Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15877 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15877 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Empoli il 27/03/1972 avverso l’ordinanza del 06/08/2024 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 agosto 2024, il Tribunale del riesame di Firenze ha confermato il decreto emesso in data 13 marzo 2024, con il quale il Gip del Tribunale di Firenze ha disposto il sequestro preventivo, delle somme costituenti profitto dei reati di cui all’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nei confronti COGNOME NOMECOGNOME per avere, in qualità di commercialista e consulente del lavoro, in concorso con altri soggetti, fornendo assistenza nella chiusura e nella costituzione di imprese (con il sistema c.d. “apri e chiudi”), compiuto atti fraudolenti – consistiti nella cessione occulta di beni strumentali, di rapporti
giuridici, di avviamento di rapporti di lavoro subordinati e in altre attività indica nel capo di imputazione – idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, nonché dei relativi interessi e sanzioni amministrative, lasciata in capo alle imprese che progressivamente sono state cessate, per un ammontare complessivo di euro 1.114.682,00.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’indagata, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 125, 321 e 324, cod. proc. pen, per omessa motivazione in ordine ai motivi dedotti dalla difesa afferenti alla carenza dei presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora. Con la doglianza, si deduce la nullità dell’ordinanza del riesame per: 1) omessa motivazione con riguardo al fumus commissi delicti relativo ai capi A5) e A13), nonostante le deduzioni difensive in proposito; 2) motivazione apparente in ordine al capo A15) in quanto l’ordinanza conferma la deduzione del Gip in ordine al concorso nel reato della COGNOME, fondata sulla presunzione secondo cui, potendo ellaa rappresentarsi che uno degli imprenditori, da lei assistiti, era un prestanome, automaticamente ne avrebbe agevolato l’opera; deduzione fondata su una conversazione, oggetto di intercettazione, in cui questa chiedeva l’importo delle buste paga dei dipendenti e sulla circostanza che tale impresa apparisse parte del sistema “apri e chiudi”; senza – si aggiunge – che il Tribunale avesse indicato gli elementi da cui dedurre il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE nell’evasione delle precedenti imprese, essendo l’intercettazione successiva a tali episodi; 3) omessa motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora, consistente, secondo il Tribunale, nella circostanza che il danaro, in quanto tale, è un bene semplice da disperdere; nonché nell’impropria analogia tra la posizione della ricorrente e quella di altro indagato, NOME COGNOME, amministratore di fatto di più aziende fallite con debiti nei confronti dell’erario. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con un secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 125, 321 e 324, cod. proc. pen., per omessa motivazione e per errata interpretazione dei criteri per l’individuazione e la quantificazione, anche tra singoli concorrenti. Si deduce la nullità dell’ordinanza del riesame per: 1) omessa motivazione in ordine ai criteri di calcolo del profitto confiscabile; 2) errata interpretazione della legg in ordine all’individuazione del profitto confiscabile, quantificato dal Tribunale in misura pari all’ammontare dovuto all’erario, quando invece deve essere riferito al valore dei beni effettivamente sottratti all’imposizione, conformemente ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità; 3) errata applicazione dei principi
materia di ripartizione della confisca per equivalente in caso di pluralità di soggetti concorrenti, di recente stabiliti dalle Sezioni Unite, secondo cui la confisca va disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto conseguito, mentre in questo caso il Tribunale ha confermato il provvedimento del Gip, che disponeva tale confisca nei confronti della ricorrente, in caso di incapienza dei conti degli imprenditori falliti, senza richiedere la prova del vantaggio o dell’incremento patrimoniale specificamente conseguito dalla ricorrente stessa.
2.3. Con memoria di replica alle conclusioni scritte del pubblico ministero, depositata in data 13 gennaio 2025, il difensore ribadisce di avere fatto valere il vizio di violazione di legge, insieme alla carenza di motivazione, consistente nella mancata risposta ai motivi di riesame, anch’essa riconducibile a violazione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché si risolve in una sostanziale critica alla motivazione del provvedimento impugnato, preclusa in questa sede dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Infatti, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi di tale disposizione, soltanto per violazione di legge e che in tale nozione vengono compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).
1.1. Il primo motivo, articolato in più doglianze, con cui si adduce l’omessa motivazione circa il fumus bonis iuris e il periculum in mora è inammissibile, in forza di quanto appena osservato.
1.1.1. La prima doglianza è generica, nella misura in cui il ricorso non indica quali erano le argomentazioni asseritamente fatte valere contro la motivazione del Gip. Al riguardo il Tribunale del riesame ha considerato le intercettazioni delle conversazioni intercorse tra la COGNOME, che assisteva diverse imprese interessate dall’illecito tributario, e l’imprenditrice NOME COGNOME alias NOMECOGNOME la qual ragionevolmente non aveva una cognizione del funzionamento del sistema tributario italiano tale da poter realizzare una sottrazione di beni, operata con strumenti fraudolenti di carattere “tecnico”, come quelli utilizzati. Il giudicante ne ha ragionevolmente ricavato il ruolo centrale svolto dalla ricorrente nell’ausilio di tali imprese. Il ricorso – lo si ribadisce – si mostra incapace di scalfire ta
conclusione, in quanto non presenta specifiche critiche al riguardo, non indica quali erano le argomentazioni fatte valere in sede di riesame, né per quale ragione non sono state prese in considerazione.
1.1.2. La seconda doglianza (in ordine al capo A15) riguarda un vizio di motivazione che non emerge dal provvedimento impugnato. Il giudice del riesame ha correttamente dedotto la consapevolezza della Rinaldi di concorrere nella sottrazione di beni all’imposizione erariale dal fatto che questa assisteva imprenditori, coinvolti nel sistema “apri e chiudi”, conoscendo la situazione economica delle relative imprese, rispetto alla gestione delle quali prestava la sua consulenza. Era ragionevole dunque ritenere che questa avesse ben presente il quadro in cui si inserivano le attività e l’identità di eventua prestanome. Né la chiarezza e la logica di tale percorso argomentativo sono intaccate dalla contestazione del contenuto delle intercettazioni: infatti le conversazioni avevano ad oggetto proprio l’acquisizione di informazioni sullo stato economico dell’impresa e i dati inerenti alle buste paga dei dipendenti, ovvero elementi che permettono di dedurre che la COGNOME era a conoscenza delle questioni relative alla gestione dell’impresa, e, in particolare, dell’ammontare del debito erariale. Una tale contestazione peraltro non è permessa in sede di legittimità, stante il limite stabilito dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., ch consente la contestazione della portata di intercettazioni unicamente nel caso di violazione di legge. Né è configurabile nel caso di specie una carenza di motivazione, peraltro non compiutamente prospettata dalla stessa ricorrente.
1.1.3. La terza doglianza, inerente al periculum in mora, riguarda un vizio di motivazione che, come il precedente, non emerge dal provvedimento impugnato. La sottrazione di beni all’imposizione, in questo caso, è operata da più imprenditori che usano l’impresa come mezzo per dissimularne la destinazione. Perciò, il giudice del merito ha ragionevolmente ritenuto che il danaro, sottratto all’imposizione erariale, potesse essere disperso a causa tali condotte fraudolente: e dunque non può accreditarsi la tesi prospettata il difensore, secondo cui la motivazione si sarebbe fondata sulla solo sulla natura fungibile del danaro. Tale considerazione permette inoltre di comprendere l’analogia fatta con la posizione di COGNOME COGNOME, soggetto prestanome dell’impresa fallita, che non risulta affatto impropria, in quanto la motivazione del riesame si integra con quella dell’ordinanza del Gip sul punto: la ricorrente è stata ritenuta, correttamente, a conoscenza, al pari di quest’ultimo, di prestare assistenza ad un’impresa inserita in un sistema illecito “apri e chiudi”.
1.2. Il secondo motivo, articolato in tre doglianze, con cui si deduce l’errore di applicazione della legge e il vizio di motivazione, relativamente all’individuazione del profitto confiscabile, è del pari inammissibile.
1.2.1. La prima doglianza consiste in un vizio di motivazione che non emerge dal provvedimento impugnato. Al riguardo merita rilevare che il giudice prende espressamente posizione sull’ammontare del sequestro: infatti si afferma che il calcolo è operato mediante la somma dei debiti delle imprese cessate (p. 5 del provvedimento impugnato) e tale affermazione è insindacabile, visto il limite fissato dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
1.2.2. La seconda doglianza è generica. Fermi i riferimenti normativi e giurisprudenziali indicati nel ricorso – tanto scontati quanto irrilevanti nel caso d specie – deve osserbarsi che il ricorso, così come la richiesta di riesame, non indica alcun conteggio, circa l’effettivo valore dei beni sottratti, per smentire la ricostruzione dell’ordinanza impugnata.
1.2.3. La terza doglianza è anch’essa generica. Quanto alla ripartizione della responsabilità tra i concorrenti nel caso di sequestro finalizzato alla confisca, le Sezioni Unite hanno stabilito che essa si effettua con un obbligo motivazionale del giudice che deve essere modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e degli elementi acquisiti (Sez. Un., 26 settembre 2024, informazione provvisoria). Se ne ricava che ai fini della quantificazione dell’importo confiscabile, il singolo concorrente deve indicare l’importo per il quale risponde, e, pertanto, esporre un conteggio, quantomeno in via di prospettazione. Tuttavia, la richiesta di riesame, e il ricorso, sotto questo profilo, non specificano alcunché, essendosi limitati a ribadire che l’indagata non ha avuto alcun vantaggio dal reato.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2024