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Sequestro preventivo terzo: limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4170/2025, ha rigettato il ricorso del figlio di un indagato, i cui beni erano stati sequestrati. La Corte ha ribadito un principio fondamentale sul sequestro preventivo terzo: il terzo proprietario non può contestare i presupposti del sequestro (fumus delicti e periculum in mora), ma può solo dimostrare la propria effettiva titolarità dei beni e la sua estraneità ai fatti. In questo caso, la sproporzione tra i redditi del nucleo familiare e il patrimonio ha giustificato il mantenimento della misura cautelare sull’azienda del figlio.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo terzo: quali sono i limiti all’impugnazione?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta un tema cruciale nelle misure cautelari reali: i limiti dell’impugnazione in caso di sequestro preventivo terzo. La vicenda riguarda il sequestro di un’azienda formalmente intestata a un figlio, ma ritenuta nella disponibilità del padre, indagato per gravi reati. La decisione della Suprema Corte consolida un principio giurisprudenziale di fondamentale importanza, delineando con chiarezza cosa può e cosa non può contestare il terzo proprietario che vede i suoi beni vincolati.

I Fatti del Caso

Il Giudice per le Indagini Preliminari di Catanzaro aveva disposto il sequestro preventivo di diversi beni, tra cui una ditta individuale, intestati a un giovane imprenditore. La misura era stata motivata dal fatto che tali beni fossero, in realtà, nella piena disponibilità del padre, indagato per reati legati al traffico di stupefacenti e per appartenenza a un’associazione di stampo mafioso.
La difesa del figlio, in qualità di terzo interessato, aveva richiesto il dissequestro dell’azienda, contestando la validità del provvedimento per diversi motivi: la presunta carenza di motivazione sui presupposti del sequestro (in particolare il periculum in mora) e l’errata valutazione della sproporzione tra il patrimonio e i redditi dichiarati dal nucleo familiare. L’appello, però, era stato rigettato dal Tribunale, spingendo la difesa a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno ribadito che, in tema di sequestri, il ricorso in Cassazione è ammesso solo per ‘violazione di legge’. Questo significa che non è possibile contestare la logicità o la congruità della motivazione del giudice di merito, a meno che questa non sia totalmente assente o meramente apparente. Nel caso specifico, gran parte delle lamentele del ricorrente sono state giudicate come critiche di merito, e quindi inammissibili.

Le motivazioni del sequestro preventivo terzo

Il cuore della sentenza risiede nella riaffermazione di un orientamento consolidato: il terzo che afferma di essere l’effettivo proprietario di un bene sequestrato non ha il diritto di contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, ovvero il fumus delicti e il periculum in mora. La sua difesa deve concentrarsi unicamente su due aspetti:

1. Dimostrare la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene.
2. Provare l’inesistenza di un proprio contributo, anche solo a titolo di negligenza, al reato attribuito all’indagato.

La Corte spiega che ammettere la contestazione dei presupposti da parte del terzo andrebbe contro il principio della legittimazione ad agire. Se il ricorso del terzo su questi punti venisse accolto, la conseguenza sarebbe la revoca del sequestro, ma il bene verrebbe restituito non al terzo ricorrente, bensì al soggetto ritenuto l’effettivo proprietario (l’indagato), senza alcun beneficio concreto per chi ha proposto l’impugnazione.

Nel caso in esame, il Tribunale aveva correttamente evidenziato la sproporzione reddituale del nucleo familiare, rilevando un notevole disavanzo finanziario proprio nel periodo in cui era stata avviata l’impresa individuale del figlio. Questo, unito alla contestazione di un reato associativo di stampo mafioso a carico del padre (considerato di per sé idoneo a generare profitti illeciti in modo continuativo), ha reso la motivazione del provvedimento di sequestro solida e non meramente apparente.

Conclusioni: cosa significa per il terzo proprietario

Questa sentenza conferma che la posizione del sequestro preventivo terzo è procedimentalmente limitata. Chi si trova in questa situazione non può entrare nel merito delle accuse rivolte all’indagato, ma deve focalizzare la propria linea difensiva sulla prova della propria buona fede e dell’effettiva ed esclusiva proprietà dei beni. È essenziale dimostrare che il patrimonio sequestrato non è fittiziamente intestato, ma è frutto di risorse lecite e completamente estranee alle attività criminali contestate a terzi. La decisione sottolinea l’importanza di una chiara separazione patrimoniale e della capacità di documentare l’origine lecita dei propri beni, specialmente in contesti familiari complessi.

Cosa può contestare un terzo proprietario quando i suoi beni vengono sottoposti a sequestro preventivo per reati commessi da un altro?
Secondo la sentenza, il terzo proprietario può dedurre unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza di un proprio contributo al reato. Non può, invece, contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, come il ‘fumus commissi delicti’ (la parvenza di reato) o il ‘periculum in mora’ (il pericolo nel ritardo).

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del figlio?
La Corte ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto le sue argomentazioni inammissibili. In gran parte, il ricorso criticava la logicità della motivazione del provvedimento, un aspetto che non può essere valutato in sede di Cassazione per i sequestri (dove ci si limita alla violazione di legge). Inoltre, la Corte ha confermato che il figlio, come terzo, non era legittimato a contestare i presupposti del sequestro applicato al padre.

Il coinvolgimento dell’indagato in un’associazione mafiosa ha un peso nella decisione sul sequestro?
Sì. La Corte ha evidenziato che la contestazione di un reato associativo di stampo mafioso implica l’esistenza di un programma criminoso duraturo e autosufficiente, di per sé idoneo a generare un profitto illecito. Questo rafforza la legittimità del sequestro dei beni ritenuti frutto o reimpiego di tali attività illecite, soprattutto quando, come nel caso di specie, l’avvio dell’attività del terzo coincide temporalmente con il periodo del reato associativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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