Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37526 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37526 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/05/2025 del Tribunale di Latina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale del riesame di Latina, a seguito di richiesta di riesame proposta NOME COGNOME, ha confermato il decreto del 4 marzo 2025 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina aveva disposto il sequestro preventivo delle pagine social network Instagram – profilo denominato “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, Instagram – profilo denominato “delia.borrelli” e Facebook profilo denominato “RAGIONE_SOCIALE Stock e Fallimenti”,
riconducibili alla società RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME, quest’ultima indagata per il reato di cui agli artt. 56, 515 c.p. per aver detenuto, in locali espos vendita nonché in magazzino della predetta società, n. 1178 articoli privi di marcatura CE lecitamente apposta e delle indicazioni relative al produttore importatore e/o distributore, in violazione della normativa prevista dal d. Igs. 68/2001, I. 689/1981 e d.lgs. 152/2006.
2. Avverso la suindicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME AVV_NOTAIO, a mezzo del difensore di fiducia, lamentando violazione degli artt. 275 e 321 cod. proc. pen. per difetto di motivazione e, comunque, mancanza di proporzionalità del sequestro.
La difesa, dopo aver riportato i quattro motivi della richiesta di riesame e premesso che ricorrono profili di illogicità intrinseca nell’ordinanza impugnata (rinvenimento, nel secondo sequestro, dei prodotti in un garage ove erano stati momentaneamente accantonati e non esposti per la vendita, ritenuta contraffazione dei prodotti pubblicizzati MAKOTA smentita dalla larga pubblicizzazione di prodotti della stessa marca su sito di nota catena di vendita, come risulta da ricerca in internet), ha lamentato violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità del provvedimento genetico e dell’ordinanza impugnata, posto che l’esigenza cautelare avrebbe potuto essere correttamente soddisfatta dal sequestro dei singoli post che si assumeva contenessero prodotti con marcatura CE contraffatta. In particolare, la ricorrente, dopo aver richiamato giurisprudenza di legittimità e della Corte EDU a sostegno dell’applicabilità dei principi di “adeguatezza”, “proporzionalità” e “gradualità”, previsti dall’art. 275 c.p.p. anche ai fini dell’applicazione delle misure cautelari reali, e aver evidenziato che il principio di proporzionalità opera non solo nella fase genetica della misura cautelare ma anche nella successiva dinamica esecutiva per evitare che il vincolo reale si risolva in un sostanziale eccessivo sacrificio dei diritt fondamentali della parte, ha lamentato che il Tribunale di Latina non ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi. Secondo la ricorrente non è chiaro perché il Tribunale di Latina, a fronte della necessità di inibire l’attività pubblicizzazione di prodotti asseritamente non certificati CE, abbia ritenuto conforme al principio di proporzionalità sequestrare tutti i profili soda! (incluso quello personale dell’indagata), quando avrebbe potuto limitarsi al sequestro dei singoli post interessati – che costituiscono comunque una minima parte se si considera che sulle pagine sequestrate venivano pubblicati diversi contenuti al giorno – soddisfacendo così l’esigenza cautelare. La ricorrente, conclusivamente, si duole del difetto di selezione dei contenuti leciti pubblicati e che, in ragione della natura impeditiva del sequestro in esame, sarebbe stato agevole, mediante Corte di Cassazione – copia non ufficiale
l’applicazione di opportuni criteri, procedere al sequestro dei post incriminati, anche in epoca successiva al provvedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre, in primo luogo, rilevare che NOME COGNOME ha proposto il ricorso in proprio e non anche nella qualità di legale rappresentate della RAGIONE_SOCIALE, cui sono riconducibili due delle pagine social network sequestrate. Queste sono cose di cui non potrebbe mai essere disposta la restituzione in favore della COGNOME poiché la stessa non ne è titolare. Pertanto, difetta il concreto e attuale interesse della COGNOME a proporre ricorso per le pagine social network della società e il relativo ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il motivo di ricorso nell’interesse della COGNOME è manifestamente infondato.
2.1 Preliminarmente, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 01), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01).
2.2. L’affermazione della difesa circa l’applicabilità al sequestro preventivo dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità ex art. 275 c.p.p. è corretta. Nel sequestro preventivo c.d. “impeditivo” il giudice deve motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno invasivi strumenti cautelari ovvero modulando quello disposto qualora ciò sia possibile – in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sottoposto a vincolo anche oltre le effettive necessità dettate dall’esigenza cautelare che si intende arginare sicché è necessario verificare se l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato possono essere evitate senza privare l’avente diritto delle disponibilità della cosa, se il sequestro
preventivo è sufficiente a garantire tale risultato e se tale risultato può essere conseguito con misure meno invasive.
Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale ha ritenuto che non siano emersi concreti elementi per ritenere la destinazione dei beni rinvenuti in un garage a uso diverso dalla vendita avuto riguardo alla riferibilità del locale alla RAGIONE_SOCIALE svolgente attività di commercio e, inoltre, ha ritenuto, comunque, assorbente il rinvenimento di prodotti carenti della prevista marcatura in spazi riservati all’esposizione e alla vendita. Il Tribunale ha anche rilevato l’assenza di informazioni o documentazione attestante la conformità degli articoli sequestrati alla normativa in materia e che la commercializzazione tramite sodal network ha avuto a oggetto prodotti simili a quelli sequestrati 11 17 gennaio 2024 non solo per la marca Makota ma anche per tipologia e modello. L’esigenza di disporre il vincolo delle pagine dei social network è stata ancorata anche all’attualità dei messaggi pubblicitari, anche successivi all’esecuzione del sequestro del 17 gennaio 2024, denotanti “serialità” dei comportamenti dell’indagata e insensibilità della stessa all’iniziativa del primo sequestro. Si è ritenuto, quindi che i dati fattuali evidenziati, complessivamente valutati, imponessero l’applicazione della cautela a tutti gli strumenti pubblicitari nella libe disponibilità dell’indagata, compresa la pagina “Facebook” personale, pure utilizzata, come risulta da provvedimento impugnato (vedasi evidenziazione del collegamento “EMAIL“) per l’e – commerce dei prodotti in argomento.
L’apparato argornentativo dell’ordinanza impugnata è immune da censure logico-giuridiche avendo il Tribunale compiutamente indicato le ragioni di fatto per le quali risultava necessaria l’adozione della cautela alle pagine social network nella loro interezza e, segnatamente, per quel che rileva nella presente sede, all’intera pagina personale della COGNOME, risultata, al pari delle altr strumento per pubblicizzare i prodotti privi della marcatura CE. Pertanto, le doglianze della ricorrente sono sostanzialmente ripetitive di quelle già esaminate dal Tribunale con motivazione esente da censure logico-giuridiche e non risultano idonee a dar corpo a vizi motivazionali valutabili in questa sede.
3. Alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento nonché al pagamento, non sussistendo elementi per ritenere che il ricorso sia stato proposto senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/10/2025.