Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1273 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1273 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME NOME avverso l’ordinanza del Tribunale di Cagliari del 07/05/2024;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga rigettato; letta la memoria depositata dal difensore della ricorrente, Avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Cagliari con ordinanza del 7 maggio 2024 (motivazione depositata il successivo 7 giugno) ha rigettato la richiesta presentata dalla RAGIONE_SOCIALE di NOME e NOME NOME, nei confronti del decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip con il quale ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen. è stato disposto il sequestro della somma di euro 347.300 in
relazione all’art. 85 bis d.P.R. n. 309 del 1990, in ordine al reato di cui all’art. d.P.R. cit. per il quale è indagato, tra gli altri, il COGNOME
Avverso tale ordinanza ricorre la Società RAGIONE_SOCIALE quale terzo estraneo, che deduce violazione di legge o motivazione apparente in relazione all’art. 240 bis cod. pen. per non essere operativa nei confronti del terzo estraneo al reato la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale delle disponibilità patrimoniali in capo all’autore del reato cd. spia (nella specie, NOME NOME GiuseppeCOGNOME indagato per reati ex artt. 416 bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e al contempo legale rappresentante della società ricorrente); ciò, si sostiene, in assenza da parte del Tribunale di un adeguato confronto con la memoria difensiva e la consulenza di parte che, secondo la prospettazione della ricorrente, avrebbero fatto emergere come la somma (pari a euro 347.280) oggetto di sequestro presso l’abitazione di Mesina NOME NOME è riconducibile e di proprietà della sola società di cui l’indagato è rappresentante legale. Tale elemento, prosegue il ricorso, dimostra l’erroneità dell’ipotesi accusatoria, recepita dai Giudice della cautela reale, secondo cui tale denaro fosse provento del narcotraffico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile.
E’ noto che «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (da ultimo, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01).
In ordine al perimetro delle questioni deducibili dal terzo che assume di essere estraneo in relazione al sequestro funzionale alla confisca ex art. 240 bis cod. pen., la giurisprudenza di legittimità non è univocamente orientata. Secondo un indirizzo, che appare maggioritario, «in tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l’assenza di collegamento concorsuale con l’indagato. (Fattispecie relativa a sequestro
preventivo finalizzato alla confisca ex art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309)» (da ultimo, Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, COGNOME Rv. 286439 – 01).
Secondo un altro orientamento, invece, «in tema di sequestro preventivo, il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell’intestazione, anche l’oggettiva confiscabilità del bene in difetto d “fumus commissi delicti” e del “periculum in mora”, potendo l’assenza dei presupposti della confisca avvalorare la tesi della natura non fittizia, ma reale dell’intestazione» (Sez. 6, n. 15673 del 13/03/2024, Pezzi, Rv. 286335 – 01, in ordine a fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
Nel caso all’esame del Collegio non è necessario prendere posizione in merito a detti profili, atteso che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta congrua per quel che attiene alla dimostrazione, ai fini cautelari reali, che la somma in contanti sequestrata – rinvenuta nell’abitazione dell’indagato Mesina, per 207.000 euro all’interno di una cassaforte, e per i residui 140.240 euro nei restanti ambienti dell’abitazione del Mesina – appartenga a quest’ultimo e che sia del tutto sproporzionata rispetto ai redditi leciti dichiarati dall’indagato.
4.1. Con motivazione certamente non illogica vengono infatti prese in considerazione e superate le deduzioni difensive secondo cui tale somma era della società: tanto sia sulla base dell’esame dei dati contabili, per i quali la ricorrent prospetta una diversa interpretazione di elementi fattuali, estranea al perimetro dell’impugnazione di legittimità, sia alla luce della circostanza che NOME è socio e amministratore della società in oggetto, proprietaria di un supermercato, ma appare implausibile che la detenzione in casa una così rilevante somma di denaro in contanti – peraltro suddivisa in diversi tagli – possa essere riferita all’attiv imprenditoriale in oggetto.
4.2. Né risulta accoglibile la deduzione della ricorrente secondo cui sussisterebbe violazione di legge in merito all’errata analisi, da parte del Tribunale, dei dati contabili, non essendosi adeguatamente considerate, da un lato, la dimostrata capacità economica di un’altra ditta individuale di Mesina, che opera nel settore agricolo, e della stessa RAGIONE_SOCIALE, e, dall’altro lato, le verifiche dei pagamenti avvenuti in contanti a favore di dette imprese da parte dei fornitori. Sotto quest’ultimo aspetto, si denuncia un difetto di lettura da parte del Tribunale dei registri contabili quali il libro mastro (ove i movimenti coincidenti con “avere” vengono descritti come pagamenti avvenuti con il POS, ovvero non in contanti ma tramite strumenti contabili).
Si tratta di censura generica, a fronte della motivazione, certamente non manifestamente illogica, dell’ordinanza impugnata, secondo la quale i versamenti
a mezzo POS per creare un saldo cassa avrebbero dovuto comportare dei prelievi in contanti dai conti correnti societari da parte di Mesina, prelievi che non risultano documentati, confrontandoli anche con le giacenze sui conti correnti bancari della società e l’ammontare dei versamenti, ritenuti sostanzialmente sovrapponibili ai ricavi; e ciò a supporto dell’elemento – di indubbio spessore indiziario – della inverosimiglianza della lecita detenzione in casa di una somma di denaro così rilevante.
4.3. In conclusione, la motivazione contenuta nel provvedimento impugnato sul perché la somma rinvenuta non possa considerarsi nella diretta disponibilità della società, ma sia invece riconducibile al COGNOME, indagato per i gravi reati sopra indicati, risulta adeguata e non apparente, e dunque non è sindacabile in sede di legittimità.
Per quanto riguarda il presupposto di una necessaria ragionevolezza temporale tra la condotta illecita addebitata al Mesina e il rinvenimento del denaro, rileva il Collegio che detto profilo, peraltro contestato in modo generico nel ricorso, risulta a livello cautelare dimostrato dalla circostanza che tra l’addebito provvisorio relativo alla partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacente (risalente al periodo tra dicembre 2021 e maggio 2022) e il sequestro del denaro nel settembre 2023, non vi sia comunque uno iato temporale tale da inficiare il provvedimento cautelare reale.
5.1. Infine, nulla viene dedotto nel ricorso in ordine all’eventuale assenza di idonea motivazione circa il periculum in mora, di tal che su tale profilo non è necessario pronunciarsi.
Alla inammissibilità dell’impugnazione consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non emergendo elementi dai quali dedurre assenza di colpa nella proposizione del ricorso, della somma – ritenuta congrua in ragioni alla causa di inammissibilità – di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024