Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22667 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22667 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME CONCETTA nata il DATA_NASCITA a CATANIA
avverso l’ordinanza in data 13/02/2024 del TRIBUNALE DI PISA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME, per il tramite del proprio difensore, impugna l’ordinanza in data 13/02/2024 del Tribunale di Pisa, che ha rigettato l’istanza di riesame proposta avverso il decreto in data 22/01/2024 del G.i p. del Tribunale di Pisa, che aveva disposto il sequestro preventivo delle somme di denaro giacenti nei conti correnti intestati all’indagata, in relazione al reato di appropriazione indebita.
Deduce:
Violazione di legge per omessa valutazione del fumus commissi delicti.
Il vizio di omessa motivazione viene denunciato affermandosi che il tribunale non ha dato risposta ai rilievi difensivi esposti per sostenere l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di furto ritenuto dal G.i.p., né di quello di appropriazione indebita originariamente contestato.
Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 624, 646 e 640 cod. pen.. Illogicità della motivazione nell’avere ritenuto implicitamente sussistente alternativamente il fumus di fattispecie di reato tra loro incompatibili.
Il ricorrente premette che con l’istanza di riesame aveva sostenuto l’insussistenza del fumus sia del reato di appropriazione indebita (in relazione al quale era stato richiesto il sequestro), sia del reato di furto ritenuto dal G.i.p..
Secondo il ricorrente -invece- dovrebbe ritenersi configurato il reato di truffa. Sostiene, dunque, che il tribunale ha omesso di motivare sulla sussistenza del fumus di appropriazione indebita o di furto, così violando l’art. 321 cod. proc. pen.. Aggiunge che la motivazione è illogica nella parte in cui esclude la configurabilità di una truffa assumendo che la falsità sia un post facta che aggrava le condotte di furto/appropriazione indebita già realizzate.
Secondo il ricorrente è illogico che il tribunale faccia riferimento alternativamente a ipotesi di reato tra di loro incompatibili, giacché la configurazione dell’uno esclude la configurabilità dell’altro.
Aggiunge che l’ordinanza ha violato:
l’art. 646 cod. pen., perché manca l’elemento del ‘interversione del possesso. Tanto perché l’effettuazione di bonifici da parte di un soggetto terzo rispetto al soggetto agente non può essere ricondotto al paradigma dell’appropriazione indebita, non potendosi ritenere che le somme siano nella disponibilità di quest’ultimo prima dell’effettuazione del bonifico;
l’art. 624 cod. pen., perché manca l’elemento sottrattivo, visto che l’effettuazione del bonifico risulta attività riconducibile al titolare del conto corrente, del quale risulta necessaria la cooperazione, individuabile nell’effettuazione dell’operazione o nella consegna delle password e degli strumenti necessari all’effettuazione dell’operazione non autorizzata;
l’art. 640 cod. pen., perché non è stata attribuita alla falsificazione il connotato degli artifici e/o raggiri, là dove, invece, tale condotta configura proprio l’elemento costitutivo della truffa.
Violazione e omessa motivazione per la mancata individuazione delle ragioni del periculum in mora.
Con l’ultimo motivo d’impugnazione viene denunciata l’apparenza della motivazione, in quanto i giudici descrivono gli elementi costituitivi della truffa -pur ritenendo configurato un diverso reato- senza indicare le ragioni giustificatrici dell’apprensione anticipata del denaro.
Si aggiunge che l’ordinanza non si confronta con gli elementi esposti dalla difesa, che aveva documentato che l’indagata è proprietaria di un bene immobile, che percepisce uno stipendio e che le somme sequestrate si trovano ancora giacenti sui suoi conti correnti, così che non sussisteva il pericolo di dispersione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Con riguardo al requisito del fumus commissi delicti, i giudici del riesame hanno rilevato che la ricorrente non contesta il fatto storico, ma solo la sua qualificazione giuridica. Osservano, dunque, che «una volta ritenuto che tale fatto integri una ipotesi di reato per cui è ammissibile il sequestro preventivo, di conseguenza, risulta integrato il fumus commissi delicti che legittima la misura cautelare, a prescindere dal nomen iuris appropriazione indebita o furto, atteso che il fatto storico risulta il medesimo e per entrambe le fattispecie può trovare applicazione il sequestro preventivo in oggetto».
Da tale brano di motivazione si evince che il tribunale ha sostanzialmente ritenuto che nel caso in esame il fatto storico potesse essere alternativamente qualificato come furto ovvero come appropriazione indebita e che tale ipotizzabilità alternativa non provocasse alcun mutamento in ordine alla legittimità del sequestro, atteso che per entrambi i reati è consentito il sequestro preventivo.
Tale convincimento del tribunale (e il correlato costrutto accusatorio che vi è sotteso) è conforme ai principi di diritto affermati in via generale da questa Corte, che ha più volte spiegato che è legittima la contestazione di imputazioni alternative, sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi, posto che l’accusato in tal guisa è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale e, quindi, di dispiegare le proprie difese nel modo più ampio possibile (cfr. Sez. 3 – , Sentenza n. 46880 del 11/07/2023, COGNOME, Rv. 285378 – 01; Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007 dep. 2008, COGNOME, Rv. 238636; Sez. 4, n. 10109 del 22/01/2007, COGNOME, Rv. 01- 236107; Sez. 5, n. 38245 del 18/03/2004, COGNOME, Rv. 230373).
Tale principio, dettato per il decreto che dispone il giudizio, deve ritenersi ancor di più valido nella fase delle indagini preliminari, nel cui ambito la formulazione dell’imputazione è per sua natura provvisoria e fluida, consolidandosi soltanto al momento dell’esercizio dell’azione penale.
E che non vi sia stata alcuna violazione del diritto di difesa è dimostrato dal fatto che la ricorrente si sta difendendo in relazione a entrambe le ipotesi di reato, così emergendo come il suo diritto di difesa -in realtà- ne esca rafforzato e non vulnerato, in quanto sin dalla fase procedimentale si trova nelle condizioni di dispiegare tutte le sue obiezioni in relazione alla ricostruzione del fatto e alla sua corretta qualificazione giuridica.
Da qui la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo secondo cui sarebbe illogica la contestazione alternativa di due ipotesi di reato tra di loro incompatibili.
Peraltro, la sussistenza degli elementi costitutivi di tali reati emerge -sia pure al livello del fumusdalla lettura della contestazione del fatto storico (non contestato dall’indagata) dal quale emerge che l’indagata distraeva i denari altrui
,
verso i conti correnti o le carte pre-pagate a lei riconducibili.
Saranno i successivi approfondimenti investigativi a verificare l’eventuale infondatezza o fondatezza dell’ipotesi d’accusa e -in tale ultimo caso- se la distrazione delle somme sia avvenuta mediante spossessamento ovvero mediante interversione del possesso.
Ciò che rileva in questa fase è che non è dato ravvisare un consenso della vittima carpito mediante artifici e raggiri, così che -allo stato- risultano affatto mancanti gli elementi costitutivi della truffa, così come apoditticamente preconizzata dalla ricorrente.
Ne discende la manifesta infondatezza delle argomentazioni spese in relazione al requisito del fumus commissi delicti.
1.2. A eguale conclusione di inammissibilità si perviene in relazione alle contestazioni relative al periculum, in quanto manifestamente infondate e perché con esse si propongono questioni non consentite in sede di legitl:imità.
1.2.1. La manifesta infondatezza attiene alla denuncia di omessa motivazione quanto alle ragioni giustificatrici della tutela anticipatoria.
La sentenza delle Sezioni Unite c.d. Ellade ha spiegato che l’esigenza anticipatoria correlata alla confisca è «rapportata appunto alla ratto della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanific:ati dal trascorrere del tempo, di cui non si può non cogliere il parallelismo rispetto al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen. che, analogamente, e con riferimento, tuttavia, alla necessità di garantire l’effettività delle statuizioni relative “pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato”, presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività di dette statuizioni, anch’esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono. E proprio in relazione al sequestro conservativo deve allora ricordarsi come queste Sezioni Unite abbiano chiarito, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sull’estensione del giudizio prognostico richiesto ai fini della valutazione di tale presupposto, che per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore, necessario solo a fronte di un patrimonio già di per sé adeguato (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito Rv.261118; in termini conformi, da ultimo, Sez. 2, n. 51576 del 04/12/2019, Cavacece, Rv.277813)».
Proprio il richiamo ai requisiti richiesti in relazione al sequestro conservativo
consente il riferimento ai principi pure fissati in quella materia quando oggetto dell’ablazione sia una somma di denaro, al cui riguardo è stato spiegato che «ricorre il periculum in mora, presupposto del sequestro conservativo, se il rischio di perdita delle garanzie del credito sia apprezzabile in relazione a concreti e specifici elementi riguardanti, da un lato, l’entità del credito e la natura del bene oggetto del sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non potesse il “periculum in mora” essere giustificato sulla sola considerazione che la cosa sequestrata si identificasse in un’ingente somma di denaro, per sua natura suscettibile di pericolo di dispersione)», (Sez. 6, Sentenza n. 20923 del 15/03/2012, Lombardi, Rv. 252865 – 01).
L’ordinanza impugnata ha assolto tale obbligo di motivazione in conformità ai principi ora enunciati, in quanto i giudici hanno ritenuto che il pericolo di perdita della garanzia discendesse dall’ingente somma di denaro costituente il profitto del reato (pari a euro 416.449,64), del tutto sproporzionato rispetto alle capacità reddituali dell’indagata (pari a euro 936,00 mensili per un contratto di lavoro a tempo determinato) e al valore dell’immobile di sua proprietà.
Da ciò la manifesta infondatezza della censura difensiva, atteso che dalla lettura del provvedimento impugnato emerge come i giudici abbiano puntualmente ed esaustivamente motivato sul periculum, considerando tutti gli elementi esposti dalla difesa.
1.2.2. Le ulteriori argomentazioni sviluppate con l’impugnazione quanto all’insussistenza del fatto, si risolvono in valutazioni di merito alternative a quelle dei giudici, il cui esame è precluso al giudice della legittimità, tanto più in relazione a procedimenti per cui è consentito denunciare il solo vizio di violazione di legge.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2024