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Sequestro preventivo social: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un sequestro preventivo social che ha coinvolto interi profili Instagram e Facebook, incluso quello personale di un’imprenditrice, utilizzati per la vendita di prodotti privi della marcatura CE. La Corte ha ritenuto la misura proporzionata a causa della “serialità” della condotta illecita, proseguita anche dopo un primo sequestro, che dimostrava l’uso sistematico di tutti i profili per l’attività di e-commerce illegale.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Social: Quando è Legittimo Oscurare Interi Profili?

Il commercio elettronico tramite social network è una realtà consolidata, ma quali sono le conseguenze quando queste piattaforme vengono usate per attività illecite? Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: il sequestro preventivo social di intere pagine, compresi i profili personali, per bloccare la vendita di prodotti non conformi. La decisione offre chiarimenti cruciali sul bilanciamento tra l’esigenza di fermare il reato e il principio di proporzionalità.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’indagine a carico di un’imprenditrice accusata di aver messo in vendita, attraverso diversi canali social, un gran numero di articoli privi della marcatura CE e delle indicazioni obbligatorie su produttore e importatore. A seguito delle indagini, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo di tre pagine social riconducibili all’imprenditrice e alla sua società: due profili Instagram e un profilo Facebook, utilizzati per promuovere e vendere la merce.

L’imprenditrice aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del riesame, sostenendo la violazione del principio di proporzionalità. Secondo la difesa, per soddisfare l’esigenza cautelare sarebbe stato sufficiente sequestrare i singoli post che pubblicizzavano i prodotti contestati, anziché oscurare interamente le pagine, una delle quali era il suo profilo personale. Il Tribunale del riesame, tuttavia, confermava il sequestro, spingendo la difesa a ricorrere in Cassazione.

L’Analisi della Cassazione sul Sequestro Preventivo Social

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la legittimità del sequestro esteso a tutti i profili social. La decisione si fonda su un’attenta analisi della condotta dell’indagata e dell’uso che faceva delle piattaforme digitali. I giudici hanno sottolineato come il ricorso in Cassazione contro un’ordinanza di sequestro sia ammesso solo per violazione di legge e non per vizi di motivazione che non siano così radicali da renderla inesistente o meramente apparente.

Il Principio di Proporzionalità Applicato ai Social Network

Il punto centrale della controversia era l’applicazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, tipici delle misure cautelari. La difesa sosteneva che il sequestro totale fosse una misura eccessiva, un sacrificio sproporzionato dei diritti dell’indagata, quando si sarebbe potuto optare per un intervento meno invasivo.

La Cassazione ha riconosciuto la correttezza di questo principio in astratto: il giudice deve sempre valutare se lo stesso risultato possa essere ottenuto con strumenti meno invasivi. Tuttavia, nel caso specifico, l’applicazione di tale principio ha portato a una conclusione diversa da quella auspicata dalla ricorrente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente motivato la necessità di un sequestro preventivo social così esteso. Gli elementi decisivi sono stati:

1. La Serialità della Condotta: I messaggi pubblicitari illeciti erano continui e sistematici. La commercializzazione di prodotti non conformi non era un episodio isolato, ma costituiva l’attività principale svolta attraverso quelle pagine.
2. La Persistenza dopo il Primo Sequestro: L’attività illecita era proseguita anche dopo l’esecuzione di un precedente sequestro di merce, dimostrando una sorta di “insensibilità” dell’indagata all’iniziativa giudiziaria e la sua determinazione a continuare nel reato.
3. L’Uso Strumentale di Tutti i Profili: Anche la pagina Facebook personale risultava utilizzata per l’e-commerce, come dimostrato dai collegamenti diretti alle pagine di vendita. Pertanto, non poteva essere considerata estranea all’attività illecita.

Alla luce di questi elementi, i giudici hanno concluso che il sequestro dei singoli post non sarebbe stato sufficiente a impedire la protrazione del reato. L’intera infrastruttura digitale creata dall’indagata era finalizzata alla commissione dell’illecito, rendendo proporzionata e necessaria la sua completa inibizione.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante precedente in materia di reati commessi online. Il sequestro preventivo social di un intero profilo, anche personale, è una misura legittima quando emerge una chiara e persistente strumentalizzazione della piattaforma per fini illeciti. Il principio di proporzionalità non impone al giudice di scegliere sempre la via meno afflittiva in assoluto, ma quella adeguata a neutralizzare concretamente la pericolosità della condotta. In questo caso, la “serialità” e la pervicacia dell’imprenditrice hanno reso inevitabile una misura drastica per tutelare i consumatori e il mercato.

È possibile sequestrare un intero profilo social, anche personale, per la vendita di prodotti illeciti?
Sì, la sentenza conferma che è possibile quando il profilo, anche se personale, viene utilizzato come strumento per la commercializzazione di prodotti illeciti e vi è una dimostrata continuità e “serialità” nella condotta criminosa.

Come si applica il principio di proporzionalità al sequestro preventivo di pagine social?
Il giudice deve valutare se una misura meno invasiva, come il sequestro dei singoli post, sarebbe sufficiente a interrompere il reato. Se l’attività illecita è sistematica, coinvolge l’intera pagina e l’indagato persiste nella condotta anche dopo i primi interventi, il sequestro dell’intero profilo può essere considerato proporzionato per impedire la continuazione del reato.

Il ricorso in Cassazione contro un sequestro preventivo può basarsi su qualsiasi vizio di motivazione?
No. Secondo la sentenza, il ricorso in Cassazione in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, che include gli “errores in iudicando” o “in procedendo” e i vizi di motivazione così radicali da rendere il ragionamento del giudice inesistente o incomprensibile. Non è sufficiente lamentare una semplice illogicità manifesta della motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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