Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 832 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato ad Aradeo il 01/01/1972
avverso l’ordinanza del 08/07/2024 del Tribunale di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni, per il ricorrente, dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 8 luglio 2024, e depositata il 19 luglio 2024, il Tribunale di Lecce, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha in parte respinto e in parte accolto l’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME in proprio, quale persona fisica, avverso il decreto con cui il G.i.p. del Tribunale di Lecce ha disposto il sequestro preventivo a fini impeditivi dei crediti
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di imposta presenti nel cassetto fiscale della “RAGIONE_SOCIALE“, o da questa ceduti e nella disponibilità di terzi cessionari, nonché il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità di cui NOME COGNOME o la precisata società abbiano la disponibilità per un valore corrispondente a tali crediti.
Il decreto di sequestro è stato emesso dal G.i.p. del Tribunale di Lecce per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere in qualità di promotore, di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis cod. pen., di falsa asseverazione a norma dell’art. 119, comma 13-bis.1, d.l. n. 34 del 2020, e di falsità ideologica in certificati commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità. I reati sarebbero stati diretti a far conseguire alla “RAGIONE_SOCIALE“, di cui era legale rappresentante NOME COGNOME il riconoscimento di crediti di imposta fittizi, poi ceduti a terzi, previa emissione di fatture per operazioni inesistenti e falsi certificati rilasciati da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, così da strumentalizzare le disposizioni agevolative del c.d. “superbonus” previste dall’art. 121 d.l. n. 34 del 2020.
Il precisato decreto, in particolare, ha disposto: a) il sequestro a fini impeditivi dei crediti di imposta ceduti dalla “RAGIONE_SOCIALE” e nella disponibilità di terzi cessionari specificamente indicati (Banca Intesa Sanpaolo, Banca Unicredit, Banca Popolare Pugliese, Banca Popolare di Bari, Poste Italiane e Banca Sella) per un valore nominale complessivo di 25.267.389,00 euro, nonché dei crediti di imposta attualmente presenti nel cassetto fiscale della “RAGIONE_SOCIALE“, o eventualmente ceduti nel frattempo, per un valore nominale complessivo di 42.160.281,00 euro; b) il sequestro a fini di confisca per equivalente delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità nella disponibilità di NOME COGNOME o della “RAGIONE_SOCIALE” nella misura corrispondente al valore dei crediti di imposta acquisiti dalla “RAGIONE_SOCIALE“, precedentemente indicati, e dei quali risulti impossibile il sequestro.
Il Tribunale ha annullato l’ordinanza del G.i.p. limitatamente al sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente nei confronti di NOME COGNOME in relazione ad alcuni dei crediti indicati ai capi 2, 3, 5, 14, 15, 25, 27, 33, 34 e 35.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 127, comma 3, e 523, commi 4 e 5, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla violazione del diritto della difesa di discutere in ordine ai nuovi elementi prodotti dal Pubblico Ministero.
Si premette che, nel corso dell’udienza del 5 luglio 2024, fissata per decidere l’istanza di riesame, il Giudice ha prima fatto discutere la difesa e poi il Pubblico Ministero, il quale in quella sede ha depositato memoria con documentazione allegata, e poi ha respinto la richiesta della difesa di interloquire sulla memoria e sulla documentazione prodotte dal Pubblico Ministero, osservando che non sono previste repliche sulle argomentazioni della controparte.
Si deduce che il mancato riconoscimento del diritto della difesa di interloquire sulla memoria e sulla documentazione prodotta dal Pubblico Ministero implica la produzione di una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178, comma 1, lett, c), cod. proc. pen. Si osserva che il diritto della difesa di interloquire per ultima deriva dal raccordo tra l’art. 127, comma 3 cod. proc. pen. e l’art. 523 cod. proc. pen., e trova conferma nelle disposizioni di cui agli artt. 391, comma 3, 421, comma 2, 602, comma 4 e 614, comma 4, cod. proc. pen. relative, nell’ordine, all’udienza di convalida dell’arresto o del fermo, all’udienza preliminare, al giudizio di appello e al giudizio di cassazione. Si sottolinea che il pregiudizio, nella specie, è particolarmente significativo, perché ha comportato l’impossibilità per la difesa di interloquire su una memoria e su documenti prodotti al Giudice per la decisione.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata esposizione ed autonoma valutazione degli elementi forniti dalla difesa.
Si premette che il decreto di sequestro del G.i.p. del Tribunale di Lecce è stato impugnato davanti al Tribunale del riesame per aver completamente omesso qualunque riferimento o valutazione in ordine alla memoria, e relativi allegati, che la difesa aveva depositato nella segreteria del P.M. procedente nel corso delle indagini prima dell’emissione della misura. Si precisa che la memoria forniva spiegazione della genesi e del modus operandi della società “RAGIONE_SOCIALE, di cui l’attuale ricorrente era amministratore, e che il P.M. aveva trasmesso detta memoria, e relativi allegati, al G.i.p., ex art. 291, comma 1, cod. proc. pen.
Si deduce che il Giudice del riesame, pur riconoscendo la mancanza di motivazione del G.i.p. in ordine alla memoria e relativi allegati, ha illegittimamente limitato l’accoglimento della doglianza ad alcune delle pratiche oggetto delle imputazioni, in relazione alle quali la difesa aveva allegato le certificazioni ed i rilievi fotografici del completamento dei lavori. Si osserva che, così facendo, il giudice del riesame si è illegittimamente sostituito al giudice cautelare, entrando nel merito della fondatezza delle argomentazioni difensive contenute nella predetta memoria, e decidendo di accoglierle solo in parte, in relazione ai contenuti
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di una consulenza tecnica allegata, invece di limitarsi a rilevare l’omessa motivazione in ordine alle stesse. Si aggiunge che la memoria forniva elementi non soltanto sulle pratiche per le quali il Tribunale ha disposto l’annullamento, ma anche sull’attività della “RAGIONE_SOCIALE“, ed al rifiuto, da parte questa società, di crediti per circa 25 milioni di euro (si indicano la pag. 10 della memoria e l’allegato n. 3); si sottolinea che l’omessa considerazione di questo rifiuto ha determinato il sequestro anche delle somme corrispondenti ai crediti connessi alle pratiche “rifiutate”.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e 640-bis cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta configurabilità dei reati posti a fondamento del sequestro preventivo.
Si deduce che il Tribunale del riesame ha illegittimamente confermato il decreto di sequestro preventivo, in quanto ha erroneamente ritenuto false le fatture ed ha erroneamente computato i profitti.
Si rappresenta, con riferimento alle fatture, che: a) le stesse non recano mai la dicitura “per fine lavori”, ma quella per «intervento superbonus come computo metrico per l’immobile»; b) il termine entro il quale i lavori indicati nelle fattur avrebbero dovuto essere terminati è il 31 dicembre 2023, mentre l’informativa denunciante il mendacio è di molto anteriore, siccome predisposta nel 2022. Si precisa che, a norma dell’art. 119, comma 8-bis, d.l. n. 34 del 2020, la proroga dell’aliquota al 110 % è riconosciuta a condizione dell’avvenuta effettuazione di almeno il 30 % dei lavori relativi all’intero intervento entro il 30 settembre 2022. Si aggiunge che la regolare realizzazione dei lavori alla data del 31 dicembre 2023 è confermata: 1) dalla attivazione di gran parte degli impianti fotovoltaici installati dalla “RAGIONE_SOCIALE” da parte dell’ente statale competente, il Gestore dei Servizi Energetici; 2) dalla ispezione sulla corretta messa in funzione delle caldaie da parte della società “RAGIONE_SOCIALE“, agente su incarico della Provincia di Lecce. Si rimarca, poi, che la verifica a campione su 29 appartamenti, a fronte dei 600 interessati, ha dato esito pienamente positivo circa il completamento dei lavori alla data del 31 dicembre 2023, e che l’informativa della Guardia di Finanza del 20 aprile 2023, sebbene successiva alla memoria della difesa, non è idonea a dimostrare il mendacio perché gli accertamenti si sono interrotti al più tardi nel dicembre 2022, quindi molto prima del 31 dicembre 2023.
Si evidenzia, con riferimento all’individuazione dei profitti, che questi non sono generati dalla mera emissione delle fatture, ma solo per effetto dell’utilizzazione del credito fiscale conseguito. Si segnala, poi, che, nel caso di specie, i crediti di imposta sono stati utilizzati solo in relazione ai lavori effettivamente svolti, perché la “RAGIONE_SOCIALE ha “rifiutato” i crediti relativi a lavori non anco
completati. Si precisa che, dopo l’emersione di criticità, è stato predisposto un sistema di controllo rigido, perché: a) la “RAGIONE_SOCIALE” ha rimesso alla società “RAGIONE_SOCIALE” il controllo sia sui documenti delle singole pratiche, sia sull’effettiva esecuzione dei lavori, compiuta mediante la realizzazione di video per ciascun cantiere; b) le banche cessionarie dei crediti hanno a loro volta controllato sia la documentazione sia i video dei cantieri. Si espone, poi, che la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha provveduto a non accettare i crediti presenti sul proprio cassetto fiscale generati dalle pratiche su cui riscontrava difformità, e che, in particolare: a) per quanto riguarda i «crediti tracciabili», alla data del 31 dicembre 2022 vantava crediti in fase di accettazione per 33.413.244,00 euro, crediti accettati per 3.296.343,00 euro e crediti rifiutati per 5.314.970,00 euro; b) per quanto riguarda i «crediti non tracciabili», alla data del 31 dicembre 2022, vantava crediti in fase di accettazione per 2.517.510,00 euro, crediti accettati per 33.428.023,85 euro e crediti rifiutati per 12.112.445,50 euro; c) ha rifiutato i crediti giacenti nel proprio cassetto fiscale ceduti da committenti i quali hanno presentato querela per i lavori commissionati, come verificato anche da un professionista a ciò appositamente incaricato. Si conclude che la “RAGIONE_SOCIALE” non ha conseguito alcun ingiusto profitto, né ha cagionato danni all’erario, perché ha utilizzato crediti solo per lavori eseguiti almeno per il 30 % del totale entro il 30 settembre 2022 e poi completati nei termini ed ha rifiutato o non accettato crediti che avrebbe maturato in un momento successivo a quello in cui sono stati inseriti nel suo cassetto fiscale per effetto delle asseverazioni redatte dai tecnici in via anticipata.
Successivamente alla presentazione della requisitoria scritta del Procuratore generale della Corte di cassazione, il ricorrente ha depositato memoria, sottoscritta dall’Avv. NOME COGNOME nella quale si ripropongono e si sviluppano le censure formulate nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano la violazione del diritto della difesa di discutere per ultima davanti al Tribunale del riesame, anche perché questa soluzione ha comportato l’impossibilità per la difesa di interloquire su una memoria e su documenti prodotti dal P.M. al Giudice nell’ambito della procedura camerale.
2.1. Innanzitutto, secondo un principio di costante applicazione, non determina la nullità del procedimento di riesame lo svolgimento della discussione con l’intervento del difensore che preceda quello del pubblico ministero, in quanto non trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 523 cod. proc. pen. per lo svolgimento della discussione in dibattimento, secondo cui l’imputato e il difensore devono avere in ogni caso la parola per ultimi se la domandano (cfr., tra le tantissime: Sez. 6, n. 45182 del 19/09/2019, Greco, Rv. 277383 – 01; Sez. 4, n. 19200 del 12/04/2016, Mileto, Rv. 266845 – 01; Sez. 4. N. 12482 del 02/02/2011, COGNOME, Rv. 250129 – 01).
Invero, si è da tempo sottolineato che il richiamo all’art. 523 cod. proc. pen. nelle procedure camerali non è pertinente perché diverse sono la struttura e le finalità della procedura camerale, che ha natura incidentale, strumentale e provvisoria (vale a dire allo stato degli atti), da quelle del dibattimento, che rappresenta il momento della piena cognizione ed ha carattere definitivo (così Sez. 6, n. 1626 del 28/04/1995, La Vigna, Rv. 201838 – 01). E, ancora, ad ulteriore fondamento del principio, si è osservato che, nella discussione orale relativa ai procedimenti in camera di consiglio, trattandosi di una procedura più snella, la nullità consegue solo nell’ipotesi prevista dal combinato disposto dell’art. 127, commi 3 e 5, cod. proc. pen., qualora il difensore comparso non sia sentito dal giudice, restando quindi irrilevante l’ordine degli interventi (Sez. 6, n. 9250 del 26/01/2005, Faro, Rv. 230939 – 01).
2.2. Nella specie, inoltre, deve escludersi che la difesa abbia subito limiti al diritto di argomentare in ordine alle produzioni del Pubblico Ministero.
Invero, nel verbale del 5 luglio 2024 relativo al procedimento di riesame davanti al Tribunale di Lecce si attesta, per quanto di interesse in questa sede, che: 1) il Difensore ha chiesto di replicare sul contenuto della memoria depositata dal P.M. e sui documenti ad essa allegati; 2) il Giudice ha escluso repliche sugli argomenti esposti dal P.M. e sui documenti già presenti agli atti, ed ha ammesso il Difensore a replicare sulla documentazione prodotta dal P.M. in udienza, costituita da modelli F24, acquisiti ed esibiti per rispondere alle argomentazioni della difesa; 3) il Difensore ha dichiarato di non avere «al momento» l’esigenza di formulare osservazioni sui modelli F24.
Poste queste indicazioni del verbale di udienza, può concludersi che il Difensore è stato ammesso a discutere su tutti gli elementi acquisiti alla procedura ed utilizzabili ai fini della decisione.
Infondate sono le censure esposte nel secondo motivo, che contestano la violazione, nell’ordinanza impugnata, del dovere di annullare l’ordinanza applicativa di misura interdittiva nella sua totalità, a norma del combinato disposto / i
degli artt. 309, comma 9, e 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., per avere quest’ultima omesso di motivare in ordine agli elementi forniti dalla difesa, costituiti da una memoria, e relativi allegati, depositata nella segreteria del P.M. in fase di indagini.
3.1. Appare utile, per l’individuazione dell’esatto ambito del quesito di diritto rilevante in questa sede, precisare qual è l’effettivo contenuto dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha esaminato le deduzioni dell’attuale ricorrente in ordine alle lacune dell’ordinanza genetica nella valutazione degli elementi forniti dalla difesa mediante memoria nel corso delle indagini.
L’ordinanza impugnata, per quanto si evince dalla sua motivazione, ha, con riguardo alle allegazioni dalla difesa mediante memoria nel corso delle indagini, distinto tra elementi forniti dalla difesa che il G.i.p. non ha esaminato, elementi forniti dalla difesa che il G.i.p., sia pure senza espresso riferimento alla memoria, ha invece esaminato, e mere prospettazioni difensive.
Il Tribunale, precisamente, ha osservato che: a) le certificazioni rilasciate dal geometra NOME in relazione a singole pratiche precisamente individuate, costituiscono elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. cbis), cod. proc. pen. in ordine ai quali il G.i.p. non ha espresso alcuna valutazione; b) le indicazioni sui rifiuti dei crediti di imposta da parte della società gestit dall’attuale ricorrente in relazione a singole pratiche costituiscono elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen. in ordine ai quali il G.i.p. ha esibito una motivazione “effettiva”, pur senza richiamare la memoria difensiva; c) i rilievi sulla “buona fede” dell’indagato, fondati sull’avere lo stesso rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi, sulla destinazione dei crediti al pagamento delle imposte, e sulla “legittimità differita” delle attestazioni, “non” costituiscono elementi forniti dall difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., bensì mere argomentazioni.
E, sulla base di questa distinzione, ha disposto l’annullamento dell’ordinanza genetica soltanto con riguardo ai reati ai quali si riferiscono gli elementi forniti dalla difesa che detto provvedimento non risulta aver preso in considerazione, e che non costituiscono mere argomentazioni.
È per queste ragioni che l’ordinanza genetica è stata annullata solo con riferimento ai reati ipotizzati con riferimento alle pratiche alle quali si riferiscon le certificazioni rilasciate dal geometra COGNOME e confermata nel resto.
3.2. In considerazione dei fatti processuali rilevati, i quesiti da esaminare sono due: il primo concerne l’individuazione della nozione di elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen.; il secondo riguarda la “frazionabilità” dell’ordinanza e l’ammissibilità di un annullamento dei soli titoli
della misura cautelare ai quali si riferiscono gli elementi forniti dalla difesa e non valutati dal primo giudice.
Invero, che la nullità di cui al combinato disposto degli artt. 309, comma 9, e 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., sia rilevabile anche in materia di misure cautelari reali costituisce principio enunciato anche dalle Sezioni Unite. Queste, infatti, hanno affermato che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma 9 dell’art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili – in virtù del rinvio operato dall’art. 324, comma 7 dello stesso codice – in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa (così Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789 – 01).
3.2.1. Per quanto attiene al primo quesito, il Collegio ritiene di dover muovere dai principi costantemente espressi in giurisprudenza in ordine alla nozione di elementi favorevoli alla difesa a norma dell’art. 292 cod. proc. pen.
Invero, si è più volte precisato che, in tema di misure cautelari, nella nozione di “elementi a favore” che devono essere valutati dal giudice a pena di nullità dell’ordinanza, rientrano soltanto elementi di natura oggettiva e concludente, rimanendo escluse le mere posizioni difensive negatorie, le semplici prospettazion i di tesi alternative e gli assunti chiaramente defatigatori, così come non vi rientrano le interpretazioni alternative degli elementi indiziari, che restano assorbite nel complessivo apprezzamento operato dal giudice della libertà (Sez. 5, n. 44341 del 13/05/2019, Paris, Rv. 277127 – 01, e Sez. 6, n. 12442 del 09/03/2011, COGNOME, Rv. 249641 – 01). E che la disposizione di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen., in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato, non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive – in sede di riesame – la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori: invero, nella nozione di “elementi di favore” rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali sono assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 13500 del 13/03/2008,
COGNOME, Rv. 239760 – 01, e Sez. 4, n. 34911 del 10/06/2003, COGNOME, Rv. 226289 – 01).
Più in generale, ma sempre nella medesima prospettiva, si è affermato che l’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. non impone al giudice del riesame l’indicazione di qualsiasi elemento ritenuto favorevole dal difensore, né la confutazione di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori, essendo gli ulteriori elementi assorbiti nella valutazione complessiva del giudice che, rilevati i gravi indizi, applica la misura cautelare (così, tra le tante, Sez. 1, n. 8236 del 16/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275053 – 01, e Sez. 6, n. 3742 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254216 – 01, la quale ha escluso l’obbligo di motivazione con riguardo alle deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda). Ovvero, che l’obbligo di trasmissione al giudice, unitamente alla richiesta di misura cautelare, oltre che degli elementi posti a base della richiesta, di tutti gli elementi favorevoli all’imputato, ha riguardo soltanto a quegli elementi che hanno un’oggettiva natura favorevole e non anche a quelli che possano apparire favorevoli in forza di argomentazioni o ricostruzioni logiche (vds., in particolare, Sez. 1, n. 57839 del 04/10/2017, Navarria, Rv. 271919 – 01, e Sez. 4, n. 27379 del 22/04/2010, COGNOME, Rv. 247854 – 01).
In linea con queste indicazioni, appare ragionevole concludere che gli «elementi forniti dalla difesa», in ordine ai quali l’ordinanza applicativa di misura cautelare deve motivare a pena di nullità a norma dell’art. 292, comma 2, lett. cbis), cod. proc. pen., sono i soli dati di natura oggettiva aventi rilievo diretto e concludente ai fini della decisione. E, di conseguenza, che, aditi in sede di impugnazione per verificare la sussistenza della nullità di cui all’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., il Tribunale del riesame e la Corte di cassazione possano valutare se l’omessa valutazione censurata attenga a dati che abbiano tale natura e consistenza.
3.2.2. Per quanto attiene al secondo quesito, il Collegio ritiene che sia giuridicamente corretto un annullamento parziale dell’ordinanza impositiva di misura cautelare, limitato ai soli reati ai quali si riferiscono gli elementi forniti dal difesa e non valutati dal primo giudice.
In linea generale, è indiscussa la legittimità dell’annullamento dell’ordinanza cautelare solo in relazione ad alcuni dei reati, ossia dei titoli di applicazione della misura, fermi restando gli altri.
In proposito, può essere utile ricordare, tra l’altro, che questa premessa costituisce il presupposto ineliminabile del principio secondo cui, nel caso di provvedimento cautelare adottato per più reati, è ammissibile l’impugnazione
limitata ad una sola imputazione, sebbene, proprio per questa ragione, l’eventuale accoglimento del gravame non determina il venir meno della misura disposta con l’ordinanza impugnata (cfr., per tutte, Sez. U, n. 7 del 11/05/1993, R., Rv. 193746 – 01, nonché Sez. 3, n. 16516 del 11/03/2021, NOME COGNOME Rv. 281607 – 01).
Questo principio, inoltre, deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui l’ordinanza cautelare sia affetta da vizi formali che attengano solo ad alcune delle imputazioni poste a suo fondamento. Anche in questa ipotesi, infatti, non vi sono ragioni per ritenere inscindibile ciò che tale non è in ragione del concreto sviluppo del procedimento.
Una conferma di questa conclusione è offerta dalla giurisprudenza in relazione al mancato espletamento dell’interrogatorio in caso di rinnovazione della misura cautelare a norma dell’art. 27 cod. proc. pen.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui, in tema di misure cautelari emesse ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. in relazione ad una pluralità di reati, l’inefficacia della misura, prevista dall’art. 302 cod. proc. pen., conseguenza del mancato espletamento dell’interrogatorio per effetto della contestazione di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli del precedente titolo cautelare, opera limitatamente ai fatti-reato rispetto ai quali sia stato omesso il predetto adempimento (così, tra le tante, Sez. 6, n. 2057 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272136 – 01, e Sez. 6, n. 35887 del 02/07/2004, COGNOME, Rv. 229962 – 01).
Ed è importante evidenziare che, a fondamento di questo principio, si è espressamente osservato che non è ravvisabile nel sistema il principio dell’unicità’ ed indissolubilità dell’ordinanza cautelare per cui, se il vizio inerisce solo ad una parte distinta e autonoma della contestazione, il provvedimento perde efficacia nella parte viziata ma rimane valido in quella non inficiata (così, in particolare, Sez. 6, n. 2057 del 2018 cit., e Sez. 3, n. 3512 del 16/10/1996, Tsangeris, Rv. 206285 – 01).
3.3. Facendo applicazione dei principi precedentemente indicati nei §§ 3.2.1 e 3.2.2, l’ordinanza impugnata risulta immune dai vizi denunciati nel seconde motivo di ricorso.
3.3.1. In primo luogo, posto che gli «elementi forniti dalla difesa», in ordine ai quali l’ordinanza applicativa di misura cautelare deve motivare a pena di nullità a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen., sono i soli dati di natura oggettiva aventi rilievo diretto e concludente ai fini della decisione, correttamente l’ordinanza impugnata ha escluso lacune con riguardo a profili diversi da quelli attinenti alle certificazioni rilasciate dal geometra NOME in relazione a singole pratiche precisamente individuate.
Occorre innanzitutto premettere le deduzioni fondate sui rifiuti dei crediti di imposta da parte della società gestita dall’attuale ricorrente in relazione a singole pratiche, ossia l’elemento specificamente indicato nel ricorso come pretermesso, hanno trovato, come rimarcato dal Tribunale del riesame, una effettiva risposta anche nell’ordinanza genetica emessa dal G.i.p.
L’ordinanza del riesame, infatti, in proposito, rappresenta: «deve osservarsi come il Giudice della Cautela abbia in ogni caso dato esplicitamente atto di ogni singola pratica in cui la società del Cursano aveva rifiutato in tutto o in parte i crediti d’imposta (cfr. pag. 170, 172, 179, 187, 215, 219, 334), espressamente rilevando che “Con riferimento ai crediti d’imposta ‘rifiutati’ dalla società appare significativo evidenziare l’enorme incremento rilevato tra il mese di ottobre 2022 e quello di gennaio 2023 che verosimilmente è riconducibile, a seguito dell’intervento operativo della PG procedente, al tentativo di porre rimedio alle condotte fraudolente poste in essere”».
Né può ritenersi che l’ordinanza genetica sul punto sia incorsa in una lacuna solo perché non ha richiamato formalmente la memoria in cui erano enunciate le deduzioni appena riassunte: ciò che conta è che il G.i.p. si sia effettivamente , confrontato con gli elementi forniti dalla difesa ed abbia spiegato perché gli stessi, a suo avviso, non possano ritenersi idonei ad escludere l’efficacia dimostrativa degli elementi a carico.
Va poi osservato che i rilievi sulla “buona fede” dell’indagato, fondati sull’avere lo stesso rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi, sull’utilizzo dei crediti fiscali conseguiti per il pagamento del imposte, e sulla “legittimità differita” delle attestazioni, correttamente sono stati qualificati mere argomentazioni difensive, e non «elementi forniti dalla difesa» a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen.
Il rilievo concernente l’asserita “buona fede” dell’indagato, derivante dall’avere il medesimo rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi e dall’avere utilizzato i crediti fiscali conseguiti pe pagamento delle imposte, non costituisce un dato di natura oggettiva avente rilievo diretto e concludente ai fini della decisione, bensì un mero argomento, fondato su circostanze del tutto estranee ai fatti oggetto delle imputazioni. Queste, infatti, attengono alla truffa aggravata commessa mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, e la formazione di falsi certificati rilasciati da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, per strumentalizzare le disposizioni agevolative del c.d. “superbonus” previste dall’art. 121 d.l. n. 34 del 2020, in modo da ottenere il riconoscimento di falsi crediti di imposta da cedere poi a terzi. In ogni caso, il ricorso non svolge precise osservazioni in ordine a detto profilo, né specifica in alcun modo quale sarebbe il collegamento tra le fideiussioni e le
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garanzie rilasciate dall’attuale ricorrente, o i pagamenti effettuati con i crediti indebitamente conseguiti, e le pratiche interessate dai reati posti a fondamento dell’ordinanza cautelare (o la loro gestione).
Il rilievo relativo alla “legittimità differita”, secondo cui le condotte dirette conseguire i crediti di imposta sarebbero legittime anche se le attestazioni riguardino lavori in realtà non ancora eseguiti o terminati, ma comunque realizzati o completati in data successiva a quella in cui è rilasciata la relativa certificazione, costituisce un mero argomento in diritto, come evidenziato dal Tribunale. Inoltre, per quanto emerge dall’ordinanza impugnata, e non è in alcun modo contestato nel ricorso, la documentazione funzionale ad attestare che i lavori sarebbero stati comunque completati, sia pure in data successiva a quella della certificazione, è stata prodotta esclusivamente in ordine a quelle pratiche in relazione alle quali il Tribunale ha disposto l’annullamento parziale del provvedimento del G.i.p.
3.3.2. In secondo luogo, posto che è giuridicamente ammissibile un annullamento parziale dell’ordinanza impositiva di misura cautelare, limitato ai soli reati ai quali si riferiscono gli «elementi forniti dalla difesa» di cui all’art. 2 comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., e non valutati dal primo giudice, correttamente l’ordinanza impugnata ha ritenuto di confermare il provvedimento applicativo per i reati in ordine ai quali tali elementi non hanno diretta pertinenza.
In proposito, infatti, appare utile segnalare che non è rilevabile, né è stato prospettato, un legame di inscindibilità tra i fatti per i quali è stato dispost l’annullamento e i fatti per i quali è stata confermata l’ordinanza genetica, tale da rendere questi ultimi non configurabili, o non perseguibili, in conseguenza della caducazione del titolo nella parte relativa agli altri.
4. Manifestamente infondate, se non diverse da quelle consentite in sede di legittimità, sono le censure enunciate nel terzo motivo, le quali contestano l’affermazione della configurabilità dei reati posti a fondamento della misura cautelare reale, deducendo, in particolare, che le fatture non recano annotazioni mendaci, perché non contengono la dicitura “per fine lavori”, che il termine di ultimazione dei lavori è il 31 dicembre 2023, che vari elementi fattuali inducono a ritenere rispettato tale termine, e che i crediti fiscali sono stati utilizzati solo c riferimento ai lavori effettivamente eseguiti e poi completati nei termini.
L’ordinanza impugnata indica in modo dettagliato le ragioni per le quali deve ritenersi sussistente il fumus commissi delicti dei reati posti a base del sequestro e si confronta in modo puntuale con le obiezioni formulate dalla difesa in proposito.
Il Tribunale premette che le falsità nelle asseverazioni sui lavori compiuti sono riferibili all’attuale ricorrente, e non ad iniziative autonome dei professionisti, gi poiché le stesse sono poste a fondamento di un numero imponente di fatture da GLYPH ,
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parte della società del medesimo, la “RAGIONE_SOCIALE“, la quale ha avuto come attività esclusiva la gestione di pratiche connesse al c.d. superbonus del 110 %. Precisa, poi, che le specificate asseverazioni hanno costituito il presupposto indispensabile per l’emissione delle fatture relative ai lavori per i quali è previsto il cd. superbonus, e che sono state prodotte per il conseguimento dei crediti fiscali fittizi. Aggiunge, inoltre, che, nelle memorie difensive, si ammette inequivocabilmente la consapevolezza, da parte della società gestita dall’attuale ricorrente, della falsità delle asseverazioni sui lavori compiuti: in tali atti, si affer esplicitamente che la società «cercava di trovare una soluzione alle criticità emerse, dapprima valutando se fosse possibile ri-asseverare le pratiche a SAL (ossia osservando la corretta procedura e le corrette tempistiche), soluzione, tuttavia, non percorribile in quanto presso gli uffici di competenza “era già stata notificata la fine dei lavori”; in seconda battuta, in accordo con gli asseveratori, emettendo note di credito e riemettendo le fatture delle spese tecniche nuovamente accordate con i tecnici, inferiori ai precedenti e conformi ai lavori effettivamente eseguiti».
Il Tribunale, quindi, osserva che le falsità nelle asseverazioni attengono a ben 595 pratiche, tutte analiticamente analizzate dai militari della Guardia di Finanza, con esiti documentati anche mediante rilievi fotografici. Rappresenta che le false asseverazioni attestano la definitiva ultimazione dei lavori, sebbene nessuno di questi, al momento dell’attestazione, come accertato nei sopralluoghi, fosse stato completato, perché le operazioni o erano ancora in itinere, stante la sola consegna dei materiali, ma senza alcuna messa in opera, o non erano state neppure avviate. Rileva, in particolare, che: a) la consegna dei materiali non può costituire equivalente della ultimazione dei lavori; b) le attestazioni asseverano inequivocabilmente l’ultimazione dei lavori nell’anno 2022, e, come tali, non possono essere intese come relative a lavorazioni parziali per la quota del 30 %; c) la memoria dà conferma del mendacio, laddove afferma che la società ha agito, «in seconda battuta, in accordo con gli asseveratori, emettendo note di credito e riemettendo le fatture delle spese tecniche nuovamente accordate con i tecnici, inferiori ai precedenti e conformi ai lavori effettivamente eseguiti». Evidenzia, infine, che i Modelli F24 prodotti in udienza camerale dal Pubblico Ministero, e in relazione ai quali la difesa è stata posta in grado di interloquire, consentono di constatare che la società gestita dall’attuale ricorrente ha in realtà proceduto ad incassare i crediti fiscali indebitamente conseguiti attraverso le false attestazioni e le conseguenti false fatture.
5. Alla complessiva infondatezza delle censure proposte seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/11/2024.