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Sequestro preventivo terzo: la prova della titolarità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33871/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un terzo interessato che chiedeva la restituzione di una somma di denaro oggetto di sequestro preventivo. Il provvedimento era stato disposto nei confronti di un suo familiare per reati fiscali. La Corte ha stabilito che, in presenza di una commistione di beni e attività economiche tra il terzo e l’indagato, non è sufficiente dimostrare la mera titolarità del bene, ma è necessario provare la totale estraneità al reato, prova che in questo caso non è stata fornita.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Terzo: Quando la Promiscuità con l’Indagato Impedisce la Restituzione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 33871 del 2024, offre chiarimenti fondamentali sulla posizione del sequestro preventivo terzo, ovvero colui che, pur non essendo indagato, subisce il sequestro di un bene perché ritenuto nella disponibilità dell’autore del reato. Il caso analizzato riguarda la richiesta di restituzione di una cospicua somma di denaro, rigettata a causa della stretta commistione di interessi economici e patrimoniali tra la ricorrente e l’indagato, suo familiare. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Nel corso di un’indagine per reati fiscali a carico di un imprenditore (l’indagato), le autorità disponevano un sequestro preventivo, anche per equivalente, per un valore di oltre un milione di euro. Durante una perquisizione nell’abitazione condivisa dall’indagato e da sua figlia (la ricorrente), veniva rinvenuta in una cassaforte una somma di 53.500,00 euro in contanti.

La figlia, qualificandosi come terza interessata, presentava istanza per la restituzione del denaro, sostenendo di esserne l’esclusiva proprietaria e che la somma fosse frutto della sua attività imprenditoriale, del tutto estranea alle vicende del padre. Sia il GIP che il Tribunale del riesame rigettavano la richiesta, evidenziando una situazione di ‘promiscuità’ tra le attività e i beni delle due persone.

La Decisione della Corte sul sequestro preventivo al terzo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della donna inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il principio cardine ribadito è che il terzo che chiede la restituzione di un bene sequestrato non può limitarsi a contestare i presupposti della misura cautelare applicata all’indagato. Al contrario, ha l’onere di provare due elementi fondamentali:

1. La propria effettiva titolarità o disponibilità del bene.
2. L’inesistenza di qualsiasi collegamento concorsuale con l’indagato e con il reato per cui si procede.

In altre parole, non basta dire ‘il bene è mio’, ma bisogna dimostrare che quel bene è completamente estraneo ai fatti illeciti contestati all’indagato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale non fosse né mancante né meramente apparente. I giudici di merito avevano correttamente basato la loro decisione sulla constatazione di una profonda commistione societaria e logistica tra padre e figlia. In particolare, è emerso che:

* La sede legale della società della ricorrente si trovava nello stesso immobile in cui era collocata la cassaforte e dove aveva sede secondaria anche la società dell’indagato.
* Nella stessa cassaforte, oltre al denaro, erano custoditi cambiali e assegni relativi alla società dell’indagato, a dimostrazione di un uso promiscuo.
* Esistevano partecipazioni incrociate in diverse società, riconducibili a entrambi, che creavano una rete di interessi economici difficilmente scindibile al momento della commissione del reato fiscale (anno d’imposta 2018).

Questa situazione di promiscuità rendeva logicamente poco credibile la tesi della titolarità esclusiva e della totale estraneità del denaro sequestrato rispetto alle attività dell’indagato. Secondo la Corte, la presenza di un collegamento, anche solo a livello di gestione promiscua dei beni, è sufficiente per mantenere il sequestro, specialmente in una fase cautelare dove è richiesto uno standard probatorio indiziario.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso per il sequestro preventivo terzo. Per ottenere la restituzione di un bene, il terzo deve fornire una prova inequivocabile non solo della sua proprietà, ma anche della totale assenza di connessioni con il reato. La condivisione di spazi, l’uso comune di strumenti come una cassaforte e l’intreccio di partecipazioni societarie con l’indagato possono costituire ostacoli insormontabili. Questa decisione sottolinea come, in presenza di una gestione patrimoniale e imprenditoriale ‘promiscua’, il rischio che i beni del terzo vengano coinvolti in un procedimento penale a carico del familiare o del socio sia estremamente elevato.

Cosa deve provare un terzo per ottenere la restituzione di un bene sotto sequestro preventivo?
Il terzo deve dimostrare non solo la sua effettiva titolarità o disponibilità del bene, ma anche la totale inesistenza di un ‘collegamento concorsuale’ con l’indagato e con il reato contestato. La sola prova della proprietà non è sufficiente.

Perché in questo caso specifico la richiesta di restituzione del denaro è stata respinta?
La richiesta è stata respinta a causa della forte ‘promiscuità’ di beni, sedi aziendali e interessi societari tra la ricorrente e l’indagato (suo padre). Questa commistione ha reso impossibile provare che la somma di denaro fosse completamente estranea alle attività illecite per cui si procedeva.

Può un terzo, nel suo ricorso, contestare le ragioni del sequestro applicato all’indagato?
No. La giurisprudenza citata nella sentenza chiarisce che il terzo non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare nei confronti dell’indagato. Il suo ricorso deve limitarsi a dimostrare la propria titolarità del bene e la sua estraneità ai fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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