipo di ricorso viene trattato con un rito camerale “non partecipato”, ovvero senza la presenza fisica delle parti, le cui ragioni vengono esposte tramite memorie scritte.

Cosa succede se il Pubblico Ministero non indica un termine preciso per la restituzione dei beni sequestrati?
Se il tempo trascorso dal sequestro è breve (nel caso di specie, poco più di un mese), una motivazione generica sulla compatibilità con le indagini può essere sufficiente. Se invece il tempo si allunga, il PM ha l’onere di specificare il tempo residuo necessario per le operazioni, altrimenti il mantenimento del sequestro potrebbe violare il principio di proporzionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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