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Sequestro preventivo stupefacenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di sequestro preventivo stupefacenti. La sentenza conferma che il Tribunale del riesame può integrare la motivazione del G.i.p. e ribadisce i criteri per la valutazione del ‘periculum in mora’ e la quantificazione del profitto illecito, anche quello derivante da un’associazione criminale. La Corte ha ritenuto le censure del ricorrente come tentativi di riesaminare il merito, inammissibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Stupefacenti: Poteri del Riesame e Calcolo del Profitto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 39147 del 2024, offre importanti chiarimenti in materia di sequestro preventivo stupefacenti. La pronuncia si sofferma sul ruolo del Tribunale del riesame, sui requisiti di motivazione del provvedimento e sulle modalità di calcolo del profitto illecito, specialmente in contesti di criminalità organizzata. Questa decisione consolida principi fondamentali per il contrasto patrimoniale al narcotraffico.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) del Tribunale di Trento emetteva un decreto di sequestro preventivo sui beni dell’indagato, finalizzato alla confisca del profitto del reato, quantificato in oltre 4 milioni di euro.

L’indagato proponeva riesame avverso il decreto, ma il Tribunale confermava la misura. Di conseguenza, l’interessato ricorreva per cassazione, articolando quattro motivi di doglianza:
1. Mancanza di un’autonoma valutazione da parte del G.i.p. sul quantum del profitto da sequestrare.
2. Violazione di legge per carenza di motivazione su specifici punti relativi al calcolo del profitto.
3. Vizio di motivazione in merito al periculum in mora, ovvero il rischio di dispersione dei beni.
4. Errata applicazione delle norme sulla confisca e adesione acritica del G.i.p. alle richieste investigative.

La Decisione della Corte di Cassazione e il sequestro preventivo stupefacenti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La sentenza analizza punto per punto i motivi del ricorso, fornendo una guida chiara sui poteri del giudice del riesame e sui presupposti del sequestro.

La Motivazione ‘per relationem’ e il Ruolo Integrativo del Riesame

Il primo motivo, relativo alla presunta assenza di valutazione autonoma da parte del G.i.p., è stato giudicato un vizio meramente formale. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il Tribunale del riesame ha il potere di integrare e completare la motivazione del provvedimento impugnato. Anche se la motivazione del G.i.p. era sintetica e faceva riferimento (per relationem) a una nota della Guardia di Finanza, il Tribunale del riesame ha potuto esaminare nel merito la quantificazione del profitto, giudicandola congrua. Questo sana eventuali lacune originarie, purché il provvedimento iniziale contenga gli elementi essenziali per essere compreso.

La Quantificazione del Profitto e i Limiti del Giudizio di Legittimità

Il secondo motivo, che criticava i criteri di calcolo del profitto, è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha sottolineato che il ricorso per cassazione contro le misure cautelari reali è consentito solo per violazione di legge, non per riesaminare il merito dei fatti. Le censure del ricorrente (sull’errato calcolo, sull’uso di moltiplicatori, sulla mancata detrazione di somme) costituivano contestazioni fattuali che esulavano dai poteri cognitivi della Suprema Corte. Il Tribunale del riesame aveva adeguatamente motivato la sua decisione, e il ricorrente non aveva fornito elementi concreti, come una consulenza di parte, per smentire i calcoli degli inquirenti.

Il ‘Periculum in Mora’ nel sequestro preventivo stupefacenti

Anche il terzo motivo, riguardante il periculum in mora, è stato respinto. La Corte ha chiarito che, sebbene il sequestro sia finalizzato a una confisca obbligatoria, non opera alcun automatismo. È sempre necessaria una motivazione, seppur concisa, sul rischio concreto che i beni possano essere dispersi. In questo caso, il G.i.p. aveva adeguatamente evidenziato tale rischio, facendo riferimento alla professionalità dell’indagato nel narcotraffico e alla sua tendenza a reimpiegare i profitti illeciti per acquistare nuove forniture di droga. Questa è stata considerata una motivazione sufficiente e non meramente apparente.

Confisca del Profitto dell’Associazione Criminale

Infine, la Corte ha rigettato la quarta censura. Ha spiegato che, nel caso di un’associazione per delinquere, il profitto sequestrabile è quello dell’intera associazione, che è autonomo e distinto dai profitti dei singoli reati-fine. Tale profitto è costituito dal complesso dei vantaggi economici ottenuti dal gruppo criminale e può essere sequestrato per intero nei confronti di uno o più associati, anche non identificati. La natura stessa del sodalizio criminale è funzionale alla ripartizione degli utili, rendendo legittimo l’aggressione patrimoniale nei confronti dei suoi membri per il profitto complessivo generato.

Le motivazioni

La decisione della Corte di Cassazione si fonda su principi giuridici consolidati. In primo luogo, viene riaffermata la piena devoluzione della materia al Tribunale del riesame, che può e deve integrare le motivazioni del primo giudice, sanando eventuali vizi non radicali. In secondo luogo, si traccia una netta linea di demarcazione tra il giudizio di legittimità, limitato alla violazione di legge, e il giudizio di merito, che compete ai giudici delle fasi precedenti. Le critiche alla quantificazione del profitto, se non si traducono in un’evidente illogicità della motivazione, diventano questioni di fatto non sindacabili in Cassazione. Infine, la Corte offre una lettura rigorosa delle norme sulla confisca in materia di criminalità organizzata, riconoscendo l’autonomia del profitto associativo e la possibilità di aggredirlo in capo a qualsiasi partecipe, in virtù del comune programma criminoso.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza gli strumenti di contrasto patrimoniale al narcotraffico. Stabilisce che una motivazione sintetica del G.i.p. non invalida il sequestro se il Tribunale del riesame svolge un’analisi completa e approfondita. Conferma, inoltre, che il rischio di dispersione dei beni può essere desunto dalla professionalità criminale dell’indagato. Soprattutto, ribadisce la possibilità di sequestrare l’intero profitto di un’associazione criminale a uno solo dei suoi membri, un principio di fondamentale importanza per rendere efficace l’azione di recupero dei proventi illeciti e colpire al cuore le organizzazioni criminali.

Il Tribunale del riesame può integrare la motivazione di un decreto di sequestro preventivo?
Sì. Secondo la Corte, il Tribunale del riesame ha il potere di integrare e completare la motivazione del provvedimento del G.i.p., sanando eventuali vizi motivazionali che non ne comportino la nullità, purché il provvedimento originario contenga gli elementi essenziali per essere compreso.

Per un sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria è sempre necessaria la motivazione sul ‘periculum in mora’?
Sì. La Corte ha ribadito che non esiste un automatismo. Anche quando il sequestro è finalizzato a una confisca obbligatoria per legge, il giudice deve fornire una motivazione, seppur concisa, sulle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo, ovvero sul rischio concreto che i beni possano essere dispersi prima della sentenza definitiva.

Come viene calcolato e a chi può essere sequestrato il profitto di un’associazione a delinquere?
Il profitto dell’associazione è un’entità autonoma rispetto ai profitti dei singoli reati commessi. È costituito dal complesso dei vantaggi economici derivanti dal programma criminoso e può essere sequestrato, anche per l’intero ammontare, nei confronti di uno o più associati, anche se non identificati, poiché l’associazione stessa è funzionale alla ripartizione degli utili tra i membri.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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