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Sequestro preventivo terzo: la titolarità effettiva

Una donna ha impugnato il sequestro preventivo della sua società, sostenendo di esserne la reale proprietaria e non una prestanome per il fratello indagato per gravi reati. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando il sequestro. Secondo la Corte, le affermazioni della donna erano generiche e non supportate da prove concrete, avvalorando la tesi del tribunale secondo cui il fratello era l’amministratore di fatto e la società uno strumento per le sue attività illecite. La sentenza chiarisce anche che gli atti raccolti in fasi precedenti, come il controllo giudiziario, sono legittimamente utilizzabili.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Terzo: Quando la Titolarità Formale Non Basta

Il tema del sequestro preventivo terzo è di cruciale importanza nel diritto penale, specialmente quando le misure cautelari reali colpiscono beni formalmente intestati a soggetti estranei al procedimento. La sentenza n. 5512/2024 della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata sui criteri di valutazione della titolarità effettiva di un bene e sull’onere della prova che grava sul terzo che ne reclama la restituzione. Questo caso evidenzia come i giudici possano guardare oltre l’intestazione formale per svelare la realtà sostanziale della gestione e del controllo di un’azienda.

I Fatti del Caso: La Società Contesa tra Fratello e Sorella

La vicenda giudiziaria trae origine dal sequestro preventivo di una società operante nel settore dei servizi. Il provvedimento era stato emesso nell’ambito di un’indagine a carico di un uomo, accusato di gravi reati tra cui associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta, aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa. La società, sebbene formalmente amministrata e di proprietà della sorella dell’indagato, era ritenuta dagli inquirenti uno strumento nelle mani di quest’ultimo per la commissione delle attività illecite.

La sorella, in qualità di terza interessata, ha presentato ricorso per ottenere la revoca del sequestro, sostenendo la propria esclusiva ed effettiva titolarità e gestione dell’azienda. La sua difesa argomentava che il fratello era un semplice dipendente e che lei era l’unica responsabile delle decisioni aziendali. Il Tribunale di merito, tuttavia, aveva rigettato l’istanza, una decisione poi confermata dalla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della donna inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e generico. I giudici hanno stabilito che il Tribunale del rinvio aveva correttamente applicato i principi di diritto, conducendo un’analisi approfondita e logica degli elementi a disposizione per determinare la reale riferibilità della società.

L’Utilizzabilità degli Atti del Controllo Giudiziario

Un punto centrale contestato dalla difesa riguardava l’utilizzo, da parte del Tribunale, di relazioni redatte dagli amministratori giudiziari durante un precedente periodo di controllo giudiziario della società. La Cassazione ha respinto questa censura, affermando un principio fondamentale: nel giudizio cautelare, il giudice può utilizzare qualsiasi elemento legittimamente acquisito al fascicolo processuale, incluse le relazioni degli amministratori giudiziari, a condizione che sia garantito il pieno diritto di difesa e contraddittorio tra le parti. Tali documenti, data la loro qualificata provenienza, sono considerati fonti di prova rilevanti per ricostruire la realtà aziendale.

La Prova della Titolarità Effettiva nel sequestro preventivo terzo

La Corte ha ribadito che il terzo che rivendica un bene in sequestro ha l’onere di dedurre e provare la propria effettiva titolarità o disponibilità, nonché l’assenza di un proprio contributo al reato. Nel caso di specie, la ricorrente si era limitata a contestare gli elementi d’accusa in modo generico, senza fornire prove concrete e oggettive a sostegno della sua tesi. La documentazione prodotta dalla difesa è stata ritenuta non risolutiva e, in parte, addirittura illeggibile, rendendo le doglianze prive di specificità.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una ricostruzione complessiva e non parcellizzata della storia della società. I giudici hanno dato peso a una pluralità di elementi convergenti che indicavano il fratello come il vero dominus aziendale:
1. Contesto Criminale: Le complesse attività illecite contestate all’indagato (gestione di appalti, accordi di cartello, corruzione) erano strettamente collegate all’operatività della società.
2. Modifiche Societarie Sospette: Il subentro della sorella e della madre nella gestione societaria era avvenuto in un periodo successivo all’emersione di rischi di misure di prevenzione a carico del fratello, suggerendo un’operazione di intestazione fittizia a persone di fiducia.
3. Assenza di Competenze: Sia la madre che la sorella non possedevano competenze tecniche o esperienze pregresse nel settore imprenditoriale specifico dell’azienda, a differenza del fratello, la cui presenza e il cui ruolo direttivo erano costanti.
4. Dichiarazioni dell’Indagato: Lo stesso indagato, in sede di interrogatorio, aveva fornito dichiarazioni che, analizzate dal Tribunale, confermavano il suo ruolo propulsivo e centrale nella vita dell’impresa, anche dopo la formale cessione delle quote.
5. Strumentalità della Società: La Corte ha ritenuto ampiamente motivata la sussistenza del periculum in mora, evidenziando come la disponibilità della società fosse strumentale alla protrazione di attività illecite della stessa natura di quelle contestate.

In sostanza, il Tribunale ha concluso, con un ragionamento logico e privo di vizi, che l’intestazione formale alla sorella era uno schermo per mascherare la gestione di fatto del fratello.

le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano il sequestro preventivo terzo. Essa stabilisce che, di fronte a un quadro indiziario solido che suggerisce un’interposizione fittizia, non è sufficiente per il terzo intestatario del bene limitarsi a negare le accuse. È necessario, invece, fornire elementi fattuali concreti, oggettivi e risolutivi capaci di dimostrare un ruolo autonomo, esclusivo e reale nella gestione del bene. La decisione sottolinea inoltre l’ampio potere del giudice cautelare di valutare liberamente un complesso di prove, incluse quelle provenienti da altre procedure, per accertare la verità sostanziale al di là delle apparenze formali.

Cosa deve dimostrare un terzo per ottenere la restituzione di un bene sottoposto a sequestro preventivo?
Il terzo interessato deve dedurre e provare in modo concreto e oggettivo non solo la sua titolarità formale, ma soprattutto la sua effettiva ed esclusiva disponibilità del bene. Deve inoltre dimostrare la sua totale estraneità ai fatti illeciti e l’assenza di un proprio contributo, anche involontario, alla commissione del reato.

Gli atti di un procedimento di controllo giudiziario possono essere usati in un successivo procedimento di sequestro?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che, nel rispetto del principio del contraddittorio, il giudice può utilizzare qualsiasi elemento legittimamente acquisito al fascicolo, incluse le relazioni redatte dagli amministratori giudiziari in altre procedure, per fondare la propria decisione sul sequestro.

Come valuta il giudice se l’intestazione di un bene a un terzo è fittizia?
Il giudice non si ferma all’intestazione formale, ma valuta una pluralità di elementi, come il contesto in cui è avvenuto il passaggio di proprietà, le competenze specifiche dell’intestatario, la presenza e il ruolo effettivo dell’indagato nella gestione del bene e le dichiarazioni rese dalle parti. La decisione si basa su una ricostruzione logica e complessiva di tutti i dati disponibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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