Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21862 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21862 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA •
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato in Tunisia il 28/10/1994; avverso l’ordinanza del Tribunale di Ravenna del 19 settembre 2024; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 settembre 2024, il Tribunale di Ravenna ha rigettato l’istanza di riesame proposta dal NOMECOGNOME imputato per reati di stupefacenti, avverso il provvedimento di sequestro preventivo della somma di euro 38.555,00, disposto dal GIP del medesimo Tribunale di Ravenna in data 29 agosto 2024.
Avverso l’ordinanza, l’imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 253, comma 1, e 321 cod. proc. pen., in ordine all’apparato argomentativo su cui si sarebbe basato il sequestro. Nello specifico, il Tribunale avrebbe valutato la sussistenza del periculum in mora in relazione all’asserita rilevante quantità di stupefacente reperita in possesso del ricorrente, omettendo di fornire adeguata motivazione circa la funzionalità del sequestro.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della violazione dell’art. 85-bis del d.P.R. 309 del 1990, dal momento che la misura sarebbe stata disposta in assenza dei presupposti applicativi richiesti dalla legge, rendendo il provvedimento ablativo illegittimo.
2.3. Con un ultimo motivo di ricorso, l’imputato si duole dell’assenza di motivazione circa la sussistenza del vincolo pertinenziale tra la somma oggetto di sequestro e il reato contestato all’imputato. Più precisamente, il Tribunale avrebbe omesso di valutare la provenienza lecita del denaro e la circostanza che nel 2021 era stata dissequestrata a favore dell’imputato una somma di denaro da lui legittimamente detenuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo – relativo alla carenza di motivazione circa i presupposti applicativi della misura oggetto di contestazione – è inammissibile, in quanto generico e diretto ad ottenere una sostanziale rivalutazione delle risultanze probatorie, preclusa dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
La difesa articola la propria doglianza facendo esclusivo riferimento alla giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., ossia al sequestro preventivo di cose destinate alla confisca (tra tutte, Sez. U., n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848, citata nel ricorso). Tuttavia, nel caso in esame, il decreto di sequestro preventivo (pag. 6 del provvedimento) concerneva sia tale ipotesi sia quella del sequestro preventivo impeditivo di cui al comma 1 del citato articolo, in relazione al quale il GIP evidenziava che vi era il concreto pericolo che la libera disponibilità dei beni potesse protrarre e aggravare le conseguenze dei reati per cui si procede, agevolando il reinvestimento dell’ingente quantità di contante rinvenuta nell’attività di narcotraffico.
Con tale ratio decidendi il ricorrente omette totalmente di confrontarsi, non chiarendo i motivi per cui non sussisterebbe il periculum in mora oggetto di contestazione. Per contro, il Tribunale del riesame offre ampia motivazione sul punto, evidenziando come il rilevante quantitativo di droga reperito e la organicità
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e professionalità del traffico concretamente organizzato dall’indagato si collegasse logicamente con la necessità per l’Hajri di muovere continuativamente cospicue somme di denaro in entrata ed in uscita, sia per rivendere sostanze in suo possesso sua per acquistarne di ulteriori.
1.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’assenza dei presupposti applicativi della misura oggetto di contestazione, è anch’esso inammissibile.
Il ricorrente offre un’argomentazione carente sia in fatto che in diritto, omettendo di delineare chiaramente quali sarebbero le circostanze per le quali il giudice non avrebbe potuto disporre la misura. Ci si limita a contestare apoditticamente – con la citazione di precedenti giurisprudenziali, tanto noti quanto irrilevanti – la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 85-bis del d.P.R. 309 del 1990, omettendo di confrontarsi con quanto affermato dal Tribunale, il quale, correttamente, evidenzia come gli elementi indicati nell’ordinanza cautelare appaiano gravemente indicativi di una effettiva, estrema e continuativa prossimità dell’imputato a fonti primarie di approvvigionamento di cocaina e hashish, ovvero di un suo stabile inserimento nel traffico di stupefacenti, sia per attività di piccol e medio spaccio, sia per lo smercio di quantità ingenti di sostanza (pag. 4 del provvedimento). Inoltre, è pacifico che ai fini della confisca, al di là del titolo reato, occorra unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, purc dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata; sproporzione sulla quale la difesa sostanzialmente nulla obietta.
1.3. Il terzo motivo, relativo all’assenza del nesso di pertinenzialità tra l somma di denaro oggetto di sequestro e il reato contestato all’imputato, è inammissibile.
Ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ex lege, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi. Il Gip ha correttamente evidenziato come il possesso dell’ingente quantità di denaro da parte dell’COGNOME risultasse palesemente sproporzionato rispetto alla capacità economica dello stesso, privo di occupazione lecita.
Ebbene, nel prospettare la provenienza lecita di tali somme, la difesa non offre alcuna documentazione o elemento sostanziale volto a comprovare l’attività lavorativa dell’indagato, limitandosi ad indicare che nel 2021 allo stesso era stata
sequestrata una somma successivamente restituita a seguito di annullamento.
Ebbene, come correttamente evidenziato dal Tribunale, la circostanza che la somma oggetto dell’attuale sequestro possa coincidere con quella
precedentemente restituita, è del tutto generica e priva di ogni fondamento, soprattutto in virtù del lasso di tempo intercorso tra l’applicazione delle due misure
e della fungibilità del bene.
2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/11/2024.