Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17686 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17686 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Agropoli il 19/08/1997
avverso la ordinanza del 23/01/2025 del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Salerno ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME indagato in relazione ai reati di cui ai capi a(art. 416 cod. pen.),b)(artt. 110, 353 cod. pen., c)(artt. 110, 353bis cod. pen.),d)(artt. 110, 353 cod. pen.), avverso il decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza emesso in data 3 dicembre 2024 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno.
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato deducendo violazione e inosservanza degli artt. 8, 125, comma 3, 253, 254, 270, 325 e vizio di assenza o apparenza della motivazione.
Il Tribunale ha pretermesso le argomentazioni difensive in merito alla sostanziale incompetenza per territorio della Autorità giudiziaria adita, all’inutilizzabilità del materiale captativo raccolto in seno ad altro procedimento penale, all’inutilizzabilità delle conversazioni e della corrispondenza per mancanza di preliminare attività ispettiva e per contrasto con orientamento giurisprudenziale europeo.
Quanto alla incompetenza per territorio si deduceva, in assenza di elementi individuativi del luogo di costituzione della associazione a delinquere, la rilevanza del più grave dei reati-fine sub b), commesso in data 11.04.2023 in Napoli. La risposta del Tribunale, che si è limitato a richiamare le disposizioni di cui agli artt. 54 e 54-bis cod. proc. pen., ha omesso di considerare la stessa competenza del Tribunale a statuire sulla odierna vicenda cautelare che ha evitato la verifica della legittimità dell’atto impugnato, rispetto al quale si deve ordinare la trasmissione degli atti sollecitando l’applicazione del rimedio previsto dagli artt. 54 e 54-bis cod. proc. pen. in favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
Quanto alla inutilizzabilità delle intercettazioni poste a base del decreto impugnato, trattandosi di intercettazioni compiute in altri procedimenti (n. 7535/22 RGNR e n. 800/23 RGNR) non connessi e iscritti precedentemente al 10.10.2023, rispetto ad una iscrizione per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. avvenuta soltanto in data 3.12.2024, il Tribunale ha rigettato l’eccezione rilevando l’utilizzo delle intercettazioni non come elementi di prova a carico dell’indagato ma come notitia criminis sulla base della quale avviare le indagini. In tal modo si è espressa in modo del tutto sganciato dalla realtà endo-procedimentale e in contraddizione rispetto al materiale “probatorio” raccolto, che individuava la notitia criminis a carico del ricorrente nella inutilizzabile – per quanto appresso si dirà acquisizione di una schermata della cd. “chat di gruppo”, mentre i risultati captativi erano destinati proprio a colorare la “chat di gruppo” in chiave probatoria.
– Quanto al fumus commissi delicti, è stata invocata la censura in merito all’originario decreto di sequestro probatorio perché a fondare il fumus commissi delicti vi erano dialoghi appresi in chat whatsapp e scambi di messaggistica, da ritenersi corrispondenza, non accompagnati da alcun sequestro probatorio nell’ambito del procedimento penale n. 800/23 RGNR dalla quale veniva appresa. Si deduceva l’irritualità non solo del decreto impugnato ma anche dei precedenti decreti di sequestro probatorio sui medesimi dispositivi in quanto essi ponevano in essere un’illogica apprensione della documentazione e della corrispondenza ancor prima di comprendere se effettivamente i dispositivi sequestrati, e quindi il loro contenuto, avessero una qualche minima relazione con i reati per i quali si procede, senza peraltro essersi proceduto – all’atto della emissione del presente decreto – né alla copia forense né all’analisi della stessa, onde rinvenirvi corrispondenza tra gli indagati, così designando la natura meramente esplorativa del provvedimento di sequestro impugnato, tale da escludere il diritto al contraddittorio, all’informazione all’indagato dei fatti per i quali si procede e alla tutela della proprietà privata, richiamandosi l’orientamento di legittimità in relazione ai presupposti di pertinenzialità della cosa soggetta a vincolo rispetto alla necessaria descrizione della condotta incriminata.
Si richiama, inoltre, la sentenza resa dalla Grande Camera della Corte di giustizia in data 4.10.2024 nella causa C-548/21 in cui si è affermato che le disposizioni della direttiva 2016/680, lette alla luce della Carta, ostano a una normativa nazionale che autorizza le autorità competenti ad accedere a dati contenuti in un telefono cellulare senza informare l’interessato dei motivi su cui si fonda l’autorizzazione da parte di un giudice o di un organo amministrativo indipendente ad a accedere a tali dati, a partire dal momento in cui la comunicazione di tale informazione non rischia più di compromettere i compiti spettanti a tali autorità. In particolare, la Corte di giustizia ha escluso che pubblico ministero sia individuabile come “autorità giudiziaria”, ossia come organo terzo e imparziale, cosicché si chiedeva dichiararsi l’inutilizzabilità delle conversazioni ritenute corrispondenza.
Pertanto, alla luce dei principi di diritto elaborato dalla giurisprudenza di legittimità interna e sovranazionale, il decreto di sequestro impugnato appariva del tutto censurabile in ragione dell’assenza di specifiche indicazioni sul fumus commissi delicti, sull’apparenza della motivazione e, più in generale, sull’inopportunità che la Pubblica Accusa procedesse ad imporre il sequestro probatorio senza un preventivo controllo da parte di una A.G. terza e imparziale, così designandosi l’inutilizzabilità delle conversazioni ritenute corrispondenza.
Il rinvio da parte del Tribunale a quanto già detto in sede di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio del 30.10.2024, pretermette le argomentazioni
difensive in merito alla sostanziale indeterminatezza dei presunti provvisori capi di imputazione, elevati a carico del ricorrente, incorrendo un una lacunosa e apparente motivazione sulla presunta sussistenza del fumus commissi delicti, sulla deviazione esecutiva del sequestro probatorio dei dispositivi informatici (disposto ab origine) e sulla rilevanza della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4.10.2024.
I passaggi argomentativi rinvenibili a pg. 2-3 del provvedimento impugnato non possono essere in alcun modo valorizzati non trovando corrispondenza nell’originario decreto di sequestro probatorio e di corrispondenza che è muto quanto alla contestazione delle condotte e degli eventi, cosicché tali passaggi sono espressione di una non consentita operazione di “recupero” da parte del Tribunale, mancando – nell’odierna procedura cautelare reale – indicazioni concernenti le circostanze fattuali in virtù delle quali sarebbe possibile attribuire all’odierno ricorrente la presunta condotta criminosa e, più in generale, ipotizzare l’effettiva consumazione delle fattispecie delittuose contestate al medesimo.
Né può dirsi sostanziata la motivazione in ordine alle doglianze difensive dal riferimento alla futura attività investigativa riguardante in conferimento dell’incarico tecnico per l’acquisizione della copia forense, rimanendo l’assenza del previo accertamento del nesso di pertinenzialità dei beni appresi.
Alle doglianze difensive il Tribunale ha preferito rispondere con un sostanziale non liquet anziché spingersi verso la più corretta disapplicazione della normativa nazionale di riferimento in contrasto con il diritto europeo.
Il Procuratore generale ha depositato memoria a sostegno della inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto.
Il decreto di sequestro oggetto del presente procedimento riguarda l’estensione dei sequestri di cellulari e supporti informatici già effettuati a seguito del precedente decreto di ispezione, perquisizione e sequestro in data 15.10.2024 e del loro contenuto in data 30.10.2024.
Quanto alla incompetenza per territorio, il motivo è manifestamente infondato.
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Il Tribunale ha correttamente escluso rilievo alla eccezione difensiva t trattandosi di provvedimento emesso dal Pubblico Ministero.
Costituisce jus receptum che in tema di sequestro probatorio i non può farsi valere l’incompetenza del pubblico ministero che lo ha disposto o convalidato, in quanto questa è disciplinata solo per l’organo giurisdizionale. Nella fase delle indagini preliminari la competenza costituisce un mero criterio di organizzazione di lavoro, che assume rilievo giuridico solo nei rapporti tra gli uffici del pubblico ministero (Sez. 3, n. 2791 del 29/10/1998, COGNOME, Rv. 212499); ancora, in tema di sequestro probatorio, non rileva l’incompetenza del pubblico ministero in quanto la competenza dell’organo requirente in fase di indagini preliminari costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro investigativo, che assume rilievo giuridico soltanto nei rapporti tra uffici del pubblico ministero e non infici la validità degli atti compiuti dal P.M. dichiarato “incompetente”, sicché nel caso in cui siano stati conclusi protocolli operativi tra procure, che possono costituire una forma di coordinamento investigativo ex art. 371 cod. proc. pen., non rilevano questioni di competenza, potendo il mancato coordinamento essere esclusivamente oggetto di avocazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello ex art. 372, comma primo-bis, cod. proc. pen.(Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018, COGNOME,Rv. 272536).
Manifestamente infondata ed eccentrica è la censura difensiva volta a contestare la competenza del Tribunale adito, posto l’oggetto del suo giudizio / costituito dal decreto emesso dal Pubblico Ministero presso lo stesso Tribunale e non avendo né ragione nè titolo lo stesso Tribunale a compulsare interlocuzioni tra gli uffici del Pubblico Ministero.
Quanto alla inutilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento il motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha rigettato la deduzione difensiva, basata sulla assenza di connessione ex art. 12 c.p.p. tra i reati oggetto dei distinti procedimenti, assumendo che le intercettazioni poste a base del presente procedimento, provenienti da distinti procedimenti, sono state utilizzate come notitia criminis sulla base delle quali avviare le indagini, in conformità all’orientamento di legittimità, espresso in analoga fattispecie, secondo il quale il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi attiene solo alla valutazione degli stessi come elementi di prova e non anche come notizia di reato ai fini dell’avvio di nuove indagini e dell’acquisizione di ulterio fonti probatorie (Sez. 2, n. 19699 del 23/04/2010, COGNOME, Rv. 247104 – 01); ancora, il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, attiene solo alla valutazione di tali risultati come elementi di prova, ma non preclude la possibilità
di dedurre dagli stessi notizie di nuovi reati, quale punto di partenza di nuove indagini(Sez. 2, n. 17759 del 13/12/2016, dep. 2017, Cante, Rv. 270219).
Quanto alla legittima apprensione della chat e della corrispondenza informatica posta base del precedente decreto di sequestro la censura difensiva per l’effetto estensivo prodotto con l’attuale decreto – è infondata.
Occorre premettere che, secondo la sentenza della Corte di Giustizia 20 aprile 2024 C-670/22, riferita al caso dell’acquisizione di prove dall’estero (vicenda “RAGIONE_SOCIALE“), è escluso che una regola di divieto probatorio possa derivare direttamente dalle disposizioni dell’Unione («Dall’altro, allo stato attuale del diritto dell’Unione, spetta, in linea di principio, unicamente al diritto nazionale determinare le norme relative all’ammissibilità e alla valutazione, nell’ambito di un procedimento penale, di informazioni e di elementi di prova che sono stati ottenuti con modalità contrarie al diritto dell’Unione – v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE e a. (C-511/18, C-512/18 e C-520/18, EU:C:2020:791, punto 222», p. 128).
In ogni caso, da un lato, la decisione della Corte di giustizia del 4.10.2024 si fonda sulla direttiva 2016/680, non self-executing, che esprime indirizzi rivolti al legislatore; dall’altro, il principio affermato dalla Corte di giustizia riguard l’accesso ai dati personali conservati in un telefono cellulare e non involge la previa apprensione dell’hardware e dei dati informatici in esso contenuti, oggetto dell’impugnato provvedimento, pertanto legittimamente disposto dal Pubblico Ministero, esulando da esso il successivo accesso ai dati, che risulta essere stato previsto, in sede di incidente probatorio, dinanzi al giudice e in contraddittorio tra le parti, così garantendo il rispetto dei parametri indicati dalla Corte di giustizia.
Quanto alla indeterminatezza del fumus commissi delicti, la censura si palesa come genericamente proposta secondo una inammissibile prospettazione in fatto. A tal riguardo, la ordinanza risponde del tutto correttamente, con valutazioni in fatto incensurabili in sede di legittimità, a pg. 20 e ss., rilevando che, trattandosi di integrazione dei precedenti decreti volta ad estendere l’attività di ricerca anche per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen., in relazione alla relati notitia criminis “il P.M. ha fornito…sufficienti riscontri”, dando conto – nei limiti richiesti dal fumus commissi delicti del coinvolgimento del ricorrente nelle varie vicende, a partire da quella oggetto di misura cautelare personale anche a suo carico di cui al p.p. n. 800/2023/21, con l’accusa di aver pilotato due gare di appalto del Comune di Capaccio in favore della società RAGIONE_SOCIALE; l’emersione della sua posizione di portavoce del sindaco COGNOME partecipando alla soddisfazione per / la aggiudicazione delle gare da parte di imprese compiacenti o verificando che alle stesse siano stati subappaltati i lavori delle gare pubbliche vinte da altre; come
pure il sistematico coinvolgimento di altri soggetti operanti all’interno del Comune di Capaccio o della Provincia di Salerno o della Regione Campania in vista dell’affidamento dell’appalto ovvero dei subappalti connessi ad imprese compiacenti, che costituiscono sufficiente notitia criminis che legittima il PM ad investigare sui beni già vincolati, anche in relazione all’ipotesi associativa oggetto di nuova contestazione (v. pg. 22 della ordinanza impugnata); si richiamano, ancora, le conversazioni e le chat riportate nell’informativa conclusiva dell’indagine denominata “Fiat Lux” t dalle quali emerge la figura del COGNOME e il suo ruolo di braccio destro del Sindaco COGNOME, nella gestione “personalizzata” e intrusiva delle gare di appalto indette dal Comune di Capaccio, anche nel periodo in cui questi viene nominato Sindaco (recte Presidente) della Provincia di Salerno ( v. pg. 22 e ss., ibidem).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/04/2025.