Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 13585 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 13585 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Agropoli il 19/08/1997
avverso l ‘ordinanza del 25/11/2024 del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le memorie di replica dell’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza emesso dal pubblico ministero presso il Tribunale di Salerno in data 30/10/2024.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’ indagato deducendo un unico motivo di annullamento, per violazione di legge e difetto di motivazione, motivo ampliato e approfondito con le memorie di replica.
Il ricorrente rileva, in primo luogo, che il decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza emesso il 30/10/2024 dal pubblico ministero indica unicamente gli articoli di legge violati, il tempo e il luogo della commissione del reato ma non contiene alcuna illustrazione della condotta addebitata all’indagato. Nella prospettazione difensiva, il Tribunale, anziché accogliere la censura dedotta con l ‘istanza di riesame , si sarebbe sostituito alla pubblica accusa, integrando la carenza di motivazione del decreto.
Deduce, inoltre, la difesa che il decreto di sequestro probatorio sarebbe stato irritualmente emesso, in quanto il pubblico ministero avrebbe dovuto, prima, effettuare una ispezione di tutti i dispositivi nel contraddittorio tra le parti con formazione di copia forense e, solo successivamente, avrebbe potuto procedere al sequestro della documentazione e della corrispondenza di interesse per le indagini.
Richiama, infine, la pronuncia del 4 ottobre 2024 della Grande Camera della Corte di Giustizia dell’ Unione Europea nell’ambito della procedura C-548/21, che ha osservato che le limitazioni dei diritti fondamentali in materia di vita privata e familiare e di protezione dei dati personali devono rispettare il principio di proporzionalità e possono essere apportate solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a obiettiv i di interesse generale riconosciuti dall’Unione. Secondo la Corte, le disposizioni della Direttiva 2016/680/UE ostano a una normativa nazionale che autorizza ad accedere a dati contenuti in un telefono cellulare senza l’autorizzazione da parte di un giudi ce o di un organo amministrativo indipendente, tale non potendo essere qualificato il pubblico ministero.
Il contrasto tra le disposizioni di diritto interno che consentono al pubblico ministero la materiale apprensione dei dati personali contenuti in dispositivi elettronici (art. 253 e ss.) e il diritto europeo (Direttiva 2016/680/UE come interpretata dalla Corte di Giustizia, Grande Camera, con sentenza del 4 ottobre 2024) avrebbe imposto la disapplicazione delle prime.
Nella memoria di replica il difensore contesta la necessità di procedere al sequestro, in quanto talune procedure amministrative di cui si assume essere stata turbata la regolarità si sono concluse da tempo mentre ad altre il ricorrente è estraneo.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e il difensore hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Dall’ordinanza impugnata emerge che NOME COGNOME è sottoposto a indagini per i reati di cui agli artt. 110, 353 e 353bis cod. pen. in relazione a tre gare di appalto, puntualmente descritte nel decreto di perquisizione, ispezione e sequestro del 11/10/2024.
Tale decreto, oltre alla compiuta descrizione delle condotte ascritte alle persone sottoposte a indagini, indicava le fonti di prova (ordinanza cautelare emessa nel proc. pen. 800/2023 il 30/09/2024 e atti a sostegno della stessa; attività del Nucleo di polizia economico-finanziario della guardia di finanza di Salerno tra cui, da ultimo, la nota in data 08/10/2024) e disponeva la perquisizione personale e locale nonché l’ispezione informatica da effettuare, ove possibile, sul posto, dei sistemi informatici degli indagati, «operando in contraddittorio con le parti, al fine di accedere ai dati ivi presenti », con il conseguente sequestro «di tutti i personal computers, strumenti informatici, supporti informatici, telefoni cellulari rinvenuti nella disponibilità, al fine di compiere gli ulteriori accertamenti, anche tecnici e informatici, idonei a stabilirne la provenienza ed acquisirne il contenuto in relazione ai fatti di cui al procedimento».
Contestu almente all’esecuzione del decreto di perquisiz ione e sequestro, in data 15/10/2024, è stata disposta una ispezione informatica dei supporti sequestrati al ricorrente e segnatamente di un telefono cellulare e di un Ipad, nonché di 42 files acquisiti dal computer a lui in uso presso il luogo di lavoro, estratti attraverso parole chiave, ispezione che non aveva potuto essere effettuata sul posto.
Con successivo decreto del 30/10/2024, impugnato innanzi al Tribunale per il riesame, il pubblico ministero, richiamato il precedente decreto, dato atto di aver comunicato al difensore che il giorno 05/11/2024 avrebbe nominato un consulente tecnico per l’estrazione di copia forense dei dati contenuti nei supporti informatici sequestrati, ha disposto il sequestro solo di quelli utili e rilevanti ai fini delle indagini, con conseguente restituzione, all’esito, di tutti i supporti informatici e di copia forense dei dati, una volta estrapolati quelli ritenuti utili.
Con motivazione logica e immune da vizi il Tribunale per il riesame, nel provvedimento impugnato, ha ritenuto che il decreto di perquisizione, ispezione e
sequestro del 11/10/2024 e il decreto di ispezione informatica del 15/10/2024 costituiscano la premessa logica di quello impugnato, che al secondo rinvia. In sostanza, secondo la adeguata valutazione del Tribunale, i decreti, ritualmente portati a conoscenza della parte, vanno letti congiuntamente; per questo è stata ritenuta infondata la doglianza difensiva secondo cui la condotta ascritta al ricorrente non sarebbe compiutamente descritta. Il primo decreto, infatti, come sopra detto, descrive compiutamente l’imputazione provvisoria, la condotta del ricorrente e richiama le fonti di prova.
Va rilevato a tale riguardo, per il riferime nto all’insussistenza del fumus commissi delicti contenuto nella memoria di replica, che il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova del reato per cui si procede, per cui il Tribunale per il riesame, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità di tale reato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 278542 – 01).
Infondata è anche la censura relativa alla irritualità del procedimento seguito dal pubblico ministero, in quanto, come rilevato dal Tribunale per il riesame, sono state correttamente e motivatamente disposte la perquisizione, l’ispezione informatica e il sequestro dei dispositivi informatici per impedire la dispersione delle prove da ricercare (decreti del 10/10/2024 e del 15/20/2024); quindi, con il decreto del 31/10/2024, il pubblico ministero ha limitato il sequestro ai soli dati di rilievo ai fini delle indagini, emergenti dall’analisi della copia forense.
La richiesta di disapplicazione della normativa interna in materia di sequestro probatorio per contrasto con la Direttiva 2016/680, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Camera, con sentenza del 4 ottobre 2024, C-548/21, è infondata.
La Direttiva 2016/680 prevede «norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica».
A tale Direttiva è stata data attuazione n ell’ordinamento interno con il d. lgs. 18 maggio 2018, n. 51, il cui contenuto, sostanzialmente, ne riproduce le previsioni.
Né l’atto dell’Unione né la normativa interna si riferiscono espressamente all ‘ attività di raccolta della prova nel processo penale, che rimangono disciplinate dalle regole generali in materia di ispezione, perquisizione e sequestro.
La Corte di Giustizia, con la sentenza sopra indicata, rispondendo a una questione pregiudiziale posta dall’autorità giudiziaria austriaca che chiedeva se esistano e quali siano le condizioni poste dalla normativa dell’Unione Europea, al fine della tutela dei diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali (artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), perché la polizia possa accedere per finalità di indagine penale ai dati conservati in un telefono cellulare, ha esteso le disposizioni della Direttiva 2016/680 al trattamento dei dati personali conseguenti al sequestro.
La Corte ha precisato che l ‘art . 3, punto 2, della Direttiva definisce la nozione di «trattamento» come comprendente «qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come (…) l’estrazione, la consultazione» o ancora la «diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione».
Il successivo art. 4 stabilisce che «Gli Stati membri dispongono che i dati personali siano: a) trattati in modo lecito e corretto; b) raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime e trattati in modo non incompatibile con tali finalità; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati».
Secondo la C orte, il legislatore dell’Unione ha inteso attribuire una portata ampia alla nozione di «trattamento», nel cui ambito rientra anche «un tentativo di accesso ai dati contenuti in un telefono cellulare, da parte delle autorità di polizia ai fini di un’indagine in materia penale» . «Infatti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, gli Stati membri dispongono che i dati personali siano raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime e trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Quest’ultima disposizione sancisce il principio di limitazione delle finalità . Orbene, l’effettività di tale principio esige necessariamente che la finalità della raccolta sia determinata sin dalla fase in cui le autorità competenti tentano di accedere a dati personali, poiché un siffatto tentativo, qualora si riveli proficuo, è tale da consentire a tali autorità, in particolare, di raccogliere, estrarre o consultare immediatamente i dati in questione» (p. 73).
Ebbene la Direttiva 2016/680, prosegue la Corte, consente il trattamento dei dati, inteso nel senso sopra indicato, nell ‘ ambito di un ‘ indagine diretta alla
repressione di un reato, a condizione che, in primo luogo, la limitazione dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale che esso necessariamente implica sia ‘necessaria’ -e «tale requisito non è soddisfatto quando l’obiettivo di interesse generale perseguito sia ragionevolmente conseguibile in modo altrettanto efficace con altri mezzi, meno pregiudizievoli» (p. 87).
In secondo luogo, la limitazione suddetta deve essere prevista dalla legge, requisito che implica che «la base giuridica che autorizza una simile limitazione ne definisca la portata in modo sufficientemente chiaro e preciso» e, infine, deve rispettare il criterio di proporzionalità, insito nella previsione di cui all’art. 4, lett. c), sopra riportato che richiede il rispetto, da parte degli Stati membri, del principio di «minimizzazione dei dati», che di quel criterio costituisce espressione (p. 79).
Al fine di garantire che i presupposti per il trattamento ai dati siano rispettati è necessario che l’accesso « sia subordinato a un controllo preventivo effettuato da un giudice o da un organo amministrativo indipendente » (p. 102).
Tale controllo deve intervenire prima di qualsiasi tentativo di accesso ai dati, salvi i casi di urgenza, in cui deve intervenire in tempi brevi.
In sostanza, quindi, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il trattamento di dati personali, inteso in senso ampio, debba essere apprezzato da un giudice o da un organo amministrativo indipendente.
La difesa deduce che l’art. 4 della Direttiva, come interpretato alla Corte, è in contrasto con la normativa interna che attribuisce, nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero il potere di sequestrare dispositivi informatici (art. 253 e ss).
5.1.Questa Corte, in un caso in cui il ricorrente deduceva l ‘in compatibilità della normativa interna con i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia con sentenza del 4 ottobre 2024, ha ritenuto che il pubblico ministero sia qualificabile come organo amministrativo indipendente, in quanto «autorità giudiziaria che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell’indagato» (Sez. 5, 28/01/2025, n. 8376, COGNOME, non mass.).
5.2. Reputa il Collegio che tale lettura non sia condivisibile.
La Corte di giustizia ha preso posizione sull ‘ argomento quando è si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58/CE, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE del 25 novembre 2009. In quell’occasione il quesito sottoposto alla Corte era se tale disposizione dovesse essere interpretata
nel senso che può considerarsi come un’autorità amministrativa indipendente il pubblico ministero.
La Corte ha risposto negativamente, rilevando che il requisito di indipendenza che l’autorità incaricata di esercitare il controllo preventivo deve soddisfare «impone che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l’accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale al riparo da qualsiasi influenza esterna. In particolare, in ambito penale, il requisito di indipendenza implica che l’autorità incaricata di tale controllo preventivo, da un lato, non sia coinvolta nella conduzione dell’indagine penale di cui trattasi e, dall’altro, abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale. Ciò non si verifica nel caso di un pubblico ministero che dirige il procedimento di indagine ed esercita, se del caso, l’azione penale. Infatti, il pubblico ministero non ha il compito di dirimere in piena indipendenza una controversia, bensì quello di sottoporla, se del caso, al giudice competente, in quanto parte nel processo che esercita l’azione penale » (CGUE, 2 marzo 2021, C-746/18, Prokuratuur; p. 54-57).
Si deve, quindi, concludere nel senso che l’accesso ai dati contenuti in un dispositivo informatico a fini di indagine penale richiede il controllo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente, che -secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia -devono essere terzi rispetto all’organo che richiede l’accesso. Ne consegue che tale funzione di controllo non può essere esercitata dal pubblico ministero, per la sua natura di parte processuale, a prescindere dal suo statuto di autonomia.
Ciò premesso, e venendo al caso di specie, va rilevato che il trattamento dei dati è stato disposto con decreto del pubblico ministero.
Occorre premettere che, secondo la sentenza della Corte di Giustizia 20 aprile 2024 C-670/22, riferita al caso dell ‘acquisizione di prove dall’estero (vicenda ‘Encrochat’) , è escluso che una regola di divieto probatorio possa derivare direttamente dalle disposizioni dell’Unione ( «Dall’altro, allo stato attuale del diritto dell’Unione, spetta, in linea di principio, unicamente al diritto nazionale determinare le norme relative all’ammissibilità e alla valutazione, nell’ambito di un procedimento penale, di informazioni e di elementi di prova che sono stati ottenuti con modalità contrarie al diritto dell’Unione – v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE e a. (C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU:C:2020:791, punto 222», p. 128). Si tratta di principio che, mutatis mutandis , è riferibile alla odierna richiesta alla difesa, che intenderebbe ottenere l ‘ inutilizzabilità delle prove raccolte dal pubblico ministero senza il provvedimento del giudice (tale è il senso della sua richiesta di ‘disapplicazione’ delle norme
codicistiche che attribuiscono al pubblico ministero il potere di sequestro probatorio in fase di indagini).
Tuttavia, la sanzione di inutilizzabilità consegue unicamente alla violazione di uno specifico divieto probatorio, che non è previsto per il caso in esame (art. 191 cod. proc. pen.).
Escluso, dunque, che possa essere invocata la categoria dell’inutilizzabilità, l a mancanza di potere del pubblico ministero, in conseguenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia de ll’art. 4 della Direttiva 2016/680, può comportare una nullità dell’atto , in applicazione dei principi affermati dalla stessa Corte sovranazionale che, con riferimento al mancato rispetto dei diritti di difesa (in quel caso per la prova raccolta all’estero con ordine europeo di indagine) ha affermato che si devono «espungere, nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalità, informazioni ed elementi di prova se tale persona non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su tali informazioni ed elementi di prova» (CGUE, 20 aprile 2024, C-670/22, p. 131). Si tratta, quindi, di un effetto sostanziale, che ricorre solo in caso di concreta impossibilità di difendersi.
Certamente, quindi, allo stato la normativa interna non risponde alla previsione della citata Direttiva -e della interpretazione che deve essere data anche alla norma di attuazione interna di cui all’art. 3 del d. lgs. 18 maggio 2018, n. 51-, che richiede che il giudice intervenga in via preventiva con una pronuncia di carattere autorizzatorio (nulla impedisce, ovviamente, che per il futuro, proprio al fine di adeguarsi a ll’interpretazione della Corte di Giustizia, il pubblico ministero richieda l’autorizzazione al Giudice per le indagini preliminari, ovvero, nei casi di urgenza, richieda una successiva convalida).
Nel caso concreto, però, i diritti della difesa ad avere una valutazione giurisdizionale non risultano pregiudicati poiché sul sequestro si è pronunciato il Tribunale per il riesame, adito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen .
Va rilevato che la richiesta di riesame, che viene attivata senza alcuna formalità e che impone la decisione in tempi strettissimi, innesta una procedura particolare, diversa da quella dei normali atti di impugnazione, in quanto il Tribunale deve apprezzare, sotto il profilo della legittimità e del merito, pur senza specifiche doglianze dell’interessato, la correttezza del provvedimento, la congruità e la comparazione degli interessi in gioco (esigenze probatorie e esigenze di tutela della riservatezza).
Perciò si deve ritenere che, nel caso di specie, il ricorrente non abbia subito alcuna lesione dei propri diritti fondamentali al rispetto della vita privata e dei dati personali, perché vi è stata una valutazione del giudice del riesame sul sequestro, effettuata con pieni poteri di cognizione e ciò ha garantito un esame effettivo e
indipendente circa la necessità, proporzionalità e minimizzazione dell’acquisizione dei dati.
Del resto, si consideri come, una volta intervenuta, come nel caso di specie è avvenuto, la valutazione del giudice terzo e non del soggetto, il pubblico ministero, interessato quale parte alla raccolta della prova, non residuano ambiti di interesse a un provvedimento di annullamento.
Difatti, il sistema non prevede che un eventuale annullamento del provvedimento di sequestro, non intervenuto in seguito alla valutazione del merito della contestazione, comporti una preclusione alla sua immediata reiterazione. Salvo casi specifici (ipotesi della mancata effettuazione dei termini del l’ interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen. -art. 302 cod. proc. pen.- e della mancata trasmissione degli atti ai sensi articolo 309, comma 10, cod. proc. pen.), infatti, l’ annullamento dei provvedimenti sia personali che reali non determina alcuna preclusione o limite a una nuova immediata riemissione del provvedimento.
Il relativo motivo di ricorso, quindi, va respinto perché infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/04/2025