Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11791 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11791 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata a ZHEJIANG( CINA) il 06/04/1986
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MACERATA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 16 settembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Macerata disponeva il sequestro preventivo di denaro e beni nei confronti di NOME COGNOME terza interessata rispetto all’indagato NOME COGNOME il Tribunale di Macerata, con ordinanza del 15 novembre 2024, ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME
1.1 Avverso l’ ordinanza ricorre per Cassazione il difensore di NOME COGNOME eccependo la carenza di motivazione sia in ordine al collegamento eziologico tra i beni sottoposti a sequestro e il profitto del reato, sia in ordine alla ritenuta disponibilità in capo a Wu Zhiming dei medesimi; premette che il provvedimento di sequestro era stato disposto nei confronti della ricorrente in quanto si era presupposta la riconducibilità dei beni a Wu Zhiming, o comunque la loro disponibilità da parte d i quest’ultimo , accusato di aver partecipato con il ruolo di
corriere con l’incarico di spostare somme di denaro tra diversi luoghi di custodia e consegnare denaro contante ai vari utenti, gestendo direttamente o tramite prestanome attività acquistate con i proventi dei reati, nonché per aver investito una somma par i ad € 1.500.000,00 nell’attività commerciale relativa all’avvio ed alla gestione di un ristorante, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro investito; che i beni oggetto del sequestro, gran parte dei quali acquistati in epoca antecedente a quella di consumazione dei reati ipotizzati, erano stati rinvenuti presso l’abitazione della ricorrente (i gioielli, il denaro contante e la pelletteria all’interno della camera da letto ); che NOME COGNOME non era il marito della ricorrente, tanto che era residente in altra abitazione.
Ciò premesso, il difensore osserva che la ricorrente si era vista sottrarre beni di sua proprietà sul presupposto di un vincolo con NOME COGNOME, nonostante occorresse dimostrare l’effettiva disponibilità dei beni da parte dell’indagato ed effettuare una pregnante valutazione del ‘ periculum in mora ‘; la ricorrente non era coinvolta in alcun modo nell’indagine, aveva una regolare attività lavorativa e come unica colpa quella di avere una relazione sentimentale, non consolidata, con uno dei presunti associati, che frequentava la sua abitazione; poiché la relazione tra NOME COGNOME e la ricorrente non era nemmeno riconducibile ad una convivenza di fatto legalmente riconosciuta, il Tribunale avrebbe dovuto dare, in relazione alla ‘disponibilità’ in capo a NOME COGNOME g una motivazione ben più pregnante rispetto al mero richiamo di un orientamento giurisprudenziale; anche ipotizzando che NOME COGNOME vivesse stabilmente nell’abitazione della ricorrente, l’apprensione si sarebbe dovuta limitare, per quanto riguardava i beni divisibili, ad una quota pari al 50%.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile.
1.1. Premesso che è consolidato il principio secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli ” errores in iudicando ” o ” in procedendo “, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le tante: Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608 -01) -si deve rilevare che il ricorso è stato proposto ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per vizio di motivazione (quindi non consentito), e che attraverso le censure difensive, sono state contestate le valutazioni dei giudici del
riesame, che hanno correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte che consente di disporre la confisca per equivalente anche su beni anche solo nella disponibilità dell’indagato, anche se formalmente intestati a terzi, sui quali egli eserciti poteri corrispondenti al diritto di proprietà.
Nella specie, i giudici hanno sottolineato: a) che per la Mercedes era stato stipulato un contratto di leasing in pieno corso di attività di indagine e che l’autovettura veniva usata da NOME COGNOME, tanto che nella stessa vi erano beni e documenti a lui riconducibili; b) che per i telefoni cellulari e i tablet la circostanza che il codice di sblocco corrispondesse alla data di nascita del figlio della ricorrente era irrilevante, visto che lo stesso è figlio anche di NOME COGNOME; c) che nessuna prova era stata fornita in merito alla proprietà degli altri beni sequestrati, rinvenuti nell’abitazione della ricorrente, dove Wu COGNOME è domiciliato; t rattasi di motivazione che non può certo essere considerata né mancante né apparente, unici vizi che sarebbero deducibili ex art. 325, cod. proc. pen; quanto alla circostanza affermata in ricorso secondo la quale i beni sarebbero stati sequestrati nella camera da letto della ricorrente, la stessa è generica in quanto non è stato prodotto il verbale di sequestro.
La conclusione cui approda il tribunale risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto beni formalmente intestati a persona estranea al reato, incombe sul giudice la valutazione sulla disponibilità effettiva degli stessi; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato (Sez. 3, n. 35771 del 20/01/2017, Rv. 270798 -01), prova fornita nel caso in esame
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile in quanto si censura in realtà un vizio di motivazione, e non una violazione di legge come previsto dall’art. 325 cod.proc.pen ; peraltro, si deve rilevare che nessuna censura era stata proposta nell’istanza di riesame relativamente al requisito del periculum , con conseguente (ulteriore) inammissibilità del motivo.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 12/03/2025