Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9430 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9430 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Gallipoli il 03/03/1956
avverso l’ordinanza del 06/09/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Lecce Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni dell’Avvocato Generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 settembre 2024, il Tribunale del riesame di Lecce rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di NOME COGNOME confermando per l’effetto il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Lecce in data 25 luglio 2024, avente ad oggetto il bene demaniale formato da n. 8 box in muratura ed, in particolare, del box n. 10 in uso all’COGNOME, ravvisando a suo carico il reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., per aver utilizzato tale box per attività di pescheria.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’indagato, deducendo quattro distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. Att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.
In sintesi, si sostiene che l’avvenuto deposito della motivazione dell’ordinanza impugnata oltre il termine previsto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. (in quanto intervenuto solo in data 10/10/2024, laddove la decisione sull’istanza di riesame era intervenuta il 6/09/2024) determinerebbe la perdita di efficacia della misura cautelare reale applicata, non avendo peraltro il tribunale specificato nel dispositivo dell’ordinanza di riesame di volersi avvalere del più lungo termine di gg. 45 per il deposito della motivazione, come previsto per le ipotesi di motivazione particolarmente complessa per la gravità delle imputazioni.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 321, 324 e 309, cod. proc. pen. per inesistente e/o apparente motivazione con conseguente error in iudicando sulla valutazione della condotta criminosa ascritta all’indagato e della fattispecie legale ipotizzata di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav.
In sintesi, si eccepisce il difetto di autonoma valutazione da parte del GIP degli elementi rappresentati dal PM, su cui il primo si sarebbe sostanzialmente appiattito. Il GIP avrebbe in sostanza attuato una prassi di automatico recepimento delle tesi del PM richiedente.
2.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 321, 324 e 309, cod. proc. pen. sotto il profilo dell’error in iudicando sulla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e dell’elemento soggettivo del reato.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata laddove ha ritenuto sussistente il fumus non potendosi dubitare che l’occupazione del box successivamente alla data di naturale scadenza dei relativi contratti prevista dall’art. 10 del regolamento comunale adottato in data 14/04/2018 dovesse ritenersi sine titulo, avendo il Comune esercitato la propria facoltà di recesso sin dall’anno 2018 per ragioni di pubblico interesse, facoltà espressamente nornnata dal contratto di affidamento in gestione del box n.11 che non prevede per l’esercizio di tale facoltà alcuna forma tipizzata di atto. I giudici, secondo la difesa del ricorrente, non avrebbero analizzato i presupposti del rinnovo dell’istituto dell’occupazione in mancanza di disdetta. Premessa l’irrilevanza del richiamo nell’ordinanza all’art. 11 del contratto di affidamento in gestione del box n. 10 ed alla necessità di eseguire i lavori di rifacimento della copertura ed all’adeguamento impianti dei box (in quanto i lavori, iniziati nel 2023, sarebbero stati completati dall’Amministrazione comunale come risulterebbe da una determina del 26/03/2024), sostiene la difesa del ricorrente che il citato art. 11 – attributivo al Comune della facoltà di recedere con atto motivato dalla concessione nei casi e non le modalità previste dalla legge – non attribuirebbe al Comune una facoltà di recedere ad nutum, ma solo in presenza di condizioni di legge, nella specie non soddisfatte. L’Amministrazione, in particolare, avrebbe esercitato tardivamente il recesso, ossia solo in data 16/11/2020,
laddove l’art. 2 del contratto di concessione prevedeva il rinnovo tacito salva la volontà di una delle parti di intimare disdetta con lettera raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza di tale contratto, prevista in anni quindici. Orbene, essendo stata tale disdetta formalizzata in data 16/05/2020 e notificata all’Urso il 18/05/2020, la stessa era all’evidenza tardiva ed inefficace ad impedire la rinnovazione tacita del rapporto, in quanto esercitata senza il rispetto del termine semestrale previsto, essendo stato il contratto sottoscritto il 16/11/2005, laddove la notifica risulterebbe notificata il 18/05/2020. Censurabile, peraltro, sarebbe la motivazione sul punto del tribunale del riesame, che giustifica la scelta della pubblica amministrazione in quanto in linea con i principi affermati dalla direttiva Bolkestein, che sancisce il divieto di rinnovo automatico delle concessioni pubbliche, conseguendone pertanto che l’occupazione dei beni demaniali successivamente alla delibera di cessazione del relativo contratto, prorogato sino al 2022 per l’emergenza Covid, deve considerarsi abusiva in quanto non coperta da alcun titolo legittimo, indipendentemente dai profili di competenza relativi all’emissione dell’ordinanza di sgombero.
2.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 292 e 309, comma 9, cod. proc. pen. per error in iudicando sulla ritenuta sussistenza del periculum in mora.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata per avere il tribunale del riesame illegittimamente esercitato il potere di integrazione della motivazione accordatogli dal codice di procedura penale, omettendo di annullare il decreto di sequestro preventivo adottato dal Gip del tribunale, privo di qualsiasi motivazione circa il requisito del periculum in mora. Il tribunale del riesame avrebbe provveduto a sostituire ex novo, senza tener conto dell’assenza da parte del Gip di un’autonoma valutazione sia delle esigenze cautelari che degli indizi che giustificavano la misura disposta e dei motivi per i quali assumevano rilevanza. Richiamata giurisprudenza di questa Corte e il contenuto del verbale di ispezione dei Nas di Lecce, evidenzia il ricorrente come dalle indagini eseguite era emerso che il box del ricorrente non si presentava come una struttura fatiscente ma fosse in regola con le norme igienico sanitarie e, soprattutto, non risultasse arredato per lo svolgimento di attività di ristorazione o somministrazione di cibi attraverso degli impianti di cottura improvvisati. I giudici del riesame nel rigettare le doglianze difensive ritengono sussistere l’esigenza attuale e concreta di impedire la protrazione del reato oggetto di contestazione, rischio che sarebbe reso concreto dal fatto che, allo stato, non è più efficace, essendo stata annullata, l’ordinanza di sgombero emanata, tenuto conto inoltre di come il ricorrente avesse pervicacemente proseguito nell’occupazione illecita nonostante i ripetuti inviti e diffide a lasciare la disponibilità degli immobili, anche al fin di consentire programmati interventi pubblici di ristrutturazione che avrebbero coinvolto l’intera area del mercato ittico. Per tale ragione i giudici del riesame hanno ritenuto inconferente la circostanza valorizzata dalla difesa secondo la quale al momento del
sequestro la polizia giudiziaria avesse rilevato come il ricorrente fosse in regola con le norme igienico sanitarie e non svolgesse abusivamente, al pari di altri, attività di somministrazione di alimenti.
In data 27 gennaio 2025 sono state trasmesse le conclusioni scritte del Procuratore generale, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
In sintesi, secondo il PG: 1) il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto gli artt. 324, comma 7, e 309, comma 10, cod. proc. pen., non prevedono un termine a pena di inefficacia per il deposito dell’ordinanza del tribunale del riesame in tema di misure cautelari reali, non applicandosi quello di trenta giorni, stabilito, invece, in caso di riesame delle misure cautelari personali (cfr. Sez. 3, n. 52157/2018, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 10, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui dette disposizioni non prevedono tale termine a pena di inefficacia); 2) sono inammissibili per difetto di autosufficienza il secondo motivo, in relazione alla contestazione di omesso esame della questione della mancanza di motivazione del provvedimento genetico ed il terzo in relazione al rinnovo della concessione demaniale per tardività della disdetta, non risultando esplicitate le ragioni dedotte in sede di riesame; 3) il quarto motivo è inammissibile, in quanto deduce la nullità dell’ordinanza impugnata per aver integrato la motivazione del requisito del periculum in mora, mentre il Tribunale del riesame ha confermato la valorizzazione dell’illegittima occupazione del suolo pubblico, in sé sufficiente a giustificare il sequestro stante la natura permanente del reato per cui si procede, limitandosi a rispondere alla questioni poste con la richiesta di riesame circa la irrilevanza dell’annullamento dell’ordinanza di sgombero e della titolarità di autorizzazione sanitaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile.
La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte, che con decisione cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, hanno autorevolmente affermato che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, il rinvio dell’art. 324, comma settimo, cod. proc. pen., alle disposizioni contenute nell’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen’ deve intendersi tuttora riferito alla formulazione originaria del predetto articolo; ne deriva che sono inapplicabili le disposizioni – introdotte nel predetto comma decimo dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 – relative al termine perentorio per il
deposito della decisione ed al divieto di rinnovare la misura divenuta inefficace (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266790).
Tale decisione, come è noto, ha composto un contrasto giurisprudenziale, optando per la tesi volta ad attribuire – tuttora – natura recettizia al rinvio ai commi 9 e 10 dell’a 309, tesi confortata dalle indicazioni fornite in via generale da una precedente sentenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli), la quale ha non solo ribadito la piena legittimità di una disciplina differenziata dei due settori, cautelare reale e cautelare personale, alla luce del diverso livello di tutela rispettivamente assicurato dalla Carta costituzionale, ma ha anche precisato che il rinvio deve considerarsi recettizio sia quando si è «in mancanza di formule chiarificatrici», sia quando oggetto del richiamo non è un istituto giuridico considerato nel suo complesso, ma solo specifiche disposizioni contenute nell’atto normativo richiamato (situazioni entrambe ricorrenti nella fattispecie in esame). La tesi volta ad attribuire oggi natura recettizia al solo rinvio al comma 10 dell’art. 309 (e dunque ad escludere l’applicazione ai riesami reali del nuovo termine per il deposito dell’ordinanza e del divieto di rinnovare la misura divenuta inefficace) si basa anzitutto sulle specifiche modalità di intervento sul comma 7 dell’art. 324 prescelte dal legislatore del 2015, che ha sostituito le parole “articolo 309, commi 9” con le parole “articolo 309, commi 9, 9-bis”: la sostituzione del comma 9 e non anche del comma 10, in questa prospettiva, si spiegherebbe solo con l’intento di rendere applicabili le nuove disposizioni inserite nel comma 9, lasciando al contempo immutate le conclusioni della sentenza COGNOME in ordine al carattere recettizio del rinvio al comma 10. E’ ben vero che la validità di tale percorso argomentativo è stata negata da chi sostiene che la menzione del comma 9 sarebbe stata comunque indispensabile, per inserire il riferimento al comma 9-bis, ma va tuttavia evidenziato che la Commissione ministeriale aveva proposto di modificare il comma 7 dell’art. 324 con il semplice inserimento della parola “, 9-bis” dopo le parole “articolo 309, commi 9”. A sostegno di questa terza tesi “intermedia”, è stato inoltre valorizzato, per un verso, il fatto che il termine per il deposito dell’ordinanza ed il divieto di rinnovazione della misura sono stati introdotti (art. 311, comma 5-bis) anche nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento del titolo in sede di legittimità, ma solo nel settore personale: darebbe quindi luogo ad un’evidente asimmetria, secondo tale indirizzo, ritenere che le corrispondenti disposizioni contenute nell’art. 309 comma 10 siano applicabili – ma solo “in prima battuta” – al procedimento di riesame reale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per altro verso, sul piano della complessiva ragionevolezza del sistema, sono state evidenziate da tale orientamento le criticità insite nell’applicazione, anche al settore reale, del divieto di rinnovare la misura divenuta inefficace: e ciò non solo e non tanto perché la ratio della norma appare strettamente correlata alla tutela della libertà personale, quanto soprattutto perché la clausola derogatoria che rende inoperante il divieto, costituita dalla sussistenza di “eccezionali esigenze cautelari”, risulterebbe sempre inapplicabile nelle ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca, dove il periculum è in re
ipsa, nel senso che il relativo accertamento finisce per coincidere con la verifica dei presupposti per la confiscabilità del bene. In altri termini, mentre la tutela della libertà personale dalla reiterazione del titolo coercitivo è soggetta al “controlimite” delle eccezionali esigenze cautelari, il divieto di rinnovare il sequestro a fini di confisca opererebbe senza alcuna possibilità di “corrispondente” deroga, con i correlati rischi di vanificare la funzione conservatrice e preventiva del vincolo cautelare (rischi che appaiono scongiurati nelle sole ipotesi di sequestro a fini di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240, secondo comma, cod. pen., per le quali lo stesso comma 7 dell’art. 324 esclude la possibilità di revoca all’esito del procedimento di riesame). Una siffatta ottica ricostruttiva deve certo confrontarsi con il fatto che il comma 9-bis dell’art. 309, certamente applicabile ai riesami reali, fa riferimento anche al termine per il deposito dell’ordinanza di cui al novellato comma 10 dello stesso articolo, prevedendone la proroga – al pari del termine per la decisione – in misura pari al concesso differimento dell’udienza camerale; al riguardo, può essere utile ricordare che il tema della regolamentazione del giudizio cautelare reale, codificata attraverso il rinvio a disposizioni dettate per le impugnazioni cautelari personali, è stato affrontato – sul diverso versante dell’individuazione del rito applicabile nel giudizio di legittimità – da Sez. U, n. 51207 del 17/12/2015, COGNOME In quella sede, il Supremo Consesso ha tra l’altro evidenziato la necessità di verificare se la disposizione richiamata nel settore reale, essendo stata strutturata in relazione alle misure cautelari personali, risulti in tutto o solo in par applicabile (nella specie l’art. 311 comma 4, cui fa rinvio l’art. 325 comma 3 cod. proc. pen., è stato ritenuto applicabile solo quanto all’obbligo di enunciazione contestuale dei motivi di ricorso, ma non anche quanto alla facoltà di enunciare motivi nuovi prima dell’inizio della discussione). In tale prospettiva, il tenore letterale delle disposizioni sull facoltà di differimento dell’udienza camerale potrebbe non rappresentare un ostacolo decisivo al riconoscimento del persistente carattere recettizio del rinvio al comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen., nel senso che la proroga prevista dal comma 9-bis, in misura pari al disposto differimento dell’udienza camerale, potrebbe intendersi riferita – per i procedimenti di riesame reale – al solo termine per la decisione, ovvero all’unico termine perentorio applicabile a tali procedimenti, perché già previsto nella formulazione originaria del predetto articolo. Analogo scrutinio di concreta compatibilità può infine rendersi necessario, aderendo a tale ipotesi ricostruttiva, nella definizione dell’ambito di concreta applicabilità, ai riesami reali, del novellato comma 9 dell’art. 309, nella parte in cui disciplina il potere di annullamento del titolo cautelare, da parte del tribunale del riesame, per difetto di autonoma valutazione “a norma dell’art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va, infine, ricordato che questa stessa Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 10, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in i d2-7
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cui dette disposizioni non prevedono un termine a pena di inefficacia per il deposito dell’ordinanza del tribunale del riesame in tema di misure cautelari reali, non applicandosi quello di trenta giorni, stabilito, invece, in caso di riesame delle misure cautelari personali (Sez. 3, n. 52157 del 27/06/2018, Rv. 275176 – 01).
3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Difformemente dall’enunciazione del motivo, che sembrerebbe finalizzato a censurare la configurabilità, sotto il profilo del fumus commissi delicti, del reato contravvenzionale ipotizzato, l’illustrazione contenutistica del motivo è invece orientata a criticare il difetto di motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame nel rigettare l’eccezione di assenza di autonoma valutazione del provvedimento del GIP.
Trattasi, peraltro, di censura che non ha pregio, avendo chiarito i giudici del riesame che non fosse riscontrabile tale vizio, avendo il GIP adeguatamente motivato sulla sussistenza dei requisiti di vincolo cautelare e dei reati ascritti all’indagato individuando tra l’altro come elemento rappresentativo di tale “autonomia” motivazionale la circostanza che il GIP avesse differenziato la parte di ricostruzione del fatto nella quale viene riportata la richiesta del PM dalla parte motiva.
Evidente è quindi la genericità per aspecificità del motivo, che mostra di non confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza, che rende pienamente conto delle ragioni circa l’assenza del vizio denunciato. Deve, peraltro, essere ribadito che in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, il requisito dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, previsto espressamente dall’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, deve riferirsi alla motivazione del provvedimento nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poiché con esso si esprime l’esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (Sez. 5, n. 11985 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272939 – 01 in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’autonoma valutazione da parte del giudice delle indagini preliminari in relazione ad una misura cautelare reale di sequestro preventivo, rilevando che questi si era discostato dalle richieste del pubblico ministero per tre significativi aspetti, dei quali aveva dato adeguatamente ragione, condividendo nel resto le richieste).
Nel caso sottoposto all’esame di questa Corte, del resto, è lo stesso ricorrente che, nell’articolare il relativo motivo, dà atto del passaggio della motivazione dell’ordinanza impugnata, in cui i giudici del riesame colgono l’elemento distintivo nell’ordinanza del GIP che la differenziava rispetto alla richiesta del PM. Il requisito dell’autonoma valutazione del giudice cautelare, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c) bis cod. proc. pen., è, del resto, compatibile con la redazione dell’ordinanza con la tecnica c.d. dell'”incorporazione” quando dal contenuto complessivo del provvedimento emerga la conoscenza degli atti del procedimento, e, ove necessaria, la rielaborazione critica degli elementi sottoposti al
vaglio del riesame, giacché la valutazione autonoma non necessariamente comporta la valutazione difforme (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, Rv. 275339 – 01).
4. Anche il terzo motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, risulta chiaramente dalla lettura del provvedimento impugnato che in data 14/04/2018 il comune di Gallipoli aveva emanato, con delibera CC n. 16/2018, notificata alle parti, il Regolamento sul funzionamento e sulla valorizzazione del mercato ittico al dettaglio. In tale Regolamento veniva espressamente specificato che la futura gestione del box del mercato ittico sarebbe stata assoggettata ad un nuovo regime giuridico. In particolare, ai sensi dell’art. 10 del Regolamento veniva stabilito che i contratti antecedentemente sottoscritti avrebbero cessato di avere efficacia e validità al decorso della natura durata contrattuale pari a 15 anni, venendo così esclusa la possibilità di un rinnovo tacito. Segnatamente, veniva prevista l’espressa disdetta dei contratti in vigore, dovendo la successiva assegnazione essere assoggettata alla previsione di cui all’art. 11 del citato regolamento. La volontà di dare disdetta del contratto in questione, con espresso avvertimento che l’efficacia dello stesso sarebbe cessata a far data dal 16/11/2020 veniva ribadita con nota del 16/0572020, notificata direttamente agli interessati brevi manu. Veniva, poi, disposta con provvedimento del 16/08/2021 la proroga della durata del contratto di utilizzo dei box fino alla data della cessazione dello stato di emergenza Covid.
E’, quindi, palese che sin dal 2018 l’interessato sapesse (essendogli stato notificato il nuovo Regolamento) che il contratto di concessione del box sarebbe venuto a scadenza automatica in data 16/11/2020, essendo prevista l’espressa disdetta dei contratti in essere con esclusione della possibilità di un rinnovo tacito. Evidente, quindi, l’assoluta irrilevanza della circostanza della tardiva notifica dell’atto del 16/05/2020, posto che l’intervenuta notificazione del precedente Regolamento, che prevedeva l’automatica caducazione di tutti i contratti in essere alla data della natura scadenza della concessione, senza possibilità di rinnovo tacito, comportava la superfluità di qualsiasi disdetta successiva, essendo la disdetta espressa dei contratti di concessione in essere prevista nello stesso art. 10 del Regolamento notificato all’interessato.
5. Parimenti inammissibile, infine, è il quarto motivo.
Il Tribunale del riesame non ha fatto esercizio del potere integrativo in relazione ad una situazione di mancanza assoluta della motivazione sul periculum in mora, ma ha provveduto ad una correzione integrativa della motivazione del Gip sul punto, ciò che è perfettamente lecito e consentito, essendo stato infatti affermato da questa stessa Sezione che in tema di impugnazioni cautelari reali, non è consentito al tribunale del riesame integrare la motivazione del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di “periculum in mora”, nel caso in cui essa sia del tutto mancante, in quanto tale
carenza è causa di radicale nullità del provvedimento ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, Rv. 285747 – 01).
Dunque, ove tale motivazione non sia del tutto mancante ma necessiti solo di essere specificata, il tribunale del riesame può legittimamente esercitare il proprio potere integrativo.
Del resto, è sufficiente leggere quanto già era contenuto nella motivazione del primo giudice per rendersi conto di come, in realtà, non potesse parlarsi di motivazione mancante. Il Gip, infatti, nel motivare in punto di periculum, lo ritiene sussistente in considerazione della necessità di impedire l’ulteriore protrazione della condotta illecita, con conseguente impossibilità di svolgere i lavori di ristrutturazione nonché al fine di impedire l’aggravamento delle conseguenze del reato, facendo poi riferimento ad una circostanza che risulta non congruente con le emergenze processuali, ossia il fatto che l’attività di ristorazione/somministrazione di cibi avvenisse con l’illegittima occupazione del suolo pubblico, ma all’interno di strutture fatiscenti e con impianti di cottura improvvisati, con conseguente pericolo anche per la salute pubblica. I giudici del riesame, nell’integrare tale motivazione (che non può dirsi mancante, in quanto, con riferimento quantomeno alla prima parte, è del tutto corretta), pongono rimedio all’errore argomentativo in cui è incorso il Gip e ribadiscono quanto già affermato dal Gip circa la necessità di impedire la protrazione dell’occupazione abusiva del box, valorizzando (elemento nuovo, frutto dell’attività integrativa) la circostanza del venir meno dell’efficacia dell’ordine di sgombero del box annullato dal Tar nonché l’ulteriore circostanza (già richiamata dal Gip), costituita dalla necessità di consentire i programmati interventi pubblici di ristrutturazione destinati a coinvolgere l’area del mercato ittico.
E’ dunque evidente come ci si trovi in presenza non di motivazione assente sul periculum (ciò che avrebbe legittimato l’annullamento del provvedimento impugnato), ma di una motivazione non completa che, in quanto tale, si ribadisce, legittima(va) l’esercizio del potere integrativo da parte del tribunale del riesame. Non può, conclusivamente, invocarsi il potere di annullamento del tribunale del riesame quando vi sia motivazione scarna, non vertendosi in una ipotesi di motivazione inesistente ovvero non autonoma rispetto alla richiesta del P.m. e comunque di motivazione non adeguata rispetto alle allegazioni difensive dedotte dall’indagato (Sez. 5, n. 6230 del 15/10/2015, dep. 2016, Vecchio, Rv. 266150 – 01).
6. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 11 13/02/2025