Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26296 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26296 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIB. LIBERTA di PESCARA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; le conclusioni del PG NOME COGNOME c l GLYPH L.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Pescara in funzione di giudice del riesame, ha rigettato il ricorso promosso ex art. 324 cod. proc. pen. nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto del Pubblico Ministero di convalida del sequestro probatorio della somma di euro 1340,00 e di un’agendina in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, relativo alla detenzione di grammi 16 di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
1.1.La vicenda processuale trae origine da un controllo effettuata dalla polizia giudiziaria, mentre COGNOME si trovava a bordo della sua autovettura. A seguito della perquisizione, addosso all’indagato, all’interno di un marsupio, era stava rinvenuta la somma di 1340,00 euro, mentre all’interno dell’auto era stato rinvenuto un involucro contente gr. 16 di cocaina; la perquisizione era stata estesa all’abitazione dell’indagato, ove erano stati sequestrati un bilancino di precisione, due bilance, un coltello da cucina, un’agendina con nomi soprannomi e cifre, due tritaerba, due rotoli da cucina in cellophane.
1.2.La polizia giudiziaria, in esito alla perquisizione, aveva proceduto al sequestro di quanto rinvenuto e il sequestro era stato convalidato dal Pubblico Ministero con proprio decreto in data 21 gennaio 2023, con la motivazione che la sostanza stupefacente costituiva corpo del reato e la sua acquisizione era necessaria per l’espletamento delle analisi chimiche, mentre il danaro e il materiale per il confezionamento erano da considerarsi cose pertinenti al reato, necessarie per dimostrare l’ipotesi accusatoria.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo di proprio difensore, formulando tre motivi.
2.1.Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge per non aver il Tribunale dichiarato la perdita di efficacia della misura per mancato rispetto del termine previsto dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen. in relazione al comma 7 dello stesso articolo e all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. In subordine ha chiesto che la questione sia rimessa alle Sezioni Unite, ovvero che sia sollevata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 324 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, e 111 Cost.
Il difensore osserva che:
a seguito della convalida del sequestro probatorio notificata il 22 dicembre 2023, l’indagato aveva presentato richiesta di riesame il successivo 2 gennaio 2024;
il Tribunale aveva chiesto la trasmissione degli atti solo il 22 gennaio e gli atti erano stati trasmessi il 23 gennaio;
il GLYPH procedimento si era concluso il 30 gennaio con la celebrazione dell’udienza e il deposito del provvedimento;
In ragione di tale sequenza cronologica rileva il mancato rispetto del termine per la trasmissione degli atti previsto dal codice di rito.
Il Tribunale, nel replicare ad analoga eccezione sollevata con il riesame, aveva richiamato l’orientamento espresso da Sez Un 17 giugno 2013, n. 26268, COGNOME, secondo cui nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al Tribunale, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria. Il difensore invita la Corte a riconsiderare tale principio, evidenziando che la differenziazione del regime dei termini nel procedimento cautelare personale e nel procedimento cautelare reale non ha ragione di essere, in quanto il sequestro di somme di danaro e di altri beni può incidere profondamente sui diritti dell’indagato, più di tante limitazioni lievi della libertà personale. Nel caso in esame, a differenza che in quello trattato da Sez. Un. COGNOME, l’inadempienza era stata del Tribunale, che aveva richiesto il fascicolo molto tempo dopo la richiesta di riesame. Nessun argomento, dunque, – secondo il difensore- consente di escludere la natura perentoria del termine, che si pone come passaggio essenziale per l’effettiva garanzia di un celere giudizio sulla cautela probatoria reale.
Il difensore ricorda infine che la Corte Costituzionale con la sentenza 22 giugno 1998 n. 232, nel dettare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 309 comma 5 cod. proc. pen, in virtù della quale il termine perentorio per la trasmissione degli atti, assistito dalla sanzione processuale della decadenza della misura, decorre dal giorno stesso della presentazione della richiesta, ha precisato “a poco varrebbe infatti un termine breve e perentorio per la decisione, assistito dalla sanzione processuale della perdita di efficacia della misura in caso di inosservanza, se la decorrenza del termine medesimo fosse determinata da eventi o adempimenti rimessi, sia pure sotto la combinatoria di termini ordinatori, alla stessa autorità giudiziaria che procede o che adottato la misura restrittiva ovvero all’autorità chiamata a decidere sulla richiesta di riesame. In tal modo la garanzia della libertà personale attraverso la tempestiva decisione sul riesame resterebbe di fatto affidata la spontanea e non scontata sollecitudine degli organi giudiziari”. Ne consegue, ad avviso del ricorrente, che il costante orientamento giurisprudenziale, nel differenziare il regime della decadenza nel procedimento
cautelare personale e nel procedimento cautelare reale, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. e nel vanificare la celerità del procedimento cautelare reale sarebbe in contrasto con l’art. 24 Cost.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in particolare dell’art. 253 cod. proc. pen. in relazione alla finalità probatoria perseguita con il sequestro del denaro. Il difensore osserva che il Tribunale avrebbe enunciato in via autonoma le esigenze probatorie perseguite con il sequestro sostituendosi così, in maniera illegittima, al pubblico ministero e, comunque, anche in tale operazione surrogatoria, non avrebbe riempito il vuoto motivazionale. Alla luce di quanto ha stabilito la giurisprudenza di legittimità difetta la puntuale esplicazione non solo del nesso di pertinenzialità, ma soprattutto dell’esigenza probatoria che giustifica il provvedimento di cautela.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla omessa indicazione delle finalità perseguite con il sequestro dell’agendina. Il difensore osserva che l’agendina non era neppure menzionata nel provvedimento di convalida e dal tenore del provvedimento non era desumibile neppure una motivazione implicita. Ciò nonostante, il Tribunale aveva sostenuto che la rilevanza probatoria dell’oggetto sarebbe stata evidente se esaminata in relazione al sequestro del denaro e degli altri strumenti per il confezionamento della droga. Ancora una volta, tuttavia, il Tribunale si era sostituito illegittimamente al pubblico ministero.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria in data 8 maggio 2024 con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al secondo e terzo motivo.
Il primo motivo, attinente alla eccezione processuale della perdita di efficacia della misura, è manifestamente infondato.
2.1.Non può che essere richiamato il principio espresso da Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, COGNOME, Rv. 255581, per cui nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al Tribunale, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. peri., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata
in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria. In tale senso si sono espresse anche Sez.U, n.18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv.266790, le quali hanno affermato che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, il rinvio dell’art. 324, comma settimo, cod. proc. pen., alle disposizioni contenute nell’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen., deve intendersi tuttora riferito alla formulazione originaria del predetto articolo; ne deriva che sono inapplicabili le disposizioni – introdotte nel predetto comma decimo dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 – relative al termine perentorio per il deposito della decisione ed al divieto di rinnovare la misura divenuta inefficace.
Nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro, il termine perentorio di dieci giorni, entro cui deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura, decorre dal momento in cui al Tribunale sono pervenuti gli atti e nel caso di trasmissione frazionata degli atti, dal momento in cui il Tribunale ritenga completa l’acquisizione degli atti mancanti, nei limiti dell’effetto devolutivo dell’impugnazione (in senso conforme Sez. 3, n. 44640 del 29/09/2015, COGNOME, Rv. 265571; Sez. 6, n. 47883 del 25/09/2019, NOME, Rv. 277566).
Nel caso di specie il termine di dieci giorni di cui all’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. è stato rispettato, perché gli atti sono pervenuti al Tribunale il 23 gennaio 2024 e lo stesso si è pronunciato il 30 gennaio 2024.
2.2. GLYPH Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale in relazione alla diversa disciplina del procedimento cautelare personale e del procedimento cautelare reale. Le Sezioni Unite COGNOME, cit. hanno già evidenziato che la scelta legislativa di lasciare la procedura del riesame reale non assoggettata, nella sua integralità, al rigidissimo regime proprio delle impugnazioni in materia di coercizione personale si giustifica in maniera ragionevole in considerazione della assoluta divergenza dei due istituti, e ciò in ragione della diversa graduabilità dei valori che risultano esposti all’esercizio del potere cautelare, come già riconosciuto dalla Corte costituzionale (v. Corte cost., sentt. n. 268 del 1986, n 260/1986 e n. 48 del 1994; ordinanza n. 153 del 2007). Le Sezioni Unite, in particolare hanno osservato che “il fatto che il comma 6 dell’art. 11 legge n. 47 del 2015, laddove espressamente sono citati i commi da sostituire nel richiamo presente nell’art. 324, comma 7, non menzioni anche il comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen., fa ritenere che il detto comma 10, nella formulazione risultante dall’intervento del legislatore nell’ultima riforma, non debba riguardare fa modalità di funzionamento del riesame reale. Con la ulteriore 3 conseguenza che, sia pure attraverso tale specifico percorso interpretativo, le conclusioni della sentenza COGNOME sono da confermare. Si tratta comunque di una interpretazione – quella che esclude l’innesto del novellato comma 10 nei sistema dell’art. 324 – che risulta giustificata
anche alla luce di considerazioni di carattere sistematico e perciò non può dirsi frutto di una interpretazione ancorata alla sola lettera dell’intervento manipolativo del legislatore. Si è già detto che il menzionato comma 10 non può oggettivamente operare per il riesame delle misure reali, quanto alla sanzione che appresta al mancato rispetto del precetto del precedente comma 5, per ragioni che rimandano alla stessa struttura del precetto in questione e alla ontologica incompatibilità di questo col comma 3 dell’art. 324, ragioni illustrate dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici e poi unite, all’indomani della introduzione del nuovo testo del detto comma 5. Non vi è incoerenza sistematica nell’affermare, dunque, che quello stesso comma 10 resta non operante anche in relazione a tutte le innovazioni in esso introdotte dalla legge n. 47 del 2015, che sono essenzialmente quelle della fissazione di un termine, prorogabile ma perentorio, anche per il deposito della ordinanza motivata, e del divieto di rinnovazione della misura, salvo eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, una volta che abbia perso efficacia per il mancato rispetto dei termini prescritti. Se anche la si leggesse come una “anchilosi”, si tratterebbe dunque di un risultato che, per quanto apparentemente distonico con la già sopra ricordata esigenza di risposta effettivamente celere – e però anche esaustiva e completa – da parte del giudice del riesame, è da definire, piuttosto, come ulteriore espressione di una scelta risalente e collaudata dal legislatore, che è stata quella di lasciare la procedura del riesame reale non assoggettata, nella sua integralità, al rigidissimo regime proprio delle impugnazioni in materia di coercizione personale. Come è reso lampante, tra l’altro, dalla assoluta divergenza dei due istituti anche in punto di sospensione dei termini procedurali nel periodo feriale nonché di ampiezza del sindacato di legittimità sui provvedimenti conclusivi. E ciò in ragione, evidentemente, della diversa graduabilità dei valori che risultano esposti all’esercizio del potere limitativo in via cautelare, come già riconosciuto dalla Corte costituzionale (v. Corte cost., sentt. n. 268 del 1986 e n. 48 del 1994; ma la presa d’atto della necessaria diversificazione dei due tipi di misure, personale e reale, è anche alla base della ordinanza n. 153 del 2007), nonché dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 26268 del 2013, COGNOME“. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di tali argomentazioni, pienamente condivisibili, la questione di legittimità costituzionale sollevata, come anticipato, è manifestamente infondata.
Infine, condividendo il collegio i principi di diritto già espressi dalle Sezioni Unite, fondati sulla diversa tipologia dei beni oggetto della procedura di impugnazione cautelare, già rimarcata più volte dalla Corte Costituzionale, non vi è alcuna ragione per rimettere la decisione del ricorso a queste ultime, così come richiesto dal ricorrente ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Il secondo motivo e il terzo motivo, incentrati sull’omessa indicazione nel provvedimento di convalida del sequestro del denaro e dell’agendina della finalità probatoria del vincolo reale, sono fondati.
3.1.Si deve muovere dalla premessa, affermata reiteratamente da questa Corte di legittimità a Sezioni Unite, secondo cui, in ragione dei limiti dettati all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo, il decreto di sequestro probatorio così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226711; in conformità, tra le altre, Sez. 6, n. 11817 del 26/01/2017,COGNOME, Rv. 269664; Sez. 2, n. 44416 del 16/09/2016, COGNOME, Rv. 268724; Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268736; Sez. 3, n. 45034 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265391).
Il decreto di sequestro probatorio di cosa pertinente al reato deve indicare non solo la sua rilevanza ai fini dell’accertamento dei fatti, richiesta pure per il decreto di sequestro probatorio del corpo di reato, ma anche il nesso di derivazione e di pertinenza della cosa con il reato e la mancanza di motivazione comporta la nullità genetica del provvedimento non sanabile in sede di riesame (Sez. 2, n. 39187 del 17/09/2021, COGNOME, Rv. 282200)
Anche il denaro, pur se costituisce corpo del reato, può essere sottoposto a sequestro probatorio a condizione che le banconote o le monete sequestrate abbiano una specifica connotazione identificativa in relazione al fatto da provare, essendo altrimenti sufficiente la documentazione del possesso di una determinata somma di denaro (Sez. 5, n. 4605 del 27/11/2015 – dep. 2016, Baldanza, Rv. 265622). Nello stesso senso, si è ribadito che il denaro non può essere sottoposto a sequestro probatorio in assenza di specifici elementi dai quali sia desumibile che la prova del reato discenda non dal semplice accertamento dell’esistenza di un quantitativo di denaro che costituisce corpo del reato, ma dal denaro stesso, nella sua materialità, che si intende sequestrare (Sez. 3, n. 36921 del 27/05/2015, Rossi, Rv. 265009). Si è posto in rilievo come il sequestro probatorio risponda ad una precisa ratio, in forza della quale l’assoggettamento a vincolo reale di un bene con una inevitabile compressione della libertà patrimoniale anche costituzionalmente presidiata – si giustifica in ragione dell’esigenza di accertamento dei fatti e come ad esso sia, dunque, aliena l’esigenza di prevenzione speciale, che – dal nostro codice di rito – è specificamente salvaguardata da un altro istituto processuale, segnatamente dal sequestro preventivo, sia nella forma c.d. impeditiva disciplinata dall’art. 321, comma 1, sia nella forma strumentale alla
confisca, misura di sicurezza disciplinata – in via generale – dall’art. 240 cod. pen. e da altre disposizioni speciali (in tal senso Sez. 6, n. 11817 del 26/01/2017,COGNOME, cit. )
Al mancato assolvimento dell’onere di motivazione non può, peraltro, sopperire il Tribunale del Riesame, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale. Qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l’applicazione della misura e abbia persistito nell’inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest’ultimo non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalit del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse (Sez. 2 , n. 39187 del 17/09/2021, COGNOME, Rv. 282200; Sez. 2, n. 49536 del 22/11/2019, COGNOME, Rv. 277989; Sez. 4, n. 54827 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271579; sez. 3 n. 30993 del 05/04/2016, COGNOME, Rv. 267329 nella quale si afferma la possibilità di integrazione da parte del giudice del riesame in sede di conferma del provvedimento con la specificazione delle esigenze probatorie che ne stanno a fondamento, sempre che le stesse siano state indicate, seppure in maniera generica, nel provvedimento impugnato).
3.3. Nel caso di specie il decreto del Pubblico Ministero, nel convalidare il sequestro effettuato dalla Polizia Giudiziaria, indica la sostanza stupefacente come corpo del reato, e il denaro e il materiale per il confezionamento come cose pertinenti al reato “la cui acquisizione è necessaria per dimostrare l’ipotesi accusatoria, ossia il coinvolgimento dell’indagato nella illecita attività di spaccio”; il decreto di convalida non contiene menzione alcuna delle finalità probatorie correlate al sequestro dell’agenda. Il Tribunale del riesame, investito della censura relativa alla mancanza di motivazione in ordine alla finalità probatoria del sequestro del denaro e dell’agenda, ha ribadito come “l’acquisizione al compendio probatorio del denaro.. risulti funzionale alla dimostrazione della condotta ascritta a COGNOME, i.e. l’attività di detenzione finalizzata alla cessione illecita sostanze stupefacenti” e che la rilevanza probatoria dell’ agendina fosse evidente, se esaminata in relazione a ciò che era stato rinvenuto in sede di perquisizione.
Le censure del ricorrente rispetto alla mancanza di motivazione in ordine alla finalità probatoria del sequestro colgono nel segno. In relazione al sequestro del denaro, la motivazione adottata dal Pubblico Ministero e confermata dal Tribunale del Riesame non è coerente con i principi supra richiamati, in quanto
la necessità di apposizione del vincolo è stata giustificata, in maniera tautologica, con la necessità di accertamento dei fatti, quando invece si sarebbe dovuto spiegare in che senso le banconote o le monete sequestrate avessero una specifica connotazione identificativa in relazione al fatto da provare. In relazione al sequestro dell’agenda, nel decreto di convalida del Pubblico Ministero manca qualsivoglia indicazione della necessità di apposizione del vincolo: a fronte di tale mancanza, come detto, il Tribunale del Riesame non avrebbe potuto supplire all’inerzia del Pubblico Ministero e indicare le ragioni della misura cautelare, la cui individuazione deve essere di esclusiva competenza dell’organo dell’accusa.
4.Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Pescara.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Pescara, competente ex art. 324, co.5, cod. proc. pen.
Deciso in Roma il 15 maggio 2023
Salvat GLYPH