Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20658 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20658 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato ad Arzano (Na) il 10/4/1977
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21/10/2024, il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza emessa il 25/7/2024 dal locale Giudice per le indagini preliminari, relativa alla
richiesta revoca di un sequestro preventivo finalizzato a confisca disposto il 18/3/2021 con riguardo al delitto di cui all’art. 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME deducendo i seguenti motivi:
inosservanza degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 322-ter cod. pen., 12.bis, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, con vizio di motivazione. Il Tribunale, pur espressamente interrogato sul punto, non avrebbe spiegato le ragioni per cui, nel caso concreto, la mancata celebrazione del processo e l’impossibilità di prevedere la data della sentenza non inciderebbero sul mantenimento del vincolo stesso, così di fatto trasformandolo in una somma iniuria, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. L’omessa motivazione sul punto imporrebbe l’annullamento dell’ordinanza;
illegittimità costituzionale degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 322ter cod. pen., 12-bis, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione agli artt. 6 CEDU, 3, 24, 27, 41 e 111 Cost. La motivazione del provvedimento è censurata anche per aver ritenuto irrilevante la questione di legittimità costituzionale che si invitav a sollevare, nella parte in cui le norme richiamate non prevedono che la mancata celebrazione del processo secondo “tempi credibili” produca la caducazione della misura reale, ovvero nella parte in cui non vengono inseriti, come per le misure cautelari personali o le misure patrimoniali di prevenzione antimafia, termini di fase o termini massimi entro i quali adottare un provvedimento definitivo (o, quantomeno, di primo grado), pena la decadenza del sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta infondato.
Il Tribunale del riesame, pronunciandosi sulle medesime questioni qui riproposte, ha sviluppato una motivazione del tutto adeguata, coerente con la giurisprudenza di legittimità e priva dei vizi denunciati, specie nei termini dell’omessa risposta; una motivazione, dunque, non censurabile ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., che ammette il ricorso per cassazione in tema di misure cautelari reali soltanto per violazione di legge.
Con riguardo al primo motivo, il Collegio di merito ha richiamato i più significativi indirizzi in materia di sequestro finalizzato a confisca e su motivazione, con particolare riguardo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 36959 del 24/6/2021, Ellade.
5.1. Con questa pronuncia, il Supremo Collegio ha affermato il principio di diritto per cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., dev contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle
ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.
5.2. Con particolare puntualità, e trattando un principio richiamato anche nel ricorso, le stesse Sezioni Unite hanno dunque sostenuto che solo una soluzione ermeneutica che vincoli il sequestro preventivo funzionale alla confisca ad una motivazione anche sul periculum in mora garantirebbe coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio. Ciò, in ragione del fatto che solo aderendo ad una scelta impositiva di un obbligo motivazionale del provvedimento di sequestro a fini di confisca anche in ordine al periculum, si potrebbe assicurare, come già osservato dalla sentenza di Sez. 5, n. 6562 del 14/12/2018, dep.2019, COGNOME, la corrispondenza a quell’ineludibile esigenza di rispetto dei criteri di proporzionalità la cui necessaria valenza, con riferimento proprio alle misure cautelari reali, e in consonanza con le affermazioni della giurisprudenza sovranazionale, questa Corte ha ritenuto di dovere a più riprese rimarcare al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (Sez. 5, n. 8152 del 21/10/2010, COGNOME, Rv.246103; Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, COGNOME, 254712; Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, COGNOME, Ry.261509; Sez. 2, n.29687 del 28/05/2019, COGNOME, 276979) tanto che, sia pure con riferimento al sequestro probatorio, e tuttavia all’interno di una medesima, simmetrica, ratio, anche le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’importanza, nella valutazione dell’an e del quomodo della scelta ablativa, del cosiddetto test di proporzione (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv 226713; Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.3. Va infatti rammentato che il principio di proporzionalità, costantemente richiamato dalla giurisprudenza della Corte EDU nella valutazione delle ingerenze rispetto al diritto di proprietà tutelato dall’art. 1, Prot. 1, CEDU (si veda, riguardo, Corte EDU, Grande Camera, del 5/1/2000, COGNOME c. Italia; Corte EDU, Grande Camera, del 16/7/2014, COGNOME c. Bosnia e Erzegovina, nonché, nella declinazione della residualità della misura, Corte EDU del 21/2/1986, COGNOME e altri c. Regno Unito), costituisce anche uno dei principi generali del diritto dell’Unione (Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 3/12/2019, C-482/17) ed è espressamente sancito dall’art. 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, secondo cui
possono essere apportate limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla suddetta Carta (quale, nella specie, il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 17), purc tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di dett diritti e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
5.4. Tanto premesso, l’ordinanza impugnata ha riconosciuto rispettati tali criteri, compreso il principio di proporzionalità, evidenziando che nel caso concreto, per un verso, la difesa non aveva fornito alcun elemento che consentisse di rivalutare il fumus commissi delicti, e, per altro verso, doveva esser confermata la sussistenza di un concreto e attuale pericolo che la libera disponibilità dei beni in capo all’indagato determinasse la dispersione delle risorse economiche illecite accumulate. Ancora, l’ordinanza si è diffusamente pronunciata sul criterio di proporzionalità appena citato, riscontrandolo alla luce di varie considerazioni (pag. 6), concernenti anche il profilo cronologico della misura.
Ne consegue, allora, che il primo motivo di censura risulta del tutto infondato, contestando al Tribunale un’omessa motivazione invero non ravvisabile in presenza di adeguate e logiche considerazioni in specifica aderenza alle questioni poste, senza peraltro ricevere alcun confronto nel ricorso in esame, che alle stesse non dedica neppure un passaggio.
Il provvedimento impugnato, poi, risulta infondato quanto al secondo motivo, concernente la questione di legittimità costituzionale che la difesa invitava a sollevare.
7.1. L’ordinanza impugnata, infatti, ha adeguatamente evidenziato che un’eventuale questione di legittimità degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen., 322-ter cod. pen., 12-bis, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione agli artt. 6 CEDU, 3, 24, 27, 41 e 111 Cost., era inammissibile per difetto di rilevanza: un eventuale intervento della Corte costituzionale in materia, infatti, “non potrebbe che tradursi in una sentenza manipolativa, tesa ad introdurre la disciplina dei termini di fase nel panorama delle cautele reali, con conseguente sostituzione al legislatore”.
7.2. Ebbene, questa motivazione non risulta adeguatamente contrastata dagli argomenti che fondano la censura, con i quali – in termini del tutto generici e senza dettagliato richiamo ai precetti costituzionali invocati – ci si limita ad affermare ch sarebbe ormai conclamata la “necessità che il processo penale si svolga in maniera celere e che pertanto le misure cautelari, che vengono adottate prima dell’eventuale pronuncia di condanna, siano mantenute in vita solo dal puntuale procedere del processo”, con la “sostanziale ingiustizia” e con “l’anacronistico approccio” dell’attuale ambito legislativo, specie a fronte di una sempre più
frequente applicazione delle misure medesime. Quanto poi alla risposta offerta dal Tribunale sull’eccezione di incostituzionalità, il ricorso sostiene soltanto che la Consulta “ben potrebbe accogliere l’illegittimità costituzionale della norma rimettendo al legislatore il compito di colmare il vulnus legislativo”, senza dunque confrontarsi con la tematica della sentenza manipolativa affrontata nell’ordinanza qui impugnata.
7.3. A ciò si aggiunga, peraltro, l’evidente indeterminatezza della questione, che – senza alcuna valutazione del caso concreto e senza alcuna considerazione per gli argomenti impiegati dal Tribunale in punto di sussistenza delle esigenze cautelari – invoca l’individuazione di termini massimi di durata per le misure reali omettendo, tuttavia, anche solo di ipotizzare quale dovrebbe ritenersi durata legittima, anche in rapporto al mantenimento del vincolo nel procedimento in questione.
7.4. Sotto connesso profilo, peraltro, il Collegio evidenzia che la questione in esame – oltre a trascurare il solo precetto costituzionale eventualmente interessato, quale l’art. 42 in tema di proprietà privata e sui limiti – non affront le ragioni che hanno indotto il legislatore, con opzione insindacabile perché non irragionevole, a distinguere in disciplina (compresi, dunque, anche i termini) le misure cautelari personali e quelle reali.
7.5. Questa Corte, infatti, ha già affermato (Sez. 3, n. 28944 del 7/5/2021, COGNOME, non massimata) che “la stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di tracciare il discrimen proprio sul piano della diversa tutela apprestata dall’ordinamento, rispettivamente, ai beni della libertà personale e della libertà patrimoniale. Sono differenti, infatti, i valori che l’ordinamento prende in considerazione: «da un lato, l’inviolabilità della libertà personale, e, dall’altro, libera disponibilità dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti. Ciò comporta, dunque, la possibilità di costruire differentemente il “potere” del giudice di adottare le misure e, conseguentemente, la tipologia del controllo in sede di gravame, con i naturali riverberi che da ciò scaturiscono sul piano della difesa che gli interessati possono sviluppare» (Corte Cost., sent. n. 48/1994; Corte Cost., sent. n. 176/1994; Corte Cost., sent. n. 229/1994)”. Da ciò, l’assenza di ogni irragionevolezza in una disciplina che preveda soltanto per il bene libertà personale – e non per il bene patrimonio – la presenza di termini perentori, di fase e complessivi, che ne legittimino la limitazione prima della definitività di una pronuncia di condanna.
7.6. A queste considerazioni, qui da ribadire, si aggiunga poi, con significato che non appare secondario, che mentre la caduta del vincolo reale comporta l’immediata restituzione del bene all’avente dritto, la scadenza dei termini di durata massima della misura cautelare custodiale non impedisce che, perdurando
le esigenze cautelari, l’indagato possa essere sottoposto ad un’altra misura, meno afflittiva ma comunque incidente sulla libertà personale. Dal che, un sistema che
ammette forme di restrizione di questa libertà anche dopo la scadenza dei termini di durata massima della misura custodiale, così perpetrandosi un controllo sul
soggetto destinatario che, invece, non sarebbe possibile alla scadenza di eventuali termini di durata massima della misura cautelare reale.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2025
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glìere estensore
COGNOME Il Presidente