Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15985 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15985 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 417/2025
CC – 20/03/2025
NOME COGNOME NOME SESSA
R.G.N. 4786/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 23/09/1970
avverso l’ordinanza del 23/01/2025 del Tribunale di Napoli
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23.1.2025, il Tribunale di Napoli – Sezione Riesame – ha confermato il decreto, emesso in data 7.1.2025 dal Pubblico Ministero nei confronti di COGNOME NOME, con cui era stato disposto il sequestro probatorio di venticinque magliette recanti loghi della società sportiva Calcio Napoli, ravvisando il fumus del
2. Avverso il suindicato decreto ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, deducendo violazione di legge in relazione agli articoli 354 e seguenti del codice di rito e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità della stessa. Il provvedimento impugnato presenta vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante e privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza; si tratta, quindi, di motivazione inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Si è, in particolare, eccepita la mancanza di motivazione del decreto di convalida con riferimento alle esigenze probatorie connesse al mantenimento del vincolo reale sui beni suindicati laddove, come precisato da questa Corte di Cassazione nel suo massimo consesso (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Pm in proc. COGNOME e altri, Rv. 273548), il decreto di sequestro probatorio dev’essere sempre sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla finalità degli accertamenti dei fatti, alla concreta esigenza probatoria perseguita dall’inquirente. Il pubblico ministero, invece, nella specie si sarebbe limitato a dedurre che si trattava di beni costituenti corpo di reato e che degli stessi era vietata la commercializzazione.
Aggiunge il ricorrente che tale nullità non può essere sanata dal Tribunale del riesame, atteso che l’indicazione delle specifiche esigenze probatorie sottese alla misura reale strettamente collegate all’azione penale spetta al pubblico ministero. Nel caso di specie il Tribunale ha validato il decreto nonostante il sequestro ed il decreto di perquisizione si limitassero a richiamare genericamente gli articoli 474 e 648 cod. pen. senza neppure sommariamente procedere ad una descrizione fattuale delle fattispecie iscritte nel registro notizie di reato e, pertanto, senza indicare in cosa sarebbe consistita la condotta e su quali beni sarebbe caduto il sequestro, quali sarebbero stati in concreto le coordinate spazio-temporali in cui i reati ascritti sarebbero stati compiuti. Da qui la riscontrata grave carenza motivazionale sul perché i beni in sequestro dovessero considerarsi cose pertinenti al reato e sul perché fosse proporzionale e adeguato un sequestro generalizzato dai beni de quibus .
Il Tribunale ha peraltro valutato il fumus del reato in maniera del tutto astratta, senza nemmeno avere come punto di riferimento una fotografia o altro documento riproduttivo mancante nel verbale di sequestro, al fine di accertare l’ipotizzata violazione della norma penale; laddove il concetto di analogia (maglie dello stesso colore della squadra di calcio del Napoli) differisce da quello dell’identità o similitudine o, nel merito, attitudine ingannatoria. A leggere il verbale di sequestro, invero, si comprende che anche gli operanti non hanno certezza di eventuale contraffazione usando l’avverbio verosimilmente. Tuttavia, il Tribunale, a pagina 2, dà
per certo che si tratta di maglie della SC Napoli, senza avere avuto la possibilità di verificare, con percezione visiva e diretta, se effettivamente fosse stato riprodotto almeno nei suoi tratti fenomenicamente essenziali il logo della squadra di calcio.
La difesa aveva espressamente eccepito che non si trattasse né di una replica né di un’imitazione ma di qualcosa di nuovo e solo concettualmente legata alla squadra di calcio, e che i colori utilizzati dalle squadre di calcio non possono avere tutela stante la diffusa volgarizzazione. Una maglia sul fondo azzurro (priva dei nomi e dei numeri dei calciatori della formazione), riportante un’immagine di Maradona e una scritta di un vecchio sponsor, non è neanche astrattamente idonea a creare confusione e a far ritenere violata la tutela del marchio, in quanto libera ispirazione: un palese riferimento al calciatore iconico! Ed è innegabile che l’immagine del calciatore o del Vesuvio, a Napoli, siano diventati simbolo della città, quasi di uso comune, e tale caratteristica non può essere certo attribuita in via esclusiva ai segni o colori delle società calcistiche.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
il difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso è inammissibile per genericità e, in parte, anche perché deduce vizi di motivazione non proponibili in cassazione in relazione al tipo di provvedimento impugnato, avente ad oggetto un decreto di sequestro, e ciò essendo espressamente previsto dall’ art. 325, comma 1, del codice di rito.
Ed invero, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, Sentenza n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710 – 01).
Ed ancora, come è stato precisato da altra pronuncia di questa Corte, in caso di misure cautelari reali, l’omesso esame di punti della decisione si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., solo nel caso in cui si tratti di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento di sequestro (Sez. 3, Sentenza n. 28241 del 18/02/2015, Rv. 264011).
Col ricorso in scrutinio si assume, invece, innanzitutto, che la motivazione sia contraddittoria, illogica e carente pure a fronte della esaustività della stessa in relazione ai diversi punti trattati.
1.1. Innanzitutto, il provvedimento impugnato, a differenza di quanto si assume in ricorso, ha ben individuato la fattispecie ascritta all’indagato, indicandone anche i connotati fattuali che consentono la sussunzione nelle ipotesi di reato – 474 e 648 cod. pen. – astrattamente previste, e ha altresì indicato le ragioni probatorie che avevano legittimato la disposizione del vincolo reale.
Il decreto di sequestro, a sua volta, come peraltro spiegato nel provvedimento impugnato, non era affatto carente in punto di indicazione delle esigenze probatorie e dei beni da sequestrare ed aveva anche indicato il titolo di reato e la condotta ascritta all’indagato – che ha in ipotesi investigativa detenuto per la vendita magliette recanti il logo di RAGIONE_SOCIALE contraffatto (come peraltro ammesso dallo stesso indagato) concludendo che ciò fosse sufficiente per ritenere necessario ai fini di indagini l’atto, trattandosi, all’evidenza, di procedere agli opportuni approfondimenti investigativi in ordine a quanto prima facie risultava in ordine alla contraffazione del logo.
In particolare, il Tribunale, premesso che la difesa aveva chiesto l’annullamento della misura cautelare per mancanza del fumus commissi delicti (assumendo che le magliette risulterebbero così macroscopicamente diverse da quelle prodotte dal merchandising della Società sportiva Calcio Napoli da non essere effettivamente in grado di ingenerare confusione negli acquirenti, costituendo esse piuttosto prodotti nuovi senza potersi considerare frutto della contraffazione di quelli originali), ha, invece, ritenuto sussistente il fumus della violazione contestata, rilevando che le magliette sequestrate presentano colori analoghi a quelli sociali della SSC Napoli, nonché effigi o scritte che differiscono minimamente dai marchi degli sponsor ufficiali della medesima società (così dando conto di avere avuto piena cognizione di causa al riguardo). Si tratta di indici fattuali – osserva il Tribunale – in grado di rivelare profili di contraffazione o alterazione nei beni sequestrati (come descritti anche nel provvedimento di sequestro oggetto di convalida ed annotazione di P.G.).
Non si è, per altro verso, mancato di evidenziare nel provvedimento impugnato che non spetta al Tribunale del riesame, esulando dai limiti del procedimento
cautelare, stabilire il livello della capacità imitativa di un marchio, se si sia in presenza di un falso punibile o grossolano, se sussista un pericolo di confusione per l’acquirente, osservando come tali aspetti ineriscono a valutazioni proprie del giudizio di cognizione ed afferiscono piuttosto alla prova del reato contestato.
Quanto alle finalità probatorie perseguite in concreto rispetto all’accertamento dei fatti, ha poi osservato il Tribunale come il Pubblico ministero, da un lato, aveva rinviato alla documentazione relativa al sequestro effettuato dai carabinieri (conosciuta dall’indagato in quanto da lui sottoscritta e, altresì, allegata al decreto), e, dall’altro, sebbene con un modello precompilato di per sé non incompatibile con l’onere motivazionale richiesto, avesse compiutamente giustificato il vincolo di indisponibilità impresso sui beni, nella misura in cui, procedendo per i reati di cui agli articoli 648474 cod. pen., espressamente ricompresi e richiamati, si tratta del corpo del reato, dovendo accertarsi, anche in fase di giudizio, le modalità della contraffazione dei capi di abbigliamento e la loro confondibilità rispetto ai prodotti originali.
Ha quindi concluso il provvedimento impugnato che risultano rispettati i requisiti motivazionali richiesti e che devono essere sicuramente ravvisate le esigenze probatorie che giustificano il mantenimento del vincolo reale sulla merce caduta in sequestro, in quanto necessario al fine di accertare le modalità di contraffazione delle maglie e la loro confondibilità con quelle originali.
1.2. Il ricorrente, nel formulare i motivi in scrutinio nei termini sopra indicati, ha finito quindi col non confrontarsi né col decreto di sequestro – il cui attento esame preliminare era propedeutico all’introduzione della censura afferente all’ordinanza del Tribunale – né con questa che ha esaurientemente dato conto delle ragioni della infondatezza delle censure mosse al riguardo già in sede di riesame; né si è confrontato coi principi affermati da questa Corte sui temi proposti.
Ed invero, deve rammentarsi che, in tema di sequestro probatorio, la motivazione del decreto deve contenere, a pena di nullità, la descrizione della condotta ipotizzata a carico dell’indagato, la sua riconduzione ad una fattispecie incriminatrice, la natura dei beni da vincolare e la loro relazione con tale ipotesi criminosa, non essendo esaustiva l’indicazione della sola norma violata (Sez. 6, n. 37639 del 13/03/2019 – dep. 11/09/2019, COGNOME, Rv. 27706101); che il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Rv. 273548 – 01).
Ciò posto, si deve concludere che nel caso di specie il Tribunale abbia fatto corretta applicazione di tali principi nel ritenere che il decreto del Pubblico Ministero contenga l’indicazione di una seppur minima ed embrionale condotta, oltre che delle
sottese finalità probatorie – che si evidenziano anche per la stessa tipologia del reato in accertamento, costituendo in definitiva i beni sequestrati lo stesso corpo del reato, in relazione al quale necessitano ulteriori accertamenti.
Peraltro, il fumus non è stato messo seriamente in discussione dal ricorrente, se non attraverso mere asserzioni che, a fronte delle caratteristiche che presentano i beni caduti in sequestro, ne rivendicano la novità per il solo fatto che si tratterebbe di soggetti – Maradona e gli altri simboli – oramai legati, più in generale, alla città di Napoli.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 20/3/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME