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Sequestro preventivo stipendio: limiti e tutele

Un pubblico ufficiale subisce un sequestro preventivo per peculato. La Cassazione annulla parzialmente l’ordinanza, affermando che i limiti di pignorabilità dello stipendio si applicano anche al sequestro preventivo stipendio. La verifica di tali limiti deve avvenire in fase cautelare, non esecutiva.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo stipendio: la Cassazione fissa i paletti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 35868 del 2024, interviene su un tema di grande rilevanza pratica: i limiti al sequestro preventivo stipendio finalizzato alla confisca. La Corte stabilisce un principio fondamentale: le tutele previste per garantire il minimo vitale al lavoratore, sancite dal codice di procedura civile, devono essere applicate e verificate già nella fase cautelare del procedimento penale, e non possono essere rimandate alla successiva fase esecutiva.

Il caso: peculato e sequestro sul conto corrente

I fatti alla base della pronuncia riguardano un pubblico ufficiale, direttore di uno stabilimento, accusato di essersi appropriato di ingenti quantitativi di tabacchi lavorati esteri sottoposti a sequestro. A seguito delle indagini, il Giudice disponeva un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta o per equivalente, per un valore di oltre 147.000 euro, ritenuto il profitto del reato di peculato (art. 314 c.p.).

Il sequestro colpiva, tra le altre cose, un conto corrente cointestato all’indagato e alla moglie, alimentato in gran parte dal suo stipendio. La difesa presentava istanza di riesame, chiedendo l’annullamento del provvedimento o, in subordine, la sua riduzione, invocando l’impignorabilità parziale delle somme derivanti da rapporto di lavoro, come previsto dall’art. 545 del codice di procedura civile.

Il Tribunale del Riesame rigettava la richiesta, pur riconoscendo in astratto il principio di impignorabilità. Secondo il Tribunale, tuttavia, la tutela delle condizioni minime di vita poteva essere garantita in un secondo momento, ovvero nella fase esecutiva, attraverso la sostituzione dei beni sequestrati. Contro questa decisione, la difesa ricorreva in Cassazione.

I motivi del ricorso in Cassazione

Il difensore sollevava diverse questioni, tra cui vizi procedurali relativi ai termini per la decisione e alla mancata acquisizione di prove (intercettazioni). Tuttavia, il motivo che ha trovato accoglimento è stato il quarto, relativo proprio alla violazione dell’art. 545 c.p.c. e alla mancata riduzione del vincolo reale sulle somme derivanti dallo stipendio.

La decisione sul sequestro preventivo stipendio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso su questo punto cruciale, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Gli Ermellini hanno chiarito che il rinvio della verifica sui limiti di pignorabilità alla fase esecutiva è un errore di diritto.

Il principio, già affermato dalle Sezioni Unite (sent. Cinaglia, n. 26252/2022), è che i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, salario o altre indennità simili si applicano anche alla confisca penale e al sequestro ad essa finalizzato.

le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sul principio di proporzionalità della misura cautelare. Tale principio, sancito sia a livello nazionale (art. 275 c.p.p.) che sovranazionale (diritto dell’Unione Europea e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), impone un giusto equilibrio tra l’interesse dello Stato a reprimere i reati e a confiscarne i profitti, e la necessità di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui quello a un’esistenza libera e dignitosa (il cosiddetto “minimo vitale”).

Secondo la Corte, il limite di pignorabilità posto dall’art. 545 c.p.c. è espressione di questo bilanciamento e ha un fondamento costituzionale. Pertanto, la sua applicazione non può essere posticipata. Differire la verifica alla fase esecutiva significherebbe svuotare di significato la tutela, lasciando il soggetto privo delle risorse minime per vivere durante tutta la durata del processo.

Il Tribunale del Riesame, quindi, avrebbe dovuto verificare immediatamente se i versamenti sul conto corrente fossero effettivamente riconducibili allo stipendio e, in caso affermativo, applicare i limiti di sequestrabilità previsti dalla legge, liberando le somme necessarie al sostentamento dell’indagato e della sua famiglia.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza un principio di civiltà giuridica: anche di fronte a gravi accuse, le misure cautelari reali non possono mai compromettere il nucleo essenziale dei diritti della persona. Il sequestro preventivo stipendio è legittimo, ma solo entro i limiti stabiliti dalla legge a protezione del minimo vitale. La verifica di questi limiti è un compito che spetta al giudice della fase cautelare, il quale deve effettuare un accertamento immediato e non può delegarlo a momenti successivi. L’eventuale eccedenza del profitto del reato rispetto alle somme dissequestrate potrà essere oggetto di sequestro su altri beni, se disponibili, nel patrimonio dell’indagato.

I limiti di pignorabilità dello stipendio valgono anche per il sequestro preventivo penale?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando un principio affermato dalle Sezioni Unite, ha stabilito che i limiti di impignorabilità delle somme percepite a titolo di stipendio o salario, previsti dall’art. 545 del codice di procedura civile, si applicano anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

In quale fase del procedimento deve essere verificato il rispetto di questi limiti?
La verifica deve avvenire immediatamente, durante la fase cautelare (ad esempio, davanti al Tribunale del Riesame). Secondo la sentenza, è un errore di diritto rinviare tale accertamento alla successiva fase esecutiva, poiché ciò comprometterebbe la tutela del minimo vitale dell’indagato durante il processo.

Cosa accade se il Tribunale del riesame non decide sul ricorso contro un sequestro entro dieci giorni?
Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, per i provvedimenti di sequestro, il termine di dieci giorni non è perentorio a pena di inefficacia della misura come per le misure cautelari personali. La Corte ha chiarito che il rinvio all’art. 309, comma 10, c.p.p. deve intendersi alla sua formulazione originaria, che non prevedeva la perdita di efficacia automatica per il mancato deposito della decisione nel termine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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