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Sequestro preventivo terzo: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il sequestro preventivo di un macchinario di proprietà di una società, utilizzato dal suo legale rappresentante per commettere reati ambientali. La sentenza chiarisce i limiti dell’impugnazione per il cosiddetto ‘sequestro preventivo terzo’, specificando che la società non può considerarsi estranea al reato se il suo amministratore è l’indagato, venendo meno il requisito della buona fede.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Terzo: La Cassazione sui Beni Societari Usati per Reati

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: il sequestro preventivo terzo, ovvero la legittimità del sequestro di un bene appartenente a una società, ma utilizzato dal suo legale rappresentante per commettere un illecito penale. La decisione chiarisce i confini tra la responsabilità penale, che è personale, e le misure cautelari reali che possono colpire il patrimonio di un’entità giuridica formalmente estranea ai fatti.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un’attività di scavo e sbancamento abusiva in un’area boschiva sottoposta a vincolo paesaggistico. L’obiettivo era ampliare un parcheggio a servizio di una struttura ricettiva. Per questi lavori era stata utilizzata una pala gommata. A seguito delle indagini, veniva disposto il sequestro preventivo del macchinario.

La società proprietaria della pala gommata, attraverso il suo legale rappresentante (che era anche indagato per i reati ambientali e legato alla struttura ricettiva), presentava un’istanza di dissequestro, rigettata dal Tribunale. Contro questa decisione, il legale rappresentante proponeva ricorso in Cassazione, sia in proprio sia in qualità di rappresentante della società.

Il Ricorso e la questione del sequestro preventivo terzo

Il ricorrente sosteneva che il reato non poteva essergli attribuito, non essendo presente al momento dei fatti. Contestava inoltre la sussistenza del periculum in mora (il pericolo che la libera disponibilità del bene potesse aggravare le conseguenze del reato) e la possibilità di confiscare il mezzo, dato che la società proprietaria doveva considerarsi persona estranea al reato.

La questione centrale, quindi, riguardava la possibilità di applicare un sequestro preventivo a un bene di un terzo (la società) per un reato commesso da un’altra persona (il suo legale rappresentante). Il ricorso mirava a dimostrare che la società era in buona fede e non aveva tratto vantaggi dall’attività criminosa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, fornendo importanti chiarimenti.

1. Inammissibilità del ricorso personale: Il ricorso presentato dall’indagato a titolo personale è stato giudicato inammissibile perché egli non era il proprietario del mezzo meccanico. L’interesse a ottenere la restituzione del bene apparteneva unicamente alla società, non alla persona fisica. Inoltre, non avendo partecipato al precedente grado di giudizio a titolo personale, non aveva la legittimazione per ricorrere in Cassazione.

2. Inammissibilità del ricorso della società: Anche il ricorso presentato in qualità di legale rappresentante della società è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il terzo proprietario di un bene sequestrato non può contestare nel merito l’esistenza dei presupposti della misura cautelare (come il fumus commissi delicti), ma può solo dimostrare la propria titolarità sul bene e la sua totale estraneità al reato.

3. L’assenza di ‘buona fede’ della società: La Corte ha specificato che una società non può essere considerata ‘terzo estraneo’ quando il suo legale rappresentante è la stessa persona indagata per il reato commesso utilizzando il bene sociale. La circostanza che l’indagato sia l’amministratore della società proprietaria del veicolo costituisce un ‘indice palese del coinvolgimento’ della persona giuridica. Grava sul terzo, in questi casi, un onere probatorio specifico: dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria per ignorare incolpevolmente l’uso illecito del bene. In questo caso, tale prova era del tutto assente.

In sostanza, il legame organico tra l’indagato (amministratore) e la società (proprietaria del bene) impedisce di considerare quest’ultima come un soggetto terzo in buona fede, legittimando così il mantenimento del sequestro.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari reali. Quando un bene di una società viene utilizzato per commettere un reato dal suo stesso amministratore, la società difficilmente potrà essere considerata un ‘terzo estraneo’. La stretta relazione tra l’autore del reato e l’ente proprietario del bene crea una presunzione di coinvolgimento che giustifica il sequestro preventivo. Per ottenere il dissequestro, la società avrebbe dovuto fornire la prova rigorosa della propria buona fede e dell’adozione di tutte le cautele necessarie per prevenire l’uso illecito dei propri beni, un onere probatorio particolarmente difficile da assolvere in circostanze simili.

Può un soggetto non proprietario di un bene impugnare un provvedimento di rigetto di dissequestro?
No. Secondo la Corte, l’interesse concreto e attuale alla restituzione del bene in sequestro appartiene solo al proprietario. Pertanto, un indagato che non sia titolare del bene non ha la legittimazione per impugnare autonomamente un provvedimento che ne nega il dissequestro.

Cosa può contestare il terzo proprietario di un bene sottoposto a sequestro preventivo?
Secondo l’orientamento maggioritario, il terzo proprietario non può contestare l’esistenza dei presupposti del sequestro (la fondatezza dell’accusa o il pericolo di reiterazione), ma può unicamente dedurre la propria effettiva titolarità del bene e l’assenza di qualsiasi collegamento, anche a titolo di negligenza, con il reato commesso dall’indagato.

Quando una società proprietaria di un bene non è considerata ‘terzo estraneo al reato’ in caso di sequestro preventivo?
Una società non è considerata terzo estraneo quando il reato è commesso dal suo legale rappresentante utilizzando un bene sociale. Questa circostanza è un indice palese del coinvolgimento della persona giuridica. Per essere considerata estranea, la società deve provare di essere in buona fede e di aver esercitato la diligenza necessaria per ignorare incolpevolmente l’utilizzo illecito del bene, un onere che nel caso di specie non è stato assolto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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