Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34332 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34332 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA in Cina
avverso l ‘ordinanza del 22/04/2025 del Tribunale di Cagliari, sezione per il riesame visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il procedimento si è celebrato con contraddittorio scritto, senza la presenza RAGIONE_SOCIALE parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con le quali il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria scritta di replica alle conclusioni del Procuratore Generale con allegazioni documentali.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto emesso in data 29/03/2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari con il quale:
-era stato convalidato il sequestro preventivo in via d’urgenza RAGIONE_SOCIALE somme di euro 48.095,00 e 52.275,00, eseguito di iniziativa in data 22/03/2025 da ufficiali di polizia giudiziaria della RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del procedimento n.1918/2025 R.N.R. instaurato presso la Procura della Repubblica di RAGIONE_SOCIALE;
era stato contestualmente disposto il sequestro preventivo RAGIONE_SOCIALE somme medesime nei confronti degli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME, somme che erano state ritrovate, occultate in vario modo, in parte presso la sede della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e per altra parte presso l’abitazione degli indagati ; in particolare, per quanto qui rileva, erano rinvenuti euro 11.150,00 nella camera da letto occupata dall’odierno ricorrente e dalla moglie.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, in qualità di terzo interessato, articolando sei motivi che qui si illustrano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c od. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 125, 321 e 324 cod. proc. pen. per assenza, nella richiesta di convalida formulata dal Pubblico Ministero e nel decreto di sequestro preventivo, di un capo di incolpazione provvisoria elevato a carico degli indagati COGNOME COGNOME e NOME COGNOME essendo richiamata la sola rubrica della norma che si assume violata (art. 648bis cod. pen.), senza alcuna descrizione della fattispecie concreta nei suoi estremi essenziali di luogo, tempo ed azione e senza alcuna specificazione, neppure nella sua tipologia, del reato presupposto da cui deriverebbero, in tesi accusatoria, le somme sequestrate.
Un capo di accusa in termini di riciclaggio è contenuto esclusivamente nei verbali di perquisizione e sequestro redatti dalla Polizia Giudiziaria che non indicano, tuttavia, il reato presupposto.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 125, 321 e 324 cod. proc. pen. e dell’art. 648bis cod. pen.
In nessun atto di indagine è indicata la provenienza illecita del denaro sottoposto a vincolo cautelare, nonostante ciò il Tribunale del riesame ha affermato che la stessa è ricavabile dalle modalità di occultamento dello stesso e dal fatto che le investigazioni hanno documentato che gli indagati erano dediti a sistematici trasporti di somme in contanti dalla Sardegna alla Toscana. In tal modo
il collegio della cautela ha integrato l’incolpazione cautelare pur non avendone il potere, senza comunque individuare la tipologia del reato presupposto e peraltro valorizzando, da un lato, un dato fattuale erroneo e cioè l’occultamento del denaro (che, invece, era semplicemente riposto e custodito nelle camere da letto degli indagati e dei terzi interessati) e, dall’altro, la condotta di trasporto di valuta che , di per sé, non è elemento idoneo ad integrare il riciclaggio, senza contare che il denaro rinvenuto non è stato trovato in auto mentre stava per essere trasportato, bensì all’interno di una abitazione e nella sede della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE ed era in parte nella disponibilità dei figli o dei genitori degli indagati, del tutto estranei alla vicenda.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 2, 3, 4 e 5 D.vo n. 74 del 2000.
La ventilata ipotesi che il reato presupposto si identifichi in delitti tributari è del tutto erronea perché negli atti di indagine non vi è alcun accertamento dal quale ricavare che il denaro rinvenuto e sequestrato sia frutto di evasione fiscale commessa da imprenditori cinesi dai quali gli indagati l’ avrebbero ricevuto.
Di tali ipotetici reati non si conosce nulla: non è dato sapere quali siano gli autori degli stessi (mai identificati) e le modalità di realizzazione, non risulta accertat a l’imposta evasa e neppure il superamento RAGIONE_SOCIALE soglie di punibilità, necessario affinché l’evasione fiscale assuma rilevanza penale .
2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione RAGIONE_SOCIALE norme inerenti il fumus commissi delicti del reato di riciclaggio con riguardo al rinvenimento RAGIONE_SOCIALE somme trovate nella disponibilità dei genitori di NOME COGNOME e di quelle rinvenute all’interno della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, riconducibile alla di lui madre, che era impresa reale ed operativa e che riscuoteva pagamenti in contanti.
2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. con riferimento al principio di proporzionalità a cui ogni misura cautelare reale deve soggiacere.
Non risulta in alcun modo accertata l’entità dell’evasione fiscale asseritamente realizzata da ignoti imprenditori cinesi, sicché risulta impossibile individuare la somma di denaro oggetto dell’ illecito, il profitto conseguito dagli autori del reato presupposto e quello ottenuto dagli indagati in ragione della ipotizzata condotta riciclatoria , essendo solo quest’ultimo sottoponibile a sequestro.
Rileva il ricorrente che, come richiesto dal Pubblico Ministero, il sequestro è stato disposto per equivalente a fini di confisca, e quindi avrebbe dovuto avere per oggetto una somma pari al quantum del profitto conseguito dagli autori del reato di riciclaggio.
Ove, invece, si voglia attribuire al disposto sequestro una finalità impeditiva, difetta comunque la prova del rapporto di pertinenzialità tra il denaro sequestrato ed il reato ascritto agli indagati.
2.6. Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza del periculum in mora che il Tribunale del riesame ha ritenuto integrato semplicemente sulla considerazione che la cosa sequestrata si identifica in una ingente somma di denaro, per sua natura fungibile e, quindi, suscettibile di dispersione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile.
Non sono scrutinabili le doglianze diverse da quella prospettate nel quarto motivo atteso che l’odierno ricorrente , in quanto terzo interessato, estraneo al reato, non ha titolo per contestare il presupposto applicativo della cautela reale, dovendo limitarsi, in sede di merito e di legittimità, solo a provare la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene del quale chiede la restituzione e l’assenza di collegamento concorsuale nei reati ascritti all’indagato.
Va richiamato, in tal senso l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide e ribadisce) secondo cui, in tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene oggetto di ablazione non è legittimato a dolersi della oggettiva confiscabilità dello stesso per difetto del fumus commissi delicti in capo ai soggetti indagati, del periculum in mora e del principio di proporzionalità della misura ( Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165; Sez.4, n. 4170 del 19/09/2024- dep. 2025, COGNOME, Rv. 287396; Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286439; Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, COGNOME, Rv. 276700; Sez. 6, n. 24432 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 276278, in motivazione; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268070; Sez. 6 del 5 agosto 2016 n. 34704, COGNOME, Sez. 6 del 12 maggio 2016 n. 21966, COGNOME, entrambe non massimate).
Al riguardo è stato condivisibilmente affermato che il profilo della titolarità del bene sequestrato afferisce al profilo preliminare della legittimazione a proporre impugnazione e precede ogni eventuale ulteriore aspetto che il terzo, in tale qualità, può proporre, agendo per la restituzione di quanto sequestrato; si è ulteriormente argomentato che, in mancanza di prova dell’effettiva titolarità del bene, ove pure venisse accolto il ricorso del terzo nella parte avente ad oggetto i presupposti della misura, la conseguenza sarebbe la revoca della confisca con restituzione al soggetto ritenuto effettivo titolare del bene, sicché alcun risultato
concretamente utile ne conseguirebbe per il terzo stesso; del resto, tutti gli aspetti che concernono i presupposti applicativi della misura sono estranei alla sfera soggettiva del terzo, sicché, ammettere la possibilità di una contestazione di tali aspetti, andrebbe a ledere il fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire deve essere individuata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire una sorta di intervento ad adiuvandum del terzo in favore del destinatario della misura.
Il collegio non ignora il diverso orientamento (Sez. 6, n. 15673 del 13/03/2024, COGNOME, Rv. 286335) con il quale si è affermato, invece, proprio in tema di sequestro preventivo, che il terzo intestatario del bene oggetto di ablazione è legittimato a contestare anche l’oggettiva confiscabilità del bene per difetto del fumus commissi delicti e del periculum in mora , ma ritiene di dovere ribadire l’indirizzo ermeneutico prevalente espresso, da tempo, dalla giurisprudenza di legittimità.
Tale opzione interpretativa è, in primo luogo, conforme al fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire (e, segnatamente, la possibilità di intervenire nella procedura cautelare reale) precede logicamente ogni ulteriore interesse a rimuovere una situazione pregiudizievole derivante dal provvedimento impugnato e comporta che chi agisce debba innanzitutto essere titolare di una situazione giuridica soggettiva astrattamente meritevole di tutela (nella specie, l’effettiva titolarità o disponib ilità di quanto sottoposto a sequestro); in secondo luogo, è coerente con il fatto che la contestazione del fumus del reato è elemento che attiene alla sfera dell’indagato e che solo quest’ultimo può avere concreto interesse a far valere.
Del resto, l’assunto volto ad escludere la possibilità di un intervento del terzo estraneo al reato finalizzato alla contestazione dei presupposti applicativi della misura, ma limitato a rivendicare esclusivamente la riconducibilità a sè stesso del bene oggetto del provvedimento ablatorio, trova conforto in fonti internazionali e del diritto unionale che indicano proprio in tal senso il perimetro di interlocuzione a questi consentito in caso di provvedimenti giurisdizionali di natura ablatoria.
L’art. 12 della Convenzione RAGIONE_SOCIALE Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e l’art. 31 della Convenzione RAGIONE_SOCIALE Nazioni Unite contro la corruzione contengono entrambi il chiaro riferimento alla tutela dei ‘terzi in buona fede’ che non possono essere pregiudicati dal sequestro e confisca di beni; gli artt. 22 e 27 della Convenzione del Consiglio di Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato contengono l’espressa enunciazione della possibilità per i ‘terzi’ di ‘rivendicare i propri diritti’ con ‘documenti che comprovino tale circostanza’.
Quanto al diritto unionale, la recente Direttiva 2024/1260/UE del 24 aprile 2024 sulla confisca a cui gli stati membri dovranno dare attuazione entro il 23 novembre 2026 prevede che, proprio nell’ambito dell e statuizioni di confisca, ai reali proprietari dei beni, quali soggetti terzi rispetto all’autore della illecita accumulazione patrimoniale, deve essere assicurato il ‘diritto a rivendicare la proprietà del bene interessato’.
Deve dunque concludersi che l’odierno ricorrente, in quanto terzo interessato, non poteva avanzare in sede di merito, e non può riproporre in sede di legittimità, profili di critica relativi alla sussistenza della concreta configurabilità del reato e al pericolo cautelare che sono stati dedotti con il primo, il secondo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, peraltro già scrutinati in senso reiettivo con separate ordinanze emesse in data odierna nei confronti dei soggetti indagati; l’ambito di intervento di NOME COGNOME, come sopra delineato e perimetrato, restava – e resta -confinato all’affermazione dell’effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e alla dimostrazione dell’inesistenza di rapporti di collegamento con l’indagato qualificabili sostanzialmente in termini di concorso nel reato.
Il quarto motivo di ricorso, unico deducibile in quanto attinente alla titolarità di parte della somma sequestrata in capo a NOME COGNOME, è del tutto generico.
La domanda attraverso la quale il terzo rivendica la titolarità effettiva del bene deve essere accompagnato dalla specificazione degli elementi che fondano il suo diritto e che, in via diretta ed immediata, comprovano, appunto, la titolarità.
Nel caso di specie, la difesa ricorrente ha apoditticamente sostenuto, sia in sede di riesame che di legittimità, che la somma di euro 11.150,00 era stata rinvenuta nella camera occupata da NOME COGNOME (estraneo al reato) e dalla moglie, senza allegare alcunché in ordine alla riconducibilità della stessa alla sua sfera patrimoniale e senza, peraltro, confrontarsi con le argomentazioni del Tribunale che ha fornito una più che ragionevole spiegazione della impossibilità ovvero inverosimiglianza di tale prospettazione.
Il collegio della cautela, richiamando e valorizzando le risultanze investigative, ha escluso che il denaro sequestrato potesse ricondursi, anche solo in parte, ai familiari degli indagati affermando, invece, che esso dovesse riferirsi alla attività di riciclaggio di questi ultimi di cui è stato ravvisato il fumus .
Al riguardo ha infatti evidenziato, che NOME COGNOME e la moglie NOME COGNOME coabitavano con l’odierno ricorrente e che le indagini svolte avevano consentito di accertare in capo alla coppia diverse condotte di trasporto di ingenti somme in contanti attuate con numerosi viaggi tra la Sardegna e la Toscana, tra cui quello effettuato il 15 novembre 2023 allorquando era stato sequestrato un quantitativo
di euro 246.250,00 indicato, nell’immediatezza , dallo stesso NOME COGNOME come provento di evasione fiscale della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE (riferibile alla moglie dell’odierno ricorrente) e che proprio la sede di tale attività di impresa era risultata, dai servizi di osservazione, la base logistica RAGIONE_SOCIALE operazioni di trasferimento di valuta. L’ordinanza impugnata ha inoltre posto in luce – quali ulteriori elementi oggettivi e logici che escludevano una diversa e lecita provenienza del denaro -la mancanza di giustificazioni fornite in ordine alla presenza del denaro in contante sequestrato che, anziché depositato in un conto corrente bancario o detenuto con forme che ne consentissero la tracciabilità, era custodito con modalità anomale, significative della volontà di occultamento.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 24/09/2025
La Consigliera estensore NOME COGNOME
La Presidente NOME COGNOME