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Sequestro preventivo spaccio: nesso con il reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato per spaccio di stupefacenti, a cui era stata sequestrata una somma di denaro trovata solo al momento dell’ingresso in carcere e non durante la perquisizione al momento dell’arresto. La Corte ha stabilito che l’intervallo temporale non interrompe il nesso di pertinenzialità con il reato, ritenendo il denaro provento dell’attività illecita. Il sequestro preventivo spaccio è stato confermato sulla base della sproporzione tra la somma e i redditi leciti dell’indagato.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Spaccio: Quando il Denaro Trovato Dopo l’Arresto è Prova del Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico in materia di sequestro preventivo spaccio, chiarendo un punto cruciale: il denaro trovato in possesso di un indagato anche a distanza di ore dall’arresto può essere considerato provento di reato. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sul concetto di nesso di pertinenzialità tra i beni e l’attività criminosa.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dall’arresto in flagranza di un individuo per la cessione di circa 8 grammi di eroina, reato commesso in concorso con un’altra persona. Al momento dell’arresto, le perquisizioni personale e domiciliare danno esito negativo. Tuttavia, il giorno successivo, durante le procedure di ingresso presso la Casa Circondariale, l’uomo viene trovato in possesso di una somma di denaro pari a 2.107,50 euro.

Il Giudice per le indagini preliminari dispone il sequestro preventivo della somma, finalizzato alla confisca, ai sensi degli artt. 85-bis del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/90) e 240-bis del codice penale. Il Tribunale del riesame conferma il provvedimento, spingendo la difesa dell’indagato a presentare ricorso in Cassazione, lamentando l’assenza di un collegamento diretto tra il denaro e il reato contestato, proprio a causa dell’intervallo temporale tra l’arresto e il ritrovamento della somma.

La Decisione della Cassazione: Il sequestro preventivo spaccio è legittimo

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la piena legittimità del sequestro. La Corte ha smontato la tesi difensiva, basata sulla presunta interruzione del nesso di pertinenzialità, con argomentazioni logiche e giuridiche solide.

I giudici hanno sottolineato come l’indagato non avesse contestato un dato fondamentale emerso dalle indagini: l’assenza di redditi leciti che potessero giustificare il possesso di una tale somma di denaro. Questo, unito al suo coinvolgimento in una lucrosa e continuativa attività di spaccio con una vasta clientela, ha costituito un presupposto di fatto decisivo.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi principali.

In primo luogo, ha evidenziato che la censura del ricorrente si concentrava su un profilo puramente fattuale (l’intervallo temporale) senza assumere reale rilevanza giuridica. Il mancato rinvenimento del denaro durante la prima perquisizione non contraddice la valutazione del Tribunale. Al contrario, la spiegazione più logica è che la somma fosse stata abilmente occultata dall’indagato e sia sfuggita al primo controllo, per poi essere scoperta solo durante le procedure più accurate all’ingresso in carcere.

In secondo luogo, la sentenza chiarisce l’ambito di applicazione della confisca prevista dall’art. 85-bis d.P.R. 309/90, che richiama l’art. 240-bis del codice penale (confisca allargata). Questa forma di confisca non richiede la prova che il bene sia il profitto diretto dello specifico reato per cui si procede. I presupposti sono altri:
1. Una condanna per uno dei reati previsti (come lo spaccio ex art. 73).
2. La disponibilità, diretta o indiretta, di beni da parte del condannato.
3. Un valore sproporzionato di tali beni rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata.

In questo caso, la sproporzione era evidente, e questo da solo bastava a giustificare il sequestro preventivo spaccio. Peraltro, la Corte aggiunge che anche a voler considerare il sequestro come finalizzato alla confisca del profitto del reato (ex art. 240 cod. pen.), la decisione sarebbe stata la stessa. Il coinvolgimento in un’attività di spaccio continuativa costituisce un fumus del reato sufficiente a far presumere che il denaro detenuto senza giustificazione lecita derivi da tale attività criminosa.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica nella lotta al narcotraffico. Stabilisce che l’abilità di un criminale nell’occultare i proventi illeciti al momento dell’arresto non può costituire uno scudo contro le misure ablative dello Stato. La valutazione del giudice deve basarsi su un’analisi complessiva degli elementi indiziari, tra cui la sproporzione tra patrimonio e redditi leciti, che assume un ruolo centrale. Per la legge, il tempo che intercorre tra l’azione criminale e la scoperta dei suoi frutti non spezza il legame logico e giuridico che li unisce, specialmente quando mancano spiegazioni alternative plausibili sulla provenienza del denaro.

Se il denaro non viene trovato subito durante l’arresto per spaccio, può comunque essere sequestrato?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’intervallo temporale tra l’arresto e il ritrovamento del denaro non interrompe il legame (nesso di pertinenzialità) con il reato. Si presume logicamente che la somma fosse stata semplicemente ben occultata al momento della prima perquisizione.

Quali sono i presupposti per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 85-bis d.P.R. 309/90?
I presupposti sono tre: la condanna per un reato di spaccio (o, in fase cautelare, il fumus di tale reato), la disponibilità di beni da parte dell’indagato e un valore di tali beni sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata. Non è necessario dimostrare che i beni siano il profitto diretto dello specifico episodio di spaccio.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano di natura fattuale e non coglievano la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito. Inoltre, il ricorrente non aveva contestato elementi chiave, come l’assenza di redditi leciti che potessero giustificare il possesso del denaro, rendendo le sue argomentazioni irrilevanti ai fini della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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