Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12272 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12272 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VETTO il 25/05/1941
avverso l’ordinanza del 22/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
Nessun difensore è presente
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano – quale giudice del riesame – ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 1°/10/2024 dal GIP presso il Tribunale di Milano, con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto nei confronti dell’indagato NOME COGNOME e avente quale oggetto il denaro rinvenuto nella cassetta di sicurezza intestata a NOME COGNOME, figlia dell’appellante.
Il Tribunale ha osservato che la misura cautelare reale era stata adottata nei confronti del COGNOME in quanto imputato per i reati previsti dagli artt. 74 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, in funzione della confisca, in forma diretta e per equivalente, nonché ai sensi dell’art.240bis cod.pen. e che la stessa aveva a oggetto anche i saldi attivi di strumenti finanziari o altr disponibilità riconducibili all’indagato; ha quindi osservato che il sequestro era stato eseguito anche sul contenuto della predetta cassetta di sicurezza, intestata alla COGNOME e sulla quale il COGNOME aveva la delega a operare, al cu interno era stata rinvenuta una somma di C 99.200,00; somma in relazione alla quale la COGNOME aveva sostenuto l’appartenenza della stessa, di fatto, alla madre NOME COGNOME che l’avrebbe consegnata alla figlia a solo titolo di custodia; ha premesso che era stata presentata precedente istanza di restituzione da parte della COGNOME, già rigettata dal GIP; ha quindi osservato che era stata presentata nuova istanza restitutoria dalla COGNOME, rigettata dal GIP facendo rinvio alle considerazioni poste alla base del rigetto dell’istanza presentata per conto della Pontiggia.
Esaminando i motivi di gravame, il Tribunale ha ritenuto infondato quello attinente al difetto di motivazione, operato facendo rinvio al rigetto della precedente istanza proposta dalla COGNOME; e dando quindi implicitamente conto del perché il denaro non potesse essere ricondotto ai risparmi della COGNOME e del coniuge deceduto né ai lasciti da essi ricevuti, non essendo chiare le modalità di ricezione delle somme rinvenute nella cassetta.
Nel merito, il Collegio ha osservato che – negli anni 2020-2021, ovvero nel periodo di apertura del contratto di deposito della cassetta di sicurezza il COGNOME aveva condotta una rilevante attività di narcotraffico, maneggiando un’ingente quantità di contanti; mentre, viceversa, la madre del COGNOME non aveva, all’epoca, entrate che giustificassero la disponibilità della somma rinvenuta nella cassetta, risultando inverosimile la dedotta circostanza in ordine al suo versamento a titolo di anticipo del lascito testamentario da
parte della madre NOME fondata sull’esibizione di un testamento olografo redatto da quest’ultima.
Ha comunque rilevato che non risultava neppure che i genitori della COGNOME avessero avuto disponibilità sufficienti per tesaurizzare quasi € 100.000,00 e né risultavano le ragioni per cui tale somma fosse ivi custodita; anche evidenziando che la COGNOME aveva fatto ripetuti accessi alla cassetta, non spiegabili in un’ottica di affidamento della somma da parte della madre in funzione di mera custodia; ha quindi argomentato che tale quadro corroborasse invece la conclusione in ordine alla riferibilità effettiva dell somma in capo al COGNOME, tra l’altro considerando che la stessa era composta in pezzi da € 50,00, del tutto analoghi a quelli ripetutamente consegnati dall’indagato ai soggetti incaricati di riciclare i proventi dell’attivi spaccio; circostanze a fronte delle quali non appariva dirimente la mancata disponibilità, in capo al COGNOME, delle chiavi di accesso alla cassetta.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di (,) 5 impugnazione 01. quale ha dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b), ed e), cod.proc.pen., in relazione al combinatà 1 3C4 7 11 6ht. 321 cod.proc.pen., 240 cod.pen. e 192, comma 2, cod.proc.pen. sotto il profilo della carenza dei requisiti di pertinenzialità tra res e delitto, della carenza degli elementi dimostrativi della natura di profitto della somma sottoposta a sequestro, della carenza di motivazione in ordine al collegamento eziologico tra i beni sottoposti a sequestro e profitto del reato e in ordine alla riten disponibilità in capo all’indagato della cassetta di sicurezza.
Ha dedotto che il Tribunale non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi predetti, fondando la propria valutazione sui soli rapporti intercorrenti tra il COGNOME e la COGNOME, unica intestataria del rapporto bancar e in assenza di prova in ordine alla effettiva riferibilità dei beni all’indag ha dedotto che, dalla documentazione depositata, emergeva la disponibilità patrimoniale della famiglia COGNOME–COGNOME, in quanto erede universale di un’abitazione rivenduta a € 115.000,00 e di € 67.000,00 depositati su conti correnti e libretti postali; ha dedotto il carattere apparente della motivazio in punto (cy disponibilità della somma in capo al COGNOME e la mancanza di valutazione in ordine alla pertinenza di tale denaro rispetto all’attività ille dell’indagato; esponendo che la dedotta attività di riciclaggio ascritt all’indagato sarebbe avvenuta in date non coincidenti con gli accessi effettuati dalla madre alla cassetta di sicurezza; ha assunto altresì che no
,sus~lcun elemento effettivo idoneo a comprovare la disponibilità della somma in capo al delegato.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La difesa della ricorrente ha depositato memoria nella quale ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art.325, comma 1, cod.proc.pen., le ordinanze emesse dal Tribunale del riesame all’esito del procedimento regolato dall’art.324 cod.proc.pen. possono essere impugnate per cassazione unicamente per violazione di legge.
Sul punto, sulla base dell’interpretazione della Suprema Corte, il sintagma «violazione di legge» va inteso come riferito agli errores in iudicando ovvero agli errores in procedendo (art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.proc.pen.) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata.
PrecisaìidL che il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, Sentenza n. 18951 del 14/03/2017 n. 610, Napoli, Rv. 269656); non rientrando quindi nell’ambito dei vizi deducibili quello della illogicità manifesta (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, 226710).
Conseguendo da tale premessa, come logico corollario, che costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche – come nel caso di specie – l’affermata erronea interpretazione della documentazione allegata all’originaria istanza, la quale deve intendersi a tutti gli effetti rientrante nel vizio previsto dall’art.606, comma 1, lett. cod.proc.pen..
Così delimitato il thema decidendum, deve ritenersi esaminabile nella presente sede la sola deduzione inerente alla asserita assenza del nesso di pertinenzialità tra i beni sequestrati e l’attività criminale ascri all’indagato.
La deduzione è inammissibile.
Difatti, deve ricordarsi che costituisce principio consolidato quello in forza del quale, in tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l’assenza collegamento concorsuale con l’indagato (Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, Pica, Rv. 276700; Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286439 Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165).
In ogni caso, come risulta evidente dalla lettura del provvedimento impugnato, il sequestro dei beni è stato disposto anche per equivalente (in relazione agli artt. 73, comma 7bis e 74, comma 7bis, T.U. stup.) nonché in riferimento alla particolare ipotesi regolata dall’art.240bis cod.pen..
4. D’altra parte, in relazione al dato riferito alla effettiva disponibilità capo all’indagato delle somme sequestrate, questa Corte ha enunciato il principio – pure oggetto anche di letture difformi e maggiormente restrittive – per cui la delega a operare rilasciata dal titolare di un conto corrent all’imputato, anche se non caratterizzata da limitazioni, non è sufficiente ex se a dimostrare la piena disponibilità, da parte di quest’ultimo, delle somme depositate, occorrendo ulteriori elementi di fatto sui quali fondare il giudizio di ragionevole probabilità circa la libera utilizzabilità delle somme da parte del delegato (Sez. 2, n. 29692 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277021; Sez. 1, n. 19081 del 30/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284548).
Nel caso di specie, peraltro, l’omissione motivazionale denunciata dal ricorrente non sussiste, avendo il Tribunale fornito ampia argomentazione in ordine agli elementi idonei a ricondurre la somma di denaro presente sulla cassetta di sicurezza nella disponibilità del COGNOME; con argomentazioni non sindacabili sotto il profilo della logicità, data la limitatezza della cognizion consentita in sede di legittimità.
Sulla base di tali considerazioni, deve concludersi nel senso indicato. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25 febbraio 2025